50° Anniversario di un evento che ha fatto epoca
La Grande Rivoluzione Culturale Proletaria è la via universale per prevenire e impedire la restaurazione del capitalismo nei paesi socialisti

La Grande Rivoluzione Culturale Proletaria (GRCP) cinese ha ancora tanto da dire a chi aspira a cambiare il mondo liberandosi del capitalismo. Purtroppo però è poco conosciuta a livello di massa, per via dell'opera di denigrazione e cancellazione della storia del socialismo portata avanti dalla borghesia. Sta a noi marxisti-leninisti fare chiarezza su ciò che fu questo evento epocale.
La GRCP scoppia ufficialmente il 16 maggio 1966, ma la battaglia dei marxisti-leninisti cinesi guidati da Mao contro il revisionismo moderno in Cina e nel movimento comunista internazionale era in corso da tempo. Già all'indomani del famigerato XX Congresso del PCUS nel 1956, quando Krusciov rinnegò Stalin e la rivoluzione, Mao aveva rilevato che “una volta aperta questa breccia, sostanzialmente si è gettato via il leninismo” (1). Questa osservazione di Mao, poi confermata dalla restaurazione del capitalismo in Urss avviata da Krusciov e portata disastrosamente a termine da Gorbaciov nel 1991, avviò lo scontro internazionale fra i difensori del marxismo-leninismo, della dittatura del proletariato e della via dell'Ottobre con alla testa Mao, da una parte, e gli opportunisti restauratori del capitalismo e predicatori della fallimentare via parlamentare dall'altra, rappresentati in Italia da Togliatti e Berlinguer.
In Cina i seguaci di Krusciov sono Liu Shaoqi e Deng Xiaoping. A parole sostengono Mao e il marxismo-leninismo, ma nella pratica usano il loro potere (erano rispettivamente presidente della Repubblica e segretario generale del PCC) per sabotare la costruzione del socialismo e promuovere il capitalismo dietro il pretesto che la lotta di classe è finita ed è necessario sviluppare la produzione. La gravità della situazione diventa evidente nel 1964, quando i revisionisti riescono a bloccare la linea di Mao per quanto riguarda il Movimento d'educazione socialista, impedendogli di rivolgerla contro i dirigenti che sostengono il capitalismo. “Se nel Centro dovesse comparire il revisionismo, bisognerebbe ribellarsi” (2), avverte allora Mao. Il quale, a seguito di un'attenta analisi della storia della dittatura del proletariato, aveva concluso: “La società socialista abbraccia un periodo storico molto lungo, nel corso del quale esistono ancora le classi, le contraddizioni di classe e la lotta di classe, esiste la lotta tra le due vie, il socialismo e il capitalismo, ed esiste il pericolo di una restaurazione del capitalismo” .

Lo scoppio della GRCP
Alla fine de 1965, Mao guida la critica al dramma storico La destituzione di Hai Rui , che in realtà era un'allegoria in difesa di Peng Dehuai, il dirigente revisionista che nel 1959 si era opposto alle comuni popolari agricole. A novembre, l'articolo che critica il dramma viene pubblicato a Shanghai. Il quartier generale borghese di Liu Shaoqi tenta (e inizialmente riesce) a censurarlo a Pechino, ma senza successo. Il 16 maggio 1966 il CC del PCC dà inizio alla GRCP.
Gli appelli di Mao a “ribellarsi contro i reazionari” e “fuoco sul quartier generale” sollevano le Guardie Rosse nelle scuole e nelle università di tutto il Paese, le quali si scagliano contro le autorità accademiche revisioniste, criticano il revisionismo con grandi manifesti scritti a mano e si lanciano contro le “quattro vecchie”: vecchie idee, vecchia cultura, vecchie tradizioni e vecchie abitudini. L'iniziale tentativo di reprimerle da parte di Liu fallisce e, in agosto, l'11a Sessione plenaria dell'8° CC approva una risoluzione che traccia le linee-guida della GRCP.
Nel 1967 scende in campo la classe operaia. Gli operai, i contadini e le Guardie Rosse, organizzatisi nelle fazioni ribelli, avviano la presa del potere dagli organi di governo controllati dai revisionisti e creano i Comitati rivoluzionari, basati sulla revocabilità dei membri e fondati sulla triplice combinazione di anziani, individui di mezza età e giovani. Da questo momento le masse sottopongono i dirigenti revisionisti a una severa supervisione, li criticano coraggiosamente ed esigono la loro autocritica, in modo da prevenire il burocratismo. L'Esercito popolare di Liberazione appoggia attivamente le masse rivoluzionarie e avvia un processo di proletarizzazione, impegnandosi anche nel lavoro produttivo. A questo punto Mao puntualizza: “Lottare contro i dirigenti avviatisi sulla via capitalista è il compito principale [della GRCP], ma non è affatto il suo scopo. L'obiettivo è risolvere il problema della concezione del mondo e tagliare le radici al revisionismo” (3).
Gli “ultrasinistri” e i destri tentano di sabotare il movimento istigando continui scontri di fazione, ai quali Mao e il PCC rispondono invocando la grande alleanza rivoluzionaria. Il 28 luglio 1968, dopo l'attacco armato contro una squadra operaia di propaganda all'Università Qinghua di Pechino, Mao convoca i capi “ultrasinistri”, li critica per essersi montati la testa e ricorda che “la classe operaia deve dirigere tutto” . Dovunque le squadre operaie di propaganda prendono il controllo delle università e ne dirigono la riforma insieme agli studenti.
Nell'ottobre del 1968 la 12a Sessione plenaria dell'8° CC espelle Liu Shaoqi e il 9° Congresso del PCC nell'aprile 1969 sancisce il trionfo della linea marxista-leninista di Mao. Sconfitto il revisionismo di destra, esplode la lotta contro il revisionismo di “sinistra” di Lin Biao, che dietro l'adulazione di Mao nasconde le stesse idee controrivoluzionarie, il quale viene sconfitto materialmente nel fallito golpe del settembre 1971 e ideologicamente al 10° Congresso del PCC nell'agosto 1973. A questo congresso, gli operai e i contadini costituiscono il 67% dei delegati. La lotta contro Lin è l'occasione per l'entusiasmante campagna di critica contro Lin Biao e Confucio, nella quale per la prima volta nella storia l'ideologia confuciana reazionaria, fossilizzatasi da secoli nella mentalità del popolo cinese, viene criticata e screditata a livello di massa, in ogni ambito della vita. Le donne, soprattutto contadine, vi partecipano in massa.

La posizione internazionalista e antimperialista
Nel frattempo l'Urss socialimperialista provoca scontri di frontiera sul fiume Ussuri nel marzo 1969, ma i soldati cinesi a piedi respingono i carri armati sovietici. Successivamente la Cina popolare ottiene importanti successi sul piano diplomatico riaprendo le relazioni con gli Usa ma soprattutto riconquistando il proprio seggio all'Onu, fino ad allora usurpato dalla cricca di Chiang Kai-shek a Taiwan, nel 1972. Non si tratta però di una capitolazione all'imperialismo, ma di mosse tattiche per romperne l'accerchiamento, come preciserà Mao: “Riguardo la teoria secondo cui la rivoluzione non ammette compromessi, essa non è marxista” (4), ma ricordando: “In riferimento alla questione degli Stati Uniti, è necessario fare attenzione: quando si lotta è facile scivolare a 'sinistra', quando si praticano alleanze è facile scivolare a destra” (5). La Cina non smetterà di criticare l'imperialismo americano e di sostenere i movimenti rivoluzionari che si battono contro di esso in Vietnam, Cambogia e Laos, così come le guerre di liberazione nazionale nel resto dell'Asia e in Africa. Tant'è che il seggio all'Onu viene riconquistato solo grazie all'iniziativa di tante nuove nazioni africane e asiatiche che hanno ottenuto l'indipendenza (gli Usa votarono contro). Il PCC intanto sostiene la formazione di partiti e organizzazioni marxisti-leninisti in tutto il mondo. Ma dopo la morte di Mao quasi tutti si disperderanno, anche per via dell'azione frazionista e settaria dell'opportunista e trotzkista mascherato Enver Hoxha.

La battaglia antirevisionista contro Deng
Nel gennaio 1975 la 4a Assemblea popolare nazionale adotta una nuova Costituzione che sancisce le vittorie della GRCP, fra cui il diritto-dovere di criticare il revisionismo, le comuni popolari agricole, il diritto di sciopero. Mao quindi lancia la campagna di massa per lo studio della teoria della dittatura del proletariato: “Perché Lenin ha parlato di esercitare la dittatura sulla borghesia? […] Se tale questione non verrà chiarita, il revisionismo avrà la strada spianata. Tutto il Paese deve esserne messo a conoscenza. […] Se elementi come Lin Biao prendessero il potere, sarebbe molto facile per loro restaurare il capitalismo. Dobbiamo quindi studiare a fondo le opere del marxismo-leninismo” (6).
Recentemente riabilitato, Deng Xiaoping, già braccio destro di Liu Shaoqi, fa orecchie da mercante e lancia la politica del “riordino”, prendendo la presunta “anarchia” esistente nel Paese a pretesto per riorganizzare la produzione su basi capitalistiche e cancellare la rivoluzione dell'istruzione. In realtà non poteva tollerare la dittatura del proletariato, il potere operaio in fabbrica e l'istruzione aperta al popolo. Ne scaturisce un grande dibattito, a partire dalle università di Pechino, e i revisionisti, raccoltisi attorno al loro padrino politico, ne escono sconfitti. Lo stesso Deng viene duramente criticato da Mao perché “non prende in considerazione la lotta di classe e non l’ha mai considerata come l’asse attorno a cui ruota tutto il resto nel corso della sua storia. È rimasto al 'gatto bianco o nero', non gli interessa se si tratti di imperialismo o di marxismo. […] non capisce nulla di marxismo-leninismo e rappresenta la borghesia” (7). Nell'aprile 1976, Deng tenta un'ultima disperata mossa con una provocazione violenta in piazza Tian'anmen, che fallisce e porta alla sua caduta.
Si chiude così l'ultima battaglia antirevisionista di Mao, ma la sua morte lascia inconclusa l'ultima lotta fra le due linee della GRCP, la terza dopo quelle contro Liu Shaoqi e Lin Biao, l'undicesima nel corso della storia del PCC. A riprova che il partito marxista-leninista si edifica e consolida attraverso la lotta fra le due linee e che è necessario combattere il revisionismo e trasformare la propria concezione del mondo per difendere la linea politico-organizzativa marxista-leninista e saper riconoscere, criticare e respingere il revisionismo comunque mascherato. “La giustezza della linea politica e ideologica” , insegna Mao, “decide tutto” (8).

Gli insegnamenti e i meriti della GRCP
Come ha rilevato il Documento del CC del PMLI del 16 maggio 1986 per il 20° Anniversario della GRCP, dal titolo: “Viva la Grande rivoluzione culturale proletaria. Un evento storico che ha fatto epoca”, questa grande rivoluzione ci ha lasciato otto insegnamenti di valore universale e permanente:
“1. il marxismo-leninismo-pensiero di Mao è l'arma teorica fondamentale per conoscere trasformare la realtà;
2. il pensiero di Mao è parte integrante e uno sviluppo del marxismo-leninismo;
3. la Rivoluzione culturale proletaria è la via universale per continuare la rivoluzione sotto la dittatura del proletariato, per consolidare e costruire il socialismo e per prevenire e impedire la restaurazione del capitalismo;
4. nel socialismo esistono ancora le classi e la lotta di classe;
5. il Partito del proletariato si edifica nella lotta fra le due linee;
6. la lotta contro il revisionismo è essenziale per mantenere il Partito del proletariato saldo sui principi rivoluzionari e nel solco della Rivoluzione d'Ottobre;
7. il parlamentarismo, il pacifismo, il riformismo e il revisionismo deviano le masse dal corso naturale della rivoluzione;
8. la vittoria finale in un paese socialista dipende anche dalla vittoria della rivoluzione mondiale e dall'abolizione del capitalismo su tutta la Terra”.
La GRCP ha molti meriti, il primo dei quali è avere impedito ai revisionisti di prendere il potere per tutta la sua durata, ma anche avere favorito l'irruzione del proletariato in tutti i campi della sovrastruttura, compresi la cultura, l'insegnamento, la letteratura e l'arte. Lo dimostrano i contingenti di teorici, artisti, scrittori e poeti operai e contadini all'attacco della tradizione feudale e confuciana. Durante la GRCP, per la prima e unica volta nella storia della Cina, le porte dell'insegnamento superiore furono spalancate alle classi più povere e vennero addirittura aperte università nelle fabbriche e nelle campagne, mentre venivano promossi periodi di lavoro produttivo per studenti, intellettuali e quadri, al fine di ridurre il divario fra lavoro intellettuale e lavoro manuale. Da questa politica nacque l'esperienza dei medici scalzi, giovani studenti di medicina che andavano a provvedere alle cure mediche di base nelle remote campagne.
False anche le affermazioni secondo cui la GRCP sarebbe stato un disastro economico per la Cina, visto che la crescita del Pil per gli anni 1967-1976 fu costantemente intorno al 7%. Vennero fatti sforzi per ridurre le grandi differenze fra città e campagna e fra industria e agricoltura, anche tramite importanti campagne per imparare dal campo petrolifero di Daqing nell'industria e dalla comune di Dazhai in agricoltura, esempi di autosufficienza e creatività dei lavoratori, senza contare che importanti successi tecnologici come la bomba a idrogeno e il primo satellite artificiale della Cina furono conseguiti durante la GRCP.
La storia stessa della GRCP dimostra inoltre che quest'ultima non fu una battaglia di Mao per il potere, ma una lotta di classe su vasta scala che coinvolse ampliamente le masse popolari. Mao fu peraltro sempre contrario all'esaltazione della sua persona e del suo pensiero, come ebbe a dire in un'occasione: “C'è chi blatera che io non avrei commesso nemmeno il minimo errore. Non ci credo, né mi rallegra il fatto che ci sia chi dice così” (9).
Non sorprende che gli storici borghesi e anticomunisti presentino la GRCP come una catastrofe fatta di massacri, carestie, collasso economico e culturale. Essa dimostrò di quanta potenzialità e quanta creatività sia gravido il socialismo e quanto la società dei lavoratori sia superiore alla società capitalistica, sbugiardando chi ciancia di “fallimento” del socialismo realizzato. Ne emerge invece un socialismo “vivo, creatore, (…) opera delle stesse masse popolari” (Lenin).
Naturalmente vi furono degli errori, inevitabili in un'esperienza tanto inedita, ma furono secondari e in generale furono individuati e corretti dal PCC e da Mao, il quale peraltro rilevò: “... sono stati commessi due errori: primo, il volere rovesciare tutti; secondo, la guerra civile totale. Fra i 'tutti' che sono stati rovesciati, alcuni era necessario che fossero rovesciati, come le cricche di Liu e Lin. Altri, però, sono stati rovesciati erroneamente, come molti compagni veterani, i quali comunque hanno commesso degli errori che è possibile criticare. Sono più di dieci anni che non abbiamo un’esperienza bellica, quindi la guerra civile totale, in cui sono stati tirati fuori i fucili, alla quale ha partecipato la stragrande maggioranza e in cui si è combattuto un poco, vale anch’essa come un’occasione per temprarsi. Tuttavia, i pestaggi a morte e il mancato soccorso dei feriti, tutto questo è stato sbagliato” (10).

La via è tortuosa, l'avvenire è radioso
La morte di Mao il 9 Settembre 1976 e la debolezza e l'opportunismo dei suoi successori permettono a Deng di tornare al potere e restaurare il capitalismo in Cina a partire dal 1978, quando vengono annunciate le contro riforme che faranno della Cina l'attuale potenza socialimperialista, cioè socialista a parole e imperialista e capitalista nei fatti. La GRCP viene ripudiata ufficialmente nel 1981 con una decisione del CC del PCC mentre i marxisti-leninisti ancora fedeli a Mao vengono perseguitati, espulsi e arrestati. Saranno i carri armati di Deng a causare la mattanza di piazza Tian'anmen nel 1989 contro gli studenti. Tutto questo consente al regime revisionista e fascista di Pechino di continuare sulla strada del suo sviluppo economico capitalistico basato sullo sfruttamento selvaggio di una manodopera a bassissimo costo composta da milioni di lavoratori, molti dei quali giovanissimi e migranti, privi di ogni diritto, a vantaggio di pochi pescecani capitalisti ultraricchi e della nuova borghesia che controlla il partito revisionista. Ultimamente, avendo superato gli Usa come potenza economica commerciale, rivendica una presenza più decisa nella competizione inter-imperialistica per il dominio dei mercati mondiali. Mao aveva previsto questa possibilità ma aveva detto: “Qualora in Cina dovesse avere luogo un colpo di Stato anticomunista, sono sicuro che non sarà una cosa pacifica e che avrà vita breve, perché i rivoluzionari, che rappresentano gli interessi di più del 90% della popolazione, difficilmente lo potranno tollerare” (11). Anche se dovessero volerci molti anni e vicissitudini.
 
NOTE
1. Mao, Discorso alla II Sessione plenaria dell'VIII Comitato centrale del Partito comunista cinese , 15 novembre 1956, in Rivoluzione e costruzione , Einaudi 1979, p. 455.
2. Mao, discorso alla conferenza di lavoro del CC del PCC, 10 ottobre 1965.
3. Mao, discorso a una delegazione militare albanese, 1 Maggio 1967.
4. Mao, colloquio con Zhang Chunqiao e Wang Hongwen, 4 luglio 1973.
5. Mao, colloquio con Zhou Enlai e i responsabili del Ministero degli Affari esteri, 17 novembre 1973.
6. Mao, Sulle questioni teoriche della dittatura del proletariato , ottobre-dicembre 1974
7. Mao, Critiche a Deng Xiaoping , gennaio 1976.
8. Mao, Discorsi con i responsabili di varie località durante il giro d'ispezione provinciale , metà agosto-12 settembre 1971.
9. Mao, conversazione con Hysni Kapo e Beqir Balluku, 3 febbraio 1967.
10. Mao, Importanti istruzioni del presidente Mao , ottobre 1975-gennaio 1976.
11. Mao, Lettera a Jiang Qing , 8 luglio 1966.

18 maggio 2016