La “sinistra” borghese venezuelana rischia di perdere il potere
Anche per i suoi troppi errori

 
Il Tribunale supremo di giustizia (Tsj) del Venezuela annullava il 20 maggio la decisione espressa a larga maggioranza dalll'Assemblea nazionale che aveva respinto il decreto con cui il presidente Nicolás Maduro assumeva i piani poteri e dichiarava in tutto il paese lo "stato di eccezione e di emergenza economica". Il provvedimento presidenziale era ritenuto valido e Maduro poteva segnare un successo nel braccio di ferro contro le forze di opposizione, raggruppate attorno alla Mesa de Unidad democratica (Mud), in corso dalle elezioni del dicembre scorso quando conquistarono la maggioranza in parlamento.
Il penultimo atto dello scontro politico nel quale la “sinistra” borghese venezuelana rischia di perdere il potere conquistato nel 1999 da Chavez era stata la bocciatura da parte del governo del referendum per la revoca del presidente Maduro, sulla quale il Mud ha già raccolto oltre due milioni di firme e punta a raccoglierne altri 5 milioni entro la fine di giugno.
Le condizioni di vita delle masse popolari in Venezuela sono diventate gravissime per la mancanza di cibo e beni di prima necessità accompagnati dal taglio della distribuzione di energia elettrica. Lo stato di emergenza consente al governo di impiegare l'esercito non solo nelle piazze ma anche nelle fabbriche chiuse per la mancanza di materie prime, non acquistate per il deprezzamento della moneta nazionale o per sabotaggio, come in alcuni casi denunciati dal presidente Maduro.
Il 15 maggio Maduro aveva presentato il ricorso allo stato di emergenza come necessario per prendere "tutte le misure per recuperare l'apparato produttivo paralizzato dalla borghesia. Chiunque voglia fermare la produzione per sabotare il Paese dovrà andarsene e chi non lo fa va ammanettato e inviato alla prigione". Nel bocciare il voto contrario del parlamento, il Tsj ribadiva che "la misura approvata dal presidente risponde alla necessità di proteggere il popolo e le istituzioni oggetto di minacce esterne e interne che portano a destabilizzare la vita e l'ordine sociale nel paese".
Il Venezuela è il quinto produttore di petrolio al mondo e il Paese con le più ricche riserve petrolifere, eppure è sull'orlo del fallimento dovuto in parte al crollo del prezzo del petrolio ma anche per una serie di errori del governo della "sinistra" borghese nella gestione dell'economia, per non parlare del permanere di una dilagante corruzione. I dati del paesi indicano una pesante recessione economica con la caduta di quasi del 6% del pil nel 2015 e mentre l'inflazione schizzava al 700% moltiplicando l'aumento dei prezzi il salario medio restava sui 15 dollari mensili.
Maduro accusava le opposizioni di essere il braccio esecutivo nel paese delle ingerenze degli Stati Uniti impegnati in Venezuela, come in Brasile, a realizzare "un golpe" strisciante col l'obiettivo di "porre fine alle correnti del progressismo in America Latina". Dopo quello già realizzato in Argentina con l’elezione del liberista Mauricio Macri alla Casa Rosada. Di sicuro c'è che l'imperialismo americano anche sotto la guida di Obama ha cercato di recuperare spazio e consensi nel continente sudamericano per rispondere all'offensiva economica della concorrente superpotenza cinese.
Il sucessore di Hugo Chávez rischia di perdere il potere conquistato dal suo predecessore nel 1999. Ha perso la maggioranza di consensi nel paese come registrato alle elezioni legislative del 6 dicembre 2015 quando l'opposizione riunita del Mud doveva conquistava 112 seggi su 167; solo 55 seggi andavano al Partito socialista unito del Venezuela (Psuv), il partito del presidente.
Una perdita di consensi pesante da parte del Psuv, certo dovuta alle difficoltà create al governo dalla guerra economica lanciata dalla borghesia che si riconosce nell'opposizione e dalle manovre dirette da Washington ma anche agli errori dell'esecutivo di Caracas.
Stando solo a giudizi benevoli di collaboratori del governo Maduro, la "rivoluzione" chavista non ha modificato la situazione del paese di dipendenza quasi esclusiva dal petrolio e quando il prezzo del greggio è crollato ne ha pagato le conseguenze; coi dollari del petrolio ha coperto le esigenze del mercato interno importando persino beni di prima necessità piuttosto che puntare sullo sviluppo dell'agricoltura nazionale. Ha lasciato in mani private il controllo di buona parte del sistema bancario che ha potuto giocare a vantaggio dell'opposizione di destra quando ha voluto; lo stesso dicasi per la grande distribuzione dei generi alimentari, rimasta in mano ai gruppi privati protagonisti della guerra economica al governo. D'altra parte è stata evidente la lotta quasi inesistente del governo contro la corruzione dilagante e l’impunità dei funzionari pubblici.
Esemplare la vicenda del febbraio scorso quando Maduro aveva chiuso la catena statale Bicentenario che si occupava delle forniture alimentari su larga scala ai supermercati; funzionari pubblici corrotti risultavano implicati nella sparizione di prodotti di consumo dagli scaffali e nella loro vendita illegale al mercato nero e a prezzi esorbitanti. Un ravvedimento che non copre i tanti errori del governo della "sinistra" borghese venezuelana e che conferma come la "rivoluzione bolivariana" avviata da Chavez e il suo "socialismo del siglo XXI" altro non sono che una rimasticatura di revisionismo destinati al fallimento.
Dopo la sconfitta elettorale del dicembre scorso Maduro sostenne che "ha vinto la guerra economica, il capitalismo selvaggio e parassitario, e ora si impone un piano controrivoluzionario per smantellare lo stato democratico di giustizia e diritto. Ma noi, con la costituzione in mano, difenderemo il nostro popolo". Il Mud, con la costituzione venezuelana in mano raccoglie le firme per destiture Maduro.

25 maggio 2016