Con la riforma del “terzo settore”
Lavoro a costo zero o sottopagato ai giovani e privatizzazione del welfare

 
I media di regime pressoché in coro hanno salutato come l'ennesimo successo “storico” di Renzi e del suo “governo del fare” l'approvazione finale, da parte del Parlamento a fine maggio, della legge di riforma del "terzo settore" (volontariato, impresa sociale e servizio civile), un obiettivo della maggioranza da ben due anni (ma il nuovo duce l'aveva lanciata nel 2011). In realtà c'è poco da cantar vittoria, visto che Renzi ha nuovamente avuto bisogno del voto dei verdiniani per via dell'opposizione di Movimento 5 stelle, Sinistra italiana, Forza Italia e Lega..
L'obiettivo della riforma - in realtà una legge delega che andrà quindi attuata a colpi di decreti governativi - ha formalmente lo scopo di regolarizzare e standardizzare lo status di circa 300mila organizzazioni no-profit capaci di generare entrate annue di circa 63 miliardi di euro, ma anche dare una valenza giuridica ai volontari, oggi più di 6 milioni. La legge attiva un fondo di finanziamento per le “attività di interesse generale” promosse dagli enti del "terzo settore" e istituisce la Fondazione Italia Sociale. Quest'ultima avrà il compito di raccogliere fondi pubblici e privati coi quali sostenere il "terzo settore", e perciò è stata soprannominata “Iri del sociale”; si configura cioè come un pericoloso pozzo di corruzione pieno di nuove poltrone da scambiarsi fra le varie fazioni dei politicanti borghesi nostrani, tant'è che è stata ideata e sarà diretta dal magnate molisano Vincenzo Manes, consigliere di Renzi e fra i maggiori finanziatori della sua Fondazione Open.
Se si esclude la Fondazione, già criticata da diverse associazioni, Renzi e Poletti possono vantare per la loro riforma – rinominata “Civil Act” - l'appoggio di molti enti del settore, che le hanno riconosciuto “competenza” e il merito di fare ordine fra le varie normative. Questo tecnicismo però oscura la gravissima portata politica e sociale di questa legge, che va a peggiorare ulteriormente la situazione del lavoro soprattutto giovanile.

Cos'è il "terzo settore"
Il "terzo settore", nelle parole della legge stessa, è “il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi”. È così chiamato perché viene dopo il “primo settore”, lo Stato, e il “secondo settore”, il mercato.
Il "terzo settore" inghiotte quella moltitudine di imprese non propriamente (almeno ufficialmente) orientate al profitto capitalistico, dalle organizzazioni no-profit e di volontariato, fino alle imprese sociali, alle cooperative sociali e ai loro consorzi. Sono considerate “imprese sociali” quelle “attività d'impresa per le finalità” descritte nella citazione precedente, compreso il commercio equo-solidale, l'inserimento lavorativo per svantaggiati, l'alloggio sociale, il microcredito. Sembra – ed effettivamente è – una contraddizione di termini: come può un'attività d'impresa, quindi rivolta a ottenere un ricavo economico vantaggioso per l'imprenditore, essere “senza scopo di lucro”?
Specie in quest'ultimo caso, si tratta di attività alle quali la borghesia, fin dai secoli passati, ha fatto ricorso dietro presunte ragioni “filantropiche” per guadagnare profitti sui servizi sociali e pubblici. Ora però la situazione è peggiorata visto che al "terzo settore" vengono sempre più demandati quei servizi che dovrebbero essere erogati dal “primo settore”, cioè lo Stato, il quale se ne scrolla di dosso i costi e li scarica sulla comunità, ossia sulle masse popolari.

La disoccupazione e il lavoro sottopagato abbelliti col Servizio civile
Il cuore della riforma è proprio l'istituzione del Servizio civile universale, rivolto a “giovani italiani e stranieri regolarmente soggiornanti, di età compresa fra i 18 e i 28 anni”. Questi giovani, sotto l'ombrello patriottardo della “difesa non armata della patria” e “promozione dei valori fondativi della Repubblica” (cioè educandoli al nazionalismo e all'interclassismo), lavoreranno dagli 8 ai 12 mesi, in Italia o all'estero, gratis o pagati con un misero rimborso spese e saranno soprattutto a disposizione delle “imprese sociali”. Nelle parole del sottosegretario alle Politiche sociali Luigi Bobba, dovranno essere almeno 100mila i giovani impegnati nel Servizio civile entro il 2017.
In altre parole, anziché offrire ai giovani un impiego stabile che consenta loro di farsi una vita in autonomia, il governo gli concede un'esperienza di volontariato o tutt'al più un tirocinio, barattando la paga dignitosa che spetterebbe loro con vari benefici (crediti universitari, riconoscimento delle competenze acquisite, ecc.) e l'incerta possibilità di una futura assunzione, per la quale non c'è alcun impegno vincolante da parte del padronato. Un autentico ricatto per i tanti giovani che non riescono a trovare lavoro, i quali saranno indotti ad accettare questa “soluzione”, benché a termine, pur di arricchire il loro curriculum e non restare disoccupati. Sì perché con questa riforma ai furbetti apprendisti stregoni Renzi e Poletti riesce anche l'incantesimo di far calare (artificiosamente, certo) il tasso di disoccupazione giovanile e il numero dei Neet, cioè chi non studia né lavora.
Questa è del resto la strategia del nuovo duce per il lavoro giovanile, in linea coi provvedimenti precedenti come la Garanzia giovani e il lavoro volontario attivato all'Expo e al Giubileo. Con un colpo solo vengono compressi i costi del lavoro, si abbassa fittiziamente la disoccupazione giovanile e si creano in prospettiva condizioni peggiori per i lavoratori regolari dei servizi pubblici che potranno subire a loro volta il ricatto del “lavoro volontario”.

Verso la privatizzazione del welfare
Affidando in maniera sempre più marcata alle “imprese sociali” e di "terzo settore" i “servizi socio-assistenziali nonché di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, paesaggistico e ambientale” e consentendo l'intrusione del capitale privato, di fatto si va verso la privatizzazione totale del welfare.
Lo stesso Poletti, strumentalizzando lo “spirito di solidarietà e sussidiarietà” che anima tanti volontari con buoni propositi, ammette velatamente che la progressiva esternalizzazione della gestione dei servizi sociali alle imprese del "terzo settore", sopperisce ai buchi aperti dal taglio della spesa pubblica, scaricando sui cittadini il compito di andarsi a procacciare quei servizi che lo Stato non può (né vuole) più garantire.
Lo notava, a dicembre, anche la presidente del Convol (rete delle associazioni di volontariato), Emma Cavallaro: “Il volontariato è passione per la centralità della persona e per la costruzione di una società libera e accogliente e le nostre organizzazioni lo testimoniano ogni giorno nell'agire gratuito e nel dono di sé. Ma non è, né vuole essere, il tappabuchi del cattivo funzionamento delle istituzioni pubbliche”.

Capitalismo e solidarietà sono in contraddizione insanabile
Siamo quindi davanti ad un enorme regalo al padronato (sia pure “sociale”) che disporrà di lavoratori “volontari” a costi irrisori, se non inesistenti, massimizzando i propri profitti, precarizzando ulteriormente il lavoro e peggiorando la qualità dei servizi comuni ormai non più pubblici. La speranza, contenuta nelle “Linee guida per una riforma del "terzo settore"” pubblicate dal Consiglio dei ministri nel maggio 2014, che “capitalismo e solidarietà possono abbracciarsi” altro non è che una vana illusione, se non una vera e propria truffa per abbellire lo sfruttamento del lavoro su cui si fonda il sistema capitalista.
Alle ragazze e ai ragazzi e in generale a tutte le donne e gli uomini che hanno voglia di impegnarsi per migliorare il mondo in cui vivono, e che in certi casi cercano già di farlo nel volontariato con ammirevole abnegazione, va chiesto di ragionare sul fatto che dietro il “volontariato” del Servizio civile il governo nasconde l'ulteriore compressione dei diritti dei lavoratori, esacerbando le iniquità che loro stessi cercano di alleviare. Le loro energie e il loro impegno potrebbero invece andare alla forma di “volontariato” più definitiva e avanzata che ci sia, per eliminare le radici stesse dell'ingiustizia sociale: la lotta contro il capitalismo, per il socialismo, cioè per una società senza più oppressione, sfruttamento, discriminazione e guerre.

15 giugno 2016