Alle elezioni comunali parziali del 5 giugno 2016
La diserzione dalle urne avanza del 5,5%.
Continua il distacco dai partiti e dalle istituzioni del regime
Il picco della diserzione a Napoli (45,9%), Milano (45,4%), Varese (44,1%), Trieste (46,6%). Punito il partito e il governo di Renzi, liquefatta Forza Italia, il M5S drena l’astensionismo e raccoglie più voti da sinistra che da destra. I falsi partiti comunisti seminano illusioni elettorali, parlamentari, governative, costituzionali e riformiste
PERSEVERIAMO NEGLI SFORZI AFFINCHÉ L’ASTENSIONE VENGA CONCEPITA COME UN VOTO ANTICAPITALISTA, PER IL SOCIALISMO E IL PMLI

Alle elezioni comunali del 5 giugno 2016, che hanno interessato 1.342 comuni di cui 149 comuni maggiori, 25 capoluoghi di provincia per un totale di 13 mila 300 elettori, il 38,1% degli elettori chiamati alle urne le ha disertate con un incremento rispetto alle precedenti elezioni comunali (che nella maggior parte dei casi si sono tenute nel 2011) del 5,5%.
Stando ai soli comuni capoluogo, che da soli riguardano la metà dell’intero corpo elettorale investito da questa tornata elettorale, la diserzione è ancora più marcata perché riguarda il 42,4% degli elettori con un incremento del 4,7%. E ci riferiamo solo alla componente dell'astensionismo costituita dalla diserzione dalle urne alla quale andrebbero aggiunte le altre due componenti del voto annullato e lasciato in bianco.
Basterebbero queste cifre per capire che a vincere è stato l’astensionismo cioè quella grande massa di elettori che continuano caparbiamente a prendere le distanze dai partiti e dalle istituzioni del regime. E a perdere sono state ancora una volta le istituzioni rappresentative borghesi, i partiti del regime neofascista imperante, i sindaci e i consigli comunali che risultano così delegittimati in quanto riconosciuti e sostenuti solo da una esigua minoranza. E, non ultimo, si tratta di un eclatante atto di sfiducia verso il neoduce Renzi, il suo partito e il suo governo che da queste elezioni invece sperava di prendere un’onda favorevole che lo conducesse in carrozza fino alla vittoria del referendum costituzionale di ottobre.
 
L’astensionismo
I picchi della diserzione si registrano proprio nelle grandi città. A Napoli (45,9%), Milano (45,4%), Varese (44,1%), Trieste (46,6%) Torino e Roma (42,8%) la diserzione delle urne supera la media nazionale dei 25 comuni capoluoghi. Gli incrementi rispetto alle precedenti comunali più alti si registrano invece a Milano (+12,9%), Cagliari (+11,2%), e Salerno (+10%) e significativamente nei tre comuni dell’Emilia-Romagna Bologna (+11,8%), Ravenna (+10,7%), Rimini (+10%). Nei 25 comuni capoluoghi solo a Roma la diserzione dalle urne diminuisce rispetto alle precedenti elezioni del 4,4%. C’è però da dire che nel 2011 essa aveva rasentato il 50% (47,2%) staccando nettamente tutte le altre città capoluogo.
Un dato che ribalta il tradizionale trend dell’astensionismo per aree geografiche è che la diserzione dalle urne è assai più marcata al Nord e al Centro che al Sud. Tra le città capoluogo l’aumento della diserzione è stata mediamente di +10% al Nord e +6% al Sud.
In sostanza, le grandi città e il Nord fanno ormai da traino alla diserzione dalle urne. E ciò avviene anche in modo marcato nelle regioni come l’Emilia-Romagna dove la partecipazione alle urne era almeno fino a due anni fa un dato quasi scontato.
Il risultato dell’astensionismo è tanto più significativo poiché, anche rispetto al 2011, la possibilità di scelta dell’elettorato era veramente impressionante: 41 liste a Napoli, 34 liste a Torino, Roma e Cagliari, 17 a Milano e a Bologna. Un’offerta che, specie a livello comunale, si traduce nella possibilità per l’elettore di scegliere fra migliaia e migliaia di candidati sindaci e consiglieri con i quali è facile avere una qualsiasi forma di conoscenza, rapporto o legame.
C’è inoltre da dire che l’emorragia di voti dell’elettorato di sinistra del PD, specie nelle grandi città come Roma e Torino, questa volta è stata intercettata massicciamente anche dal Movimento 5 stelle (M5S) impedendo che si riversasse pienamente nell’astensionismo.
 
Punito il PD, liquefatta FI
Il PD di Renzi ha subito una vera e propria doccia fredda. A stento il suo candidato Giachetti arriva al ballottaggio a Roma con il M5S. A Torino Piero Fassino, sindaco uscente, questa volta è costretto al ballottaggio e così avviene a Bologna dove Virginio Merola, alla ricerca della riconferma, era stato eletto cinque anni fa al primo turno. A Milano, Beppe Sala, candidato del “centro-sinistra”, dovrà vedersela in un testa a testa con il candidato del “centro-destra” Stefano Parisi dal quale lo separano appena cinquemila voti. E ancor più clamoroso, il PD è escluso dal ballottaggio a Napoli dove se la vedranno il sindaco arancione uscente Luigi De Magistris e il candidato del “centro-destra” Lettieri.
Prendendo come riferimento i 7 comuni capoluogo di regione (Torino, Milano, Bologna, Roma, Napoli, Cagliari e Trieste) che da soli contano oltre 5 milioni e mezzo di elettori e che per bacino elettorale ma anche per importanza politica ed economica possono essere considerate le città più significative per una riflessione politica ed elettorale di carattere generale, il PD perde 165.495 voti sui 750.355 che aveva nelle precedenti elezioni comunali. Ma ancor di più perde rispetto alle elezioni europee, le prime elezioni dell’era Renzi, rispetto alle quali dimezza i propri consensi passando da 1.241.590 voti agli attuali 584.860.
Cambia anche la composizione dell’elettorato del PD. Esso raccoglie più voti nei quartieri borghesi che in quelli popolari. Lo testimonia il fatto che le candidate del M5S a Roma, Virginia Raggi, e a Torino, Chiara Appendino, scalzano il PD nelle rispettive città proprio nei quartieri popolari e periferici. A Roma Giachetti vince solo nei municipi del centro storico e ai Parioli e San Lorenzo. A Torino Fassino va oltre di 5 punti la media ottenuta a livello cittadino nel centro storico, ma va sotto di 4 punti in zona Barriera, estrema periferia Nord. Stessa cosa accade anche a Bologna dove il PD guadagna fra il 2 e il 3% nei quartieri centralissimi, a Marconi e Irnerio e lascia sul campo dal 6 all’8% in zone come Borgo Panigale, Bolognina, Corticella, storici quartieri rossi. Lo “zoccolo duro” è stato in pratica quasi interamente consumato.
Se il PD non ride, Forza Italia non ha nemmeno più la forza per piangere. E’ ormai ai minimi storici. A parte Milano dove col navigato candidato Stefano Parisi e una coalizione ampia, riesce a tener testa al “centro-sinistra” e addirittura riguadagnar qualche voto rispetto a quelli ottenuti alle europee 2014 (ma non rispetto alle comunali 2011), complessivamente nei sette comuni capoluogo di regione raccatta appena 231.278 voti. Erano 598.159 nel 2011 e 405.709 nelle europee 2014. A Roma, il suo candidato Alfio Marchini non riesce ad andare oltre il 4° posto. Dietro, e con la metà dei voti, alla coalizione che sosteneva la candidata dei Fratelli d’Italia, Lega Nord e altri, Giorgia Meloni.
 
M5S
Il Movimento 5 stelle si è avvantaggiato delle emorragie elettorali dei maggiori partiti, riuscendo a drenare in parte l’astensionismo e, nonostante permanga la sua trasversalità, guadagnando più voti a sinistra che a destra. I risultati di Roma e Torino lo testimoniano. Ci sono però sul risultato del M5S chiari e scuri. Intanto, il M5S era presente con una propria lista solo in 252 comuni su 1.300 che dimostra ancora la sua assenza di capillarità territoriale. Era presente solo in 18 comuni capoluogo su 25 e in questi 18 comuni solo in 4 avanza rispetto alle elezioni europee 2014, mentre negli altri 14 comuni arretra in media dell’8% sui voti validi. Là dove il voto di protesta specie della sinistra dell’elettorato è stato maggiormente canalizzato nell’astensionismo (vedi Milano) o in altre liste cosiddette alternative (vedi Napoli con De Magistris) o con candidati sindaco non espressione del PD (vedi Zedda di SEL a Cagliari), il M5S arretra anche sensibilmente rispetto alle europee. A Napoli, per esempio, passa da 84.628 voti agli attuali 36.359, oltre che dimezzato.
Insomma, il M5S più che brillare di luce propria sembra avvantaggiarsi là dove non esistono specie per l’elettorato di sinistra proposte concrete e credibili sul piano elettorale e parlamentare alternative ai partiti di governo e al “centro-destra”.
 
Sindaci e consigli comunali delegittimati
Per tirare le somme definitive di questa tornata elettorale, manca a questo punto il turno di ballottaggio che si terrà domenica 19 giugno e riguarderà la stragrande maggioranza dei comuni superiori e dei comuni capoluogo. Comunque vada sappiamo però già che i sindaci e i consigli comunali che verranno eletti partono sfiduciati e delegittimati dal forte astensionismo.
Per fare solo qualche esempio basti pensare che Piero Fassino fu eletto a Torino nel 2011 al primo turno con 255.242 voti e il 56,7% dei voti validi che corrispondevano al 31,7% del corpo elettorale. Ora ha ottenuto 160.023 voti e il 41,8% dei voti validi (pari al 23% del corpo elettorale) perdendo così ben 95.219 voti.
A Milano Sala ottiene 91.706 voti in meno di quanti ne ottenne al primo turno Giuliano Pisapia nel 2011.
A Bologna Virgilio Merola che fu eletto nel 2011 al primo turno con 106.070 voti, quest’anno va al ballottaggio con appena 68.749 voti.
A Roma la Raggi ha preso 453.806 voti, ma l’ex sindaco Ignazio Marino al primo turno nel 2013 ne prese 512.720.
A Cagliari, Massimo Zedda (SEL) che in questa tornata si è confermato sindaco al primo turno, rispetto al 2011 ha comunque perso 2.371 voti dei 42.271 che aveva.
Un discorso a sé vale per Luigi De Magistris a Napoli. In questa tornata elettorale ha ottenuto 172.710 voti, incrementandoli rispetto al 2011 quando ne prese 128.303, ma non conservando tutti quelli presi al 2° turno sempre nel 2011 quando i voti ottenuti furono 264.730. Stiamo a vedere quindi come andrà a finire il ballottaggio.
 
I falsi partiti comunisti
I falsi partiti comunisti, dal PRC e il PCdI, alla Sinistra di Giorgio Airaudo a Torino e di Vincenzo Rizzo a Milano, al Partito comunista di Marco Rizzo a Torino che prende 3.323 voti, di Alessandro Mustillo a Roma (10.280 voti) e di Nunzia Amura a Napoli (1.082 voti) non rappresentano certo un’alternativa per gli elettori di sinistra che abbandonano il PD ma solo l’ennesima trappola per impantanarli nel sistema capitalistico e a rimorchio del regime neofascista. Pur consapevoli di non produrre il minimo danno al regime e al governo, continuano a presentarsi alle elezioni e a seminare così illusioni elettorali, parlamentari, governative, costituzionali e riformiste che di fatto sabotano la lotta di classe e rallentano la presa di coscienza anticapitalista, antistituzionale e rivoluzionaria del proletariato e delle masse popolari italiane.
Come giustamente si afferma nella lettera di ringraziamento della Commissione per il lavoro di organizzazione del CC del PMLI alle istanze intermedie e di base del PMLI i cui militanti e simpatizzanti con pochissimi mezzi e risorse economiche e nel silenzio stampa si sono battuti “come leonesse e leoni” in questa campagna elettorale astensionista del Partito, “dobbiamo perseverare nei nostri sforzi affinché le masse si liberino totalmente di tale perniciosa influenza, e considerino l'astensione come un voto anticapitalista, per il socialismo e il PMLI e creino le istituzioni rappresentative dei fautori del socialismo per risolvere i problemi immediati del popolo, per combattere le istituzioni rappresentative borghesi, il capitalismo e i suoi governi locali e centrale e per conquistare il socialismo e il potere politico da parte del proletariato”.
La semina continua e presto o tardi darà i suoi frutti proletari rivoluzionari. Intanto battiamoci per conquistare nuovi voti astensionisti al turno di ballottaggio del 19 giugno.
 

8 giugno 2016