Ripubblicando anche tre vecchi articoli del 2005 di ex fasulli “maoisti”
“Il Manifesto” in ritardo “celebra” la Rivoluzione culturale proletaria cinese interpretandola in senso trotzkista e anarchico
Pubblicata una composizione “artistica” provocatoria di una Guardia rossa sepolta sotto una valanga di spille di Mao
Grave falsificazione sul rapporto fra Mao e le guardie rosse

 
Alla fine, anche “il manifesto” ha pubblicato uno speciale di 4 pagine sulla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria (GRCP) per il suo 50° Anniversario, con un ritardo anomalo, ben tre giorni dopo la ricorrenza. Si saranno forse accorti di aver toppato rispetto a “Il Bolscevico” che ha dedicato ben due numeri e più di 8 pagine all'anniversario, senza contare quest'ultimo numero. Non si spiega altrimenti questo clamoroso ritardo, tra l'altro non hanno proposto quasi niente di originale, ma recuperato vecchi articoli da un libro del 2005.
Comunque, nonostante “il manifesto” continui a definirsi “comunista”, i vecchi articoli degli ex “maoisti” Alain Badiou, filosofo francese che teorizza la “fine” della rivoluzione e dei partiti, Edoarda Masi, eminente sinologa deceduta nel 2011, e Alessandro Russo, professore dell'Università di Bologna, e quelli nuovi del redattore del “manifesto” Tommaso Di Francesco e del corrispondente da Pechino Simone Pieranni non fanno però un servizio migliore alla verità storica rispetto al “Venerdì di Repubblica” e al “Fatto” (vedi nn. 20 e 21 del “Bolscevico”), anzi continuano a fornire una versione estremamente mistificatoria e deformata della GRCP. Il fatto è ancora più grave e di basso livello se si tiene conto che la maggioranza degli autori allora si consideravano maoisti e in certi casi hanno anche visto direttamente la GRCP all'opera in Cina; “il manifesto” stesso allora sosteneva la Cina e Mao, a parole, e li contrapponeva strumentalmente all'Urss e a Stalin.
 
Una versione scorretta degli eventi
Tutta la storia della GRCP viene vista attraverso una lente anarchica e movimentista, paradossalmente già a partire dalla cronologia, visto che gli autori sono pressoché unanimi nell'affermare che sarebbe durata fino al 1968. La GRCP sarebbe cioè una contrapposizione antagonistica fra le masse e il Partito comunista, che dura finché le masse si ribellano in “situazioni totalmente imprevedibili” (Badiou) e termina quando Mao, al quale sta sfuggendo la situazione di mano, le reprime. Ciò è simboleggiato graficamente dalla stessa immagine che sovrasta gli articoli, che vede alcune giovanissime Guardie rosse sepolte sotto una valanga di spille di Mao.
In realtà questa interpretazione, intrisa di anarchismo per quanto riguarda il rapporto masse-partito marxista-leninista, ignora completamente che il compito della GRCP non era distruggere il Partito comunista ma la borghesia riciclatasi al suo interno nella forma dei dirigenti revisionisti che volevano restaurare il capitalismo, rendendo le masse protagoniste dirette di questa grande lotta e spronandole a impossessarsi della concezione proletaria e marxista-leninista del mondo per consolidare e sviluppare il socialismo ed eliminare così la base sociale che generava la borghesia. Questi per Mao erano lo “scopo” e il “compito principale” (v. “Discorso ad una delegazione militare albanese” sul n. 21 de “Il Bolscevico”), ma “il manifesto” trotzkista soprassiede, altrimenti non potrebbe affermare che la dittatura del proletariato è un sistema dispotico come la dittatura della borghesia, né che la GRCP “satura la forma del partito-stato”, cioè dichiara conclusa la storia del socialismo e del marxismo-leninismo.
Sempre in tema di interpretazioni fasulle e fuorvianti, ricompare la trita e ritrita tesi trotzkista che contrappone Mao e Stalin. Falso visto che uno dei più grandi meriti di Mao è di avere difeso Stalin contro le calunnie e il revisionismo di Krusciov, rilevando che attaccare Stalin significa gettare via il leninismo. Semmai la GRCP criticò aspramente l'URSS revisionista e socialimperialista di Krusciov e Breznev, che però era distante un abisso rispetto a quella socialista di Stalin, ma “il manifesto” butta tutto nel calderone e si guarda bene dal fare questa distinzione.
 
Falsità sul rapporto fra Mao e le Guardie rosse
Il picco della strumentalizzazione che presenta Mao come nemico delle Guardie rosse, intenzionato a distruggerle dopo essersene servito, è raggiunto con l'articolo di Russo: in esso, vengono pubblicati solo pochi passaggi, perlopiù fuori contesto o comunque non sufficientemente e correttamente spiegati, del colloquio che Mao ebbe la notte del 28 luglio 1968 con i dirigenti delle Guardie rosse di Pechino, per dimostrare che egli voleva “annientare” i giovani che le componevano.
Il verbale del colloquio, di cui abbiamo il testo integrale, in realtà dimostra l'esatto contrario: Mao convoca i capi delle Guardie rosse a seguito dei gravi scontri armati che avevano contrapposto le loro diverse organizzazioni, critica il fazionismo e le tendenze “ultrasinistre” con la massima severità e avverte che se gli scontri continueranno non ci sarà alternativa a una soluzione militare: “Se voi non riuscirete a trovare un modo, daremo il potere all'Esercito”. Tuttavia non è quello che vuole, anzi è disposto ad accettare la loro autocritica (“Nel passato noi abbiamo commesso molti errori. Per voi invece è la prima volta, non possiamo rimproverarvi per questo” ), le sprona a riflettere sui propri sbagli ed è particolarmente premuroso nel convincere le Guardie rosse a superare le loro divergenze e ricercare l'unità. “Ma ci vuole l'unità, ci vuole Kuai Dafu” afferma, riferendosi a uno dei leader più arroganti che aveva addirittura fatto sparare su una squadra operaia di propaganda, “Senza Kuai Dafu non c'è unità”. “Voi non potete unirvi?” continua, rivolto a due fazioni divergenti. “Uno è di sinistra e l'altro è di destra: un'ottima unità”.
Mao persino si autocritica, riconoscendo che i giovani che occupavano i treni per andare in giro per la Cina a raccogliere le esperienze di altre fazioni di Guardie rosse non andavano arrestati, “invece ne sono stati arrestati troppi, e questo perché ho dato la mia approvazione”. Al ministro della sicurezza Xie Fuzhi che se ne assume la responsabilità, Mao controbatte: “Non nascondere i miei errori. Non darmi protezione. Gli arresti ci sono stati perché li ho approvati anche io, ma adesso sono d'accordo con i rilasci”. Alla faccia dell'annientamento! Va distrutto solo “chi continuerà a ribellarsi con violenza, ad attaccare l'Esercito popolare di Liberazione, a sabotare le linee di comunicazione, ad assassinare e ad appiccare incendi”.
Tant'è vero che i dirigenti delle Guardie rosse non saranno giustiziati ma inviati a lavorare in campagna o in fabbrica per rieducarsi, dopo aver firmato un'autocritica scritta (che riportiamo in questa pagina nel testo integrale) dove riconoscono: “In passato, non abbiamo svolto il nostro lavoro nel modo giusto ed abbiamo avuto numerosi difetti e commesso molti errori. Ce ne vergogniamo immensamente e siamo estremamente addolorati per alcuni casi. Siamo decisi nella maniera più assoluta a non deludere l'interessamento, l'incoraggiamento e le aspettative che il grande dirigente il presidente Mao ha riposto in noi”. Saranno arrestati soltanto nell'aprile del 1978, quando ormai il partito è caduto sotto il controllo di Deng, che li processa per saldare alcune vendette personali dei suoi sodali criticati durante la GRCP, ma soprattutto per processare la GRCP stessa prima di poterla rinnegare ufficialmente e definitivamente nel 1981.
 
Le rivoluzioni sono destinate alla sconfitta
Certamente negli articoli vengono messi in luce anche alcuni aspetti reali e positivi della GRCP e soprattutto il fatto che il suo rinnegamento da parte dell'attuale regime revisionista cinese era la condizione per il ritorno del capitalismo. Ma anche in questo caso Pieranni si dispiace che non si possa arrivare ad un “superamento” della Rivoluzione culturale, suggerendo un assurdo legame con la “riflessione sul passato” operata dalla Germania dopo la caduta del nazismo.
Tuttavia l'impianto generale di stampo anarchico, trotzkista e movimentista presenta la Rivoluzione culturale proletaria come un “fallimento” e una “sconfitta”, invece si è dimostrata di essere la via giusta per rafforzare e sviluppate il socialismo perché ha raggiunto tutti i suoi obiettivi finché era in vita Mao. Solo che la sua morte ha impedito di portarla avanti per via dell'opportunismo e della debolezza dei suoi successori, che hanno consentito il ritorno al potere dei vecchi revisionisti rovesciati e dei loro seguaci, fingendosi comunisti agli occhi del popolo per de-ideologizzarlo e sedurlo alla promessa di un futuro di prosperità col libero mercato. Probabilmente sarebbe servita un'altra rivoluzione culturale, o la stessa GRCP avrebbe dovuto cominciare prima, cosa che però non era possibile non essendo ancora maturate le esperienze e le condizioni.
Dietro si cela la tesi trotzkista delle rivoluzioni destinate al fallimento e alla degenerazione, che poco si discosta dalla tesi della reazione e della borghesia secondo cui alla fine le rivoluzioni vengono sconfitte ed è inutile farle, tesi che ha lo scopo di indurre al pessimismo e al disimpegno a salvaguardia dell'ordine capitalistico.
Non c'è paragone rispetto a quanto ha fatto il PMLI, che ha chiarito la genesi, la storia e i contenuti della Rivoluzione culturale proletaria con l'editoriale del numero scorso del “Bolscevico”, ma soprattutto ha invitato i giovani e gli anticapitalisti in generale a scoprire la storia per trarne esempio e ispirazione attraverso il Documento della Commissione giovani dall'eloquente titolo: “Giovani prendete esempio dalle Guardie rosse per cambiare l'Italia”.

25 maggio 2016