Il G7 di Tokyo punta sulla crescita per far uscire il capitalismo dalla crisi
Riaffermato l'impegno a combattere il terrorismo, ossia lo Stato islamico

 
Il premier nipponico Shinzo Abe, il padrone di casa del vertice del G7 che si è svolto il 26 e 27 maggio a Ise-Shima, sull’isola di Kashiko, in un precedente intervento sul Wall Street Journal aveva indicato che il principale obiettivo dell'incontro sarebbe stato quello di discutere delle condizioni per rimettere in moto la locomotiva dello sviluppo. “Il focus principale del summit – aveva evidenziato Abe - sarà rivitalizzare l’economia globale, puntando a mettere insieme le politiche monetarie con l’accelerazione delle riforme strutturali e la flessibilità delle politiche fiscali”, quel mix di interventi che nelle speranze dei presidenti e premier dei sette maggiori paesi industrializzati dovrebbero far uscire il capitalismo dalla crisi.
La crescita economica mondiale è una “priorità urgente”, evidenziava il comunicato finale del G7 e siccome “la ripresa globale continua ma la crescita rimane moderata e irregolare” occorrono decisi interventi per renderla “forte, sostenibile ed equilibrata”. Una crescita costruita anche con la rapida chiusura di negoziati ancora aperti quali il famigerato Ttip tra Usa e Ue, gemello di quello Tpp tra Usa e paesi dell'area del Pacifico, auspicavano i Sette, sollecitando una chiusura dei negoziati segreti che stanno viaggiando sulla base degli interessi delle multinazionali imperialiste.
Il desiderio di uscire il prima possibile dalla crisi è comune, il modo di farlo non è identico per cui anche nel vertice giapponese dell'organismo economico imperialista si sono riprodotte le divisioni tra chi come Germania e Gran Bretagna sostiene una politica di rigido controllo dei bilanci e gli altri, Usa, Giappone, Francia, Italia e Canada, che invece puntano a nuovi stimoli monetari, all'immissione massiccia di monete sui mercati come Washington e Tokyo o a paramentri di bilancio più flessibili come Roma e Parigi che sotto la cappa dell'euro non possono batter moneta autonomamente. Perciò “tenendo conto delle specifiche situazioni nazionali – riportava il comunicato finale - ci impegniamo a rafforzare le nostre risposte di politica economica con modalità cooperative, dispiegandone un mix più bilanciato ed efficace al fine di conseguire rapidamente un forte, sostenibile e bilanciato scenario di crescita”.
L'intervento solamente in politica monetaria non basta, avvisano i Sette, servono anche interventi fiscali, leggi e riforme strutturali. Quelle controriforme strutturali che caratterizzano le politiche neoliberiste che in forme neanche troppo diverse i governi della destra e della "sinistra" borghese applicano sulla pelle delle masse popolari.
Le contraddizioni interimperialiste viaggiano sotto traccia e si evidenziano in casi come quello del capitolo del comunicato finale sulle crisi internazionali nel paragrafo dedicato alla Libia, laddove si ribadisce che i Sette lavorano “accanto al governo di unità nazionale” di Fayez al-Sarraj come “il solo e legittimato governo della Libia” e si appellano “a tutte le parti libiche affinché lo riconoscano”. In Libia abbiamo l'Onu e l'Italia schierate a sostegno del governo fantoccio di Serraj, che conta solo in Cirenaica, mentre Usa, Francia e Gran Bretagna si trovano meglio col governo di Tobruk e le milizie del generale Khalifa Haftar appoggiate dall'Egitto del golpista Al Sisi che controllano la Tripolitania; prefigurando una spartizione della Libia e delle sue risorse energetiche. Intanto l'importante è che tutte le parti libiche siano concordi nella guerra al terrorismo, cioè allo Stato islamico (IS).
Infatti nel comunicato che ha chiuso la due giorni di Ise-Shima si ribadisce la “ferma condanna del terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni” e si sottolinea che “gli attacchi e le atrocità” compiute da Stato islamico, Al Qaeda e altre organizzazioni pongono un “serio problema alla pace e alla sicurezza internazionali, nonché ai valori e principi comuni per tutta l'umanità”. Con i consueti toni della crociata imperialista che si erge a paladina di tutta l'umanità, i Sette continuano da più di venti anni a scaricare bombe sui popoli arabi e musulmani della regione, pretendendo pure che non reagiscano.

1 giugno 2016