I lavoratori condannati a vivere come bestie nella tendopoli lager
Nella tendopoli di Rosarno un carabiniere uccide un bracciante del Mali
In corteo i migranti chiedono giustizia

Il 9 giugno oltre 200 migranti maliani sono scesi in piazza a Rosarno per protestare contro l'uccisione di Sekine Traorè, 27 anni, bracciante del Mali, sfruttato nella raccolta degli agrumi nella Piana di Gioia Tauro e ucciso l'8 giugno con un colpo di pistola all'addome esploso dall’appuntato Angelo Catalano intervenuto insieme ad altri 5 agenti di polizia e carabinieri nel lager di San Ferdinando su richiesta degli stessi immigrati preoccupati per le condizioni di salute e di disagio sociale del loro connazionale.
Alle prime luci del giorno, i migranti si sono mossi in corteo verso il municipio, sciolto per 'ndrangheta e retto fino a qualche mese fa dall'ex sindaco Mico Modafferi finito in manette.
In piazza i migranti urlano l'innocenza di Sekine e chiedono giustizia per la sua morte che, dicono, non è stata affatto accidentale come vorrebbero far credere le “forze dell'ordine” e la procura che hanno ricostruito una versione dei fatti assolutamente falsa.
I migranti hanno denunciato pubblicamente anche di avere paura che Rosarno diventi una piccola Ferguson e che dietro l’omicidio di Sekine ci sia uno sfondo razziale.
Una piccola delegazione di manifestanti è stata ricevuta in Comune dai commissari prefettizi per chiedere l'apertura di un'inchiesta per omicidio. Mentre i compagni rimasti in piazza a manifestare urlano: “Italia razzista”, “ci hanno ammazzato un fratello, non dicono la verità”, “sette contro uno: vergogna!”.
Secondo la dinamica “ufficiale”, avallata in fretta e furia dalla procura di Palmi, il carabiniere sarebbe stato aggredito da Traorè con un coltello e, spaventato, avrebbe fatto fuoco per difendersi.
In un primo momento si era parlato anche di "colpo partito accidentalmente", negando così a priori la legittima difesa. Ma qualche ora dopo la versione cambia. Perché il procuratore della Repubblica di Palmi, Ottavio Sferlazza, ora pare non aver dubbi: "Il quadro che si delinea è di una legittima difesa da parte del militare", iscritto nel registro degli indagati come atto dovuto. Tuttavia sono molte le cose a non quadrare. È Antonino Celi, attivista antirazzista di Rosarno, a riferirle al manifesto.
Diversi testimoni oculari raccontano invece una versione ben diversa: “Sekine si era barricato in una tenda. A un tratto i sei-sette carabinieri, dopo averlo invitato a uscire, sono entrati con la forza. C’è stata una colluttazione. Poco dopo abbiamo udito il colpo che lo ha ucciso... Sekine non era un rambo, non sarebbe mai stato in grado di affrontare sette uomini armati e addestrati”.
Sekine, ribadisce suo fratello Amadou, non era un disadattato, “forse subiva il disagio di vivere in quella tendopoli, ma non era pazzo”. Lo confermano anche i Medici per i diritti umani (Medu): “Non avevamo mai visitato Sekine. In ogni caso il disagio psichico è comune nei migranti costretti a vivere, dopo il viaggio, una condizione di vita così angusta nella baraccopoli”.
Al fianco dei migranti sono scesi in piazza anche le associazioni antirazziste che hanno costituito il “Comitato Verità e Giustizia per Sekine Traorè”. Sono determinati ad andare fino in fondo. Distribuiscono un comunicato in cui evidenziano le tante incongruenze e contraddizioni che caratterizzano la ricostruzione dei fatti da parte delle “forze dell'ordine” e della procura. Ci sono “Tanti interrogativi, troppi buchi neri”, a cominciare dall’ora del decesso. “Non è chiaro il tempo trascorso tra l’arrivo degli agenti e la morte violenta per colpo d’arma da fuoco all’addome. La velina dell’Arma segnala l’orario della rissa ma non quello del decesso e tantomeno quello dell’arrivo delle volanti”. Anche loro non credono alla storia di Sekine “impazzito”. Si sentiva a disagio ma non era psicopatico. “E poi quanti di noi nati qui nelle stesse condizioni darebbero segni di squilibrio e dopo quanto tempo?”, si chiedono. Ad ogni modo "non ci interessano i linciaggi. Le responsabilità dei singoli esigiamo che vengano chiarite prima di tutto perché, in mancanza di ciò, ci troveremmo di fronte a una grave minaccia alla libertà e all’incolumità di tutti per un fatto che nel nostro paese sarebbe l’ennesimo".
Quello di Sekine è infatti “il quinto omicidio di Stato di africani dal 2008 a Rosarno - rileva il Comitato - quelli deceduti di morte non naturale per superamento della soglia di sopportazione umana. Prima il ragazzo che si è impiccato dietro la famosa 'fabbrica' , poi i due morti di bicicletta investiti lungo le provinciali senza lampioni e la persona trovata morta di freddo nei pressi della tendopoli qualche anno fa. E ora Sekine per cosiddette ragioni di ordine pubblico".
Anche l’Arci nazionale interviene ed esprime sconcerto: "per un intervento di ordine pubblico che, essendosi concluso con la morte di un uomo, non può che ritenersi fallimentare".
Nella tendopoli-lager di Rosarno le condizioni di vita e di lavoro a cui devono sottostare i migranti sono di puro schiavismo.
I dati raccolti tra novembre e marzo dai Medu, che hanno curato gli immigrati con una clinica mobile, confermano una situazione igienico sanitaria drammatica: nella tendopoli-lager di San Ferdinando vivono duemila persone, quasi tutti under 35, mentre altre centinaia abitano in casolari abbandonati e fatiscenti nelle campagne della Piana, senza servizi igienici, acqua ed elettricità. Il 52 per cento di loro non ha la tessera sanitaria e le patologie più comuni sono disturbi gastrointestinali (23 per cento), sindromi delle vie respiratorie (22 per cento) e problemi muscolo-scheletrici (13 per cento). Inoltre, l’86 per cento dei lavoratori africani non ha un contratto e la retribuzione media è di 25 euro al giorno, cinque dei quali finiscono al caporale che li ha reclutati. La deflazione sta facendo il resto: un chilo di mandarini viene pagato dai produttori ormai 18 centesimi al chilo, un prezzo non sufficiente a garantire una retribuzione del lavoro minimamente equa.
Appena qualche settimana fa, solo per caso sei ragazzi non sono saltati per aria insieme alla loro tenda, distrutta dallo scoppio di una bombola del gas. Non si sono fermate neppure le aggressioni: nei giorni del sesto anniversario della rivolta del 2010, a gennaio, sono stati presi di mira gli africani che rientravano dal lavoro a piedi o in bicicletta.
Insomma, dopo la rivolta del 2010, nella tendopoli-lager di San Ferdinando tutto è tornato come prima, se non peggio. Nessuno dei tre ministri dell’Interno che si sono susseguiti nel frattempo (Roberto Maroni, Anna Maria Cancellieri e Angelino Alfano) ha mosso un dito per mettere fine a questa autentica tratta di esseri umani ridotti in schiavitù.
Altro che “accoglienza”: I'Italia del nuovo duce Renzi è un inferno e spesso si trasforma in una tomba per i migranti che miracolosamente scampano alla morte e ai naufragi e poi finiscono nelle grinfie delle mafia, dei caporali e di padroni senza scrupoli che li sfruttano come bestie da soma e li ridicuno in schiavitù.

15 giugno 2016