Depositato un verbale con le dichiarazioni del “pentito” Franco Di Carlo
“Il padre di Mattarella era un uomo d'onore”

Dal nostro corrispondente della Sicilia
“Il vecchio Bernardo Mattarella, padre del capo dello Stato, mi fu presentato come uomo d’onore di Castellammare del Golfo. Me lo presentò tra il ’63 e il ’64 il DC Calogero Volpe, affiliato alla famiglia di Caltanissetta, che aveva uno studio a Palermo”. Lo dichiara, in un verbale del 3 marzo 2016, il collaboratore di giustizia, Francesco Di Carlo, già definito attendibile dalla Corte d’assise di Trapani al momento della sentenza per l'omicidio del giornalista antimafia Mauro Rostagno.
La dichiarazione è stata resa nell'ambito del processo allo srittore e giornalista siciliano Alfio Caruso, trascinato in tribunale da Sergio Mattarella e famiglia con l'accusa di avere infangato la figura di Bernardo, il patriarca e ministro DC tra il '53 e il '63, deceduto nel 1971, e di aver raccontato in “maniera grossolana” i rapporti politici di Piersanti, il presidente della Regione siciliana, ucciso dalla mafia il 6 gennaio 1980.
Il collaboratore di giustizia ha raccontato al legale dello scrittore che insieme al mafioso Volpe, DC, ebbe occasione “di andare a casa di Mattarella” e inoltre che: “in quei primi anni Sessanta, nei paesi in Cosa nostra entravano le persone migliori. Così era capitato anche a Bernardo Mattarella, che era un giovane avvocato perbene. Ciò era avvenuto anche nell'ambito della famiglia della moglie Buccellato, che aveva al suo interno sia esponenti di Cosa Nostra, sia esponenti delle Istituzioni, perfino un magistrato”.
Non è certo la prima volta che Bernardo Mattarella viene accusato di vicinanza e relazioni con la mafia. Alcuni intellettuali borghesi contemporanei lo avevano denunciato apertamente. Tra questi, il sociologo pacifista e antimafioso Danilo Dolci, che nel '66 aveva scritto riguardo ai rapporti con Cosa nostra dei democrisitani Mattarella padre e Volpe. La questione finì con la querela e la condanna di Dolci per diffamazione del potente ex-ministro.
Sorte diversa toccò allo scrittore siciliano Michele Pantaleone che, per aver definito mafioso il sodale di Mattarella padre, Volpe, sul giornale L'Ora di Palermo, fu trascinato a processo. In un contesto sociale più avanzato e combattivo, eravamo in pieno Sessantotto, dove l'omertà lasciava il posto alle aperte denunce di mafiosità a carico di esponenti DC, la sentenza diede ragione a Pantaleone che fu assolto. Grazie a quell'atto giudiziario possiamo scrivere che Volpe era mafioso.
Ora Volpe era certamente un sodale di Mattarella. Su quest'ultimo però ogni riflessione politica diventa tabù. Però qui e là riecheggiano voci. In tempi più recenti, nel 1992 per la precisione, l'ex-ministro PSI Claudio Martelli, riprendendo documenti parlamentari, denunciò che Bernardo Mattarella “secondo gli atti della Commissione antimafia e secondo Pio La Torre (1976), fu il leader politico che traghettò la mafia siciliana dal fascismo, dalla monarchia e dal separatismo, verso la DC".
Lo storico siciliano Giuseppe Casarrubea, che in anni recenti si è occupato di ricostruire le trame mafiose, massoniche e fasciste che portarono alla strage di contadini di Portella della Ginestra, nel 1947, ha scritto che Mattarella era ritenuto vicino al boss di Alcamo, in provincia di Trapani, Vincenzo Rimi, considerato in quegli anni al vertice di Cosa nostra. Sulla vicenda di Portella le accuse di Gaspare Pisciotta, prima di bere il fatidico caffè avvelenato all'Ucciardone di Palermo, a diversi politicanti, tra cui i DC Bernardo Mattarella e Mario Scelba, di aver avuto incontri con Salvatore Giuliano per pianificare la strage, tuttavia furono giudicate infondate dalla Corte d'Assise di Viterbo. Ma si sa che su quella strage mai si è arrivati al livello dei mandanti nelle istituzioni.
Come si vede, un personaggio che sin da allora era chiacchierato. Ma, tornando ai nostri giorni, l'avvocato della famiglia Mattarella, Antonio Coppola, in una replica sulle recenti dichiarazioni del collaboratore di giustizia, afferma che Di Carlo millanta e che l’intera dichiarazione sarebbe “una somma di palesi fandonie, facilmente confutabili”.
L'avvocato dei Mattarella cita la sentenza del 21 giugno1967, con cui il Tribunale di Roma, condannava Danilo Dolci per diffamazione, su richiesta del mafioso Volpe e di Mattarella padre. Nella sentenza si afferma che Bernardo Mattarella “ha portato a conoscenza del Tribunale, obiettivamente documentandolo, l’atteggiamento di insuperabile contrarietà alla mafia, assunto e mantenuto nel corso di tutta la sua carriera politica“. C'è però l'altra sentenza, quella di assoluzione dello scrittore Pantaleone, in cui si dice che è legittimo usare per Volpe l'attributo di mafioso. E, come ricorda il difensore dello scrittore Alfio Caruso, l'avvocato Fabio Repici, il mafioso Volpe, “fu proprio colui che, secondo Di Carlo, gli presentò Mattarella come uomo d’onore del clan di Castellammare”.
Come dice l'avvocato Repici, su quella sentenza “è ormai tempo di fare qualche pubblica riflessione”. C'è poi da fare una pubblica riflessione su tutte quelle voci dei contemporanei di Mattarella padre messe a tacere dall'artiglieria pesante della potenza economica della famiglia, dai suoi legami e dal un fuoco di fila di querele e richieste di risarcimenti stratosferici, come i 250mila euro imposti allo scrittore Alfio Caruso.
Cosa c'è in gioco? A parte l'onorabilità del nome antimafioso di Mattarella padre, probabilmente c'è da riscrivere un intero pezzo di storia della Prima repubblica, mettendo a nudo quell'inquietante nero intreccio fra politica-mafia-massoneria che partendo da Bernardo ha dato origine alla potenza politica dei Mattarella in Sicilia per arrivare fino all'attuale capo dello Stato. E a nudo verrebbe messa anche la pericolosa strategia renziana i recupero della DC filomassoneria, filomafiosa e golpista che oggi regge il regime del nuovo duce.

1 giugno 2016