Al dibattito sul referendum di ottobre promosso dall'ANPI di Rufina (Firenze)
Sviscerati i contenuti e le conseguenze della controriforma di Renzi
Importanti interventi di Nannucci, Lastri e Chiavacci
Molto applaudito l'intervento di Sottoscritti a nome del PMLI

Redazione di Firenze
Venerdì 10 giugno, su iniziativa dell'ANPI di Rufina, si è tenuto un interessante dibattito dal titolo “Le ragioni del NO” sulla controriforma Costituzionale e il referendum del prossimo ottobre.
Dopo l'introduzione dell'ANPI locale che ha proposto agli intervenuti di costituirsi in Comitato per affrontare al meglio la campagna referendaria del prossimo settembre, denunciando l'immobilismo dell'ARCI toscana nonostante l'accordo siglato a livello nazionale fra ANPI ed ARCI per condurre assieme questa importante battaglia, i relatori Ubaldo Nannucci, Presidente del Comitato provinciale di Firenze dell'ANPI, e Daniela Lastri del Comitato per il NO di Firenze, hanno introdotto il tema sviscerandone i contenuti e le conseguenze istituzionali e costituzionali della controriforma.
Al centro di questa analisi le critiche sull'esautorazione del parlamento, della sedicente “sovranità popolare”, le fandonie di Renzi sulla necessità di stravolgere l'assetto per risparmiare sui costi della politica e l'urgenza di snellire la burocrazia che ingolfa la “buona” politica decisionista di regime.
Il dibattito è proseguito in maniera vivace e interessante, toccando numerosi temi, fra i quali l'intervento del compagno Enrico Chiavacci, in qualità di vice presidente della Sezione ANPI, sul documento dell'agosto 2013 della banca internazionale JP Morgan che di fatto ispira i governi dei Paesi europei a mutazioni radicali dei loro assetti istituzionali poiché derivanti da guerre di Liberazione al fascismo e contenenti pertanto troppi “elementi di socialismo” capaci di influenzare negativamente lo strapotere e l'ingerenza della “borsa” sulle faccende interne dei vari Stati nazionali.
Estremamente chiarificatore è stato l'intervento a braccio che il compagno Loris Sottoscritti ha tenuto a nome del PMLI. Oltre ad apprezzare l'iniziativa, il compagno ha affermato che anche il nostro Partito si batterà con tutte le proprie forze per la vittoria del NO al referendum costituzionale anche se alcune posizioni non coincidono con quelle delle altre forze che lo sostengono, su tutte quella di non appiattirsi sulla Costituzione del '48 che peraltro è già stata stravolta nella sua sostanza e che comunque contiene elementi non accettabili come ad esempio il concordato e la tutela della proprietà privata dei mezzi di produzione. Il compagno ha precisato che il nostro Partito persegue una Costituzione socialista. Il PMLI, ha continuato il compagno, ha da sempre denunciato l'Italicum definendolo “fascistissimum” e la "riforma" piduista sia sul piano dei contenuti, sia su quello del disegno politico; sul primo, la Repubblica che da parlamentare diviene presidenziale di fatto modificando il governo del parlamento in governo del premier, la possibilità che un partito col 20/25% dei voti validi possa prendere la maggioranza assoluta alla Camera senza il controllo del Senato e senza alcun potere di bilanciamento poiché la consulta, il CSM ed il presidente della Repubblica saranno espressione diretta del partito di maggioranza, la “riforma” del titolo V che attribuisce allo Stato togliendoli alle Regioni i poteri su energia e ambiente (lo scandalo emendamento Tempa Rossa per fare un esempio sarà normale competenza), e l'innalzamento del numero necessario di firme da raccogliere per promuovere un referendum o per una legge d'iniziativa popolare.
La parte più importante e più apprezzata dall'assemblea e senz'altro stata quella relativa al disegno politico che sta dietro alla controriforma, e cioè, a livello internazionale il percorso iniziato con la Trilateral nel 1973 e che continua passando per il documento J.P. Morgan già accennato e che conferma che a tirare i fili dei nuovi assetti istituzionali sono i poteri finanziari globali; a livello interno, il “piano di rinascita democratica” e lo “schema R” della P2 di Gelli sta per essere completato definitivamente proprio dal tentativo di Renzi, dopo i vari passaggi di Craxi, della bicamerale di d'Alema e da Berlusconi del quale appunto Renzi è il perfetto continuatore. L'intervento, che è stato molto applaudito e condiviso dai partecipanti, si è concluso con l'invito unitario a “seppellire la controriforma sotto una valanga di NO”.
 

In qualità di vice presidente della Sezione ANPI di Rufina
Intervento di Chiavacci all'Assemblea sulla controriforma costituzionale

Sul progetto di controriforma Costituzionale, quasi tutti i commenti hanno concentrato la loro attenzione sui gravi aspetti giuridici e politici del cambiamento prospettato.
Ho pensato fosse interessante provare ad approfondire anche quelle ragioni di carattere propriamente economico che spingono verso la riforma della Costituzione Italiana (visto il lavoro che faccio, occupandomi quotidianamente).
Il governo ha sempre detto di voler modificare l’assetto Costituzionale perché:
- si rende necessaria una riduzione dei costi della politica
- è necessario accelerare i tempi di decisione (e di questo i numerosi ricorsi al voto di fiducia o ai decreti legge hanno rappresentato un corposo antipasto).
Mentre il primo argomento è immediatamente contestabile dato che i costi della politica sarebbe possibile ridurli in maniera più semplice attraverso l’attuazione di decise riduzioni di stipendi, indennità ed altri emolumenti di chi ci rappresenta (o dimezzando ad esempio i parlamentari mantenendo i soliti rapporti di forza); il secondo è maggiormente rilevante in termini di conseguenze ed è li che si nascondono gli inganni maggiori.
Questa indicazione del governo, apparentemente inoppugnabile (chi vorrebbe lentezza nelle decisioni?) attiene però ai rapporti fra dimensione economica e sfera delle decisioni politiche da prendere in assoluta rapidità, rimuovendo tutti gli intralci sociali che impediscono una tale azione.
Nella sostanza la "riforma" che si intende attuare mira a introdurre nella Costituzione una logica di perseguimento di obiettivi di efficienza economica (lobbistica) mediante il minimo intervento pubblico in economia che mette a rischio non solo le libertà democratico-borghesi, ma anche la sovranità stessa del nostro Paese.
Esperienze alla mano, è insensato pensare che questo modello produca benessere per tutta la popolazione.

J.P. Morgan
Il faro economico della controriforma si legge nello studio che la banca d'affari americana JP Morgan, la più potente al mondo insieme a Goldman Sachs, ha condotto sulla crisi economica e finanziaria nei paesi della Ue, pubblicato il 28 maggio 2013 sul Wall Street Journal ma passato pressoché sotto silenzio dalla grande stampa internazionale e nazionale.
Nel documento, ad esempio si legge: “All’inizio della crisi si pensò che i problemi strutturali nazionali fossero in larga misura di natura economica: eccessivi costi bancari, non adeguato allineamento del tasso di cambio interno reale e rigidità strutturali. Ma col tempo apparve chiaro che pesavano molto anche i problemi di natura politica. Le Costituzioni e gli ordinamenti creati nella periferia meridionale dell’Europa dopo la caduta del fascismo, hanno caratteristiche che vanno cambiate se si vuole proseguire sul cammino dell’integrazione. Quando la Germania parla di un decennio per il processo di aggiustamento, ovviamente pensa sia alla riforma economica sia a quella politica”.
Esaminando in particolare il caso dell’Italia il rapporto sentenzia che le riforme del 2012 (il golpe bianco di Monti e l’inizio dei governi non eletti) rappresentano un progresso, ma che c’è ancora molto da fare.
“Tuttavia va considerato che per migliorare la situazione strutturale dell’economia, l’Italia non può limitarsi ad approvare nuove leggi, ma deve profondamente modificare la burocrazia e la giustizia. (...) Gli ordinamenti costituzionali dei Paesi periferici dell’Eurozona sono stati approvati all’indomani della caduta di regimi dittatoriali e condizionati da questa esperienza. Le costituzioni tendono a mostrare una forte influenza socialista a testimonianza della forza politica della sinistra in quel periodo della storia. Questi sistemi politici evidenziano in genere le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli, debolezza del governo centrale rispetto alle autonomie regionali, tutela costituzionale dei diritti del lavoro, sistemi di costruzione del consenso tali da alimentare il clientelismo. Questi Paesi ad oggi non sono riusciti – se non in parte – a realizzare riforme economiche incisive a causa dei limiti costituzionali”.
“Il banco di prova”, concludeva il rapporto, “sarà il comportamento nell’anno prossimo dell’Italia e del suo nuovo governo che si è detto deciso a riformare il sistema politico.”
Se si considerano gli effetti della controriforma del quale si è ampiamente discusso in precedenza, appare chiaro che essa è dettata nelle sue fondamenta anche dai papaveri dell'alta finanza mondiale; colossi finanziari come la potente banca americana JP Morgan che è stata tra le protagoniste della "finanza creativa" e quindi della crisi dei mutui subprime che dal 2008 devasta i mercati capitalistici di tutto il mondo, al punto di essere stata formalmente denunciata nel 2012 dal governo federale americano come corresponsabile primario della crisi.
Non vi pare che queste dinamiche evidenzino la crescente esautorazione dei parlamenti nazionali? In pratica si demanda a “tecnici” rappresentanti le grandi lobby non eletti la gestione politica economica dei paesi solo a condizione che quest’ultima non sia di ostacolo alle mire delle potenti banche centrali.

L'assetto istituzionale e i contrappesi del combinato "riforma" costituzionale - Italicum
Per finire, volevo far notare un particolare relativo ai contrappesi istituzionali del combinato "riforma" - Italicum.
Il regime fascista, adottando prima la “Legge Acerbo” e successivamente le “leggi fascistissime”, introdusse la variante del premierato alla forma di governo parlamentare pur mantenendo la cornice istituzionale disegnata dallo Statuto Albertino con la figura del capo dello Stato impersonata dal re che – essendo espressione dinastica di Casa Savoia e quindi non espressione del Partito nazionale fascista – fungeva quantomeno da “formale” contrappeso istituzionale.
Oggi, invece, con questa "riforma" costituzionale che pone fine al bicameralismo paritario e introduce il “monocameralismo imperfetto” (accompagnato da una legge elettorale a forte vocazione maggioritaria com’era esattamente la “Legge Acerbo”), la figura del capo dello Stato sarà espressione diretta dei partiti parlamentari, e quindi, inevitabile proiezione della volontà di quella sola lista assegnataria del premio di maggioranza.
E se l’Italicum, nei suoi meccanismi, tanto somiglia alla “Legge Acerbo”, l’aver assegnato ai partiti l’elezione del presidente della Repubblica rappresenta un sensibile peggioramento rispetto anche all’equilibro (che la storia sa quanto precario!) che sussisteva nel ventennio nero tra monarchia sabauda e governo fascista.
Potrebbe apparire assurdo, ma sembra davvero di essere tornati indietro di novant’anni, a prima della Resistenza.
 
15 giugno 2016