Ai ballottaggi sui sindaci del 19 giugno 2016
Quasi metà dell’elettorato diserta le urne. I nuovi sindaci hanno una debole base elettorale
A Napoli il record della diserzione col 64%. La destra riversa i suoi voti sul M5S. Renzi ammette la sconfitta ma non se ne va. L’ambizioso De Magistris votato solo da meno di un quarto degli elettori
Il vero cambiamento lo può realizzare solo il socialismo e il proletariato al potere

Dopo il 1° turno del 5 giugno, 126 comuni italiani, di cui 20 comuni capoluogo di provincia, per un totale di oltre 8 milioni e mezzo di elettori, il 19 giugno sono stati chiamati di nuovo alle urne per la scelta del sindaco al ballottaggio. Il dato più significativo sul piano politico ed elettorale, anche se per lo più ignorato dai partiti e dai media del regime neofascista, è l’ennesimo successo dell’astensionismo. Ignorare questo dato rende falsa e distorta ogni analisi del voto elettorale. Complessivamente non si è recato alle urne infatti quasi la metà dell’elettorato che ne aveva diritto, ossia il 49,5%, con un incremento rispetto al 1° turno del 9,4%.
Sopra la media nazionale si sono collocati i comuni della Campania col 59,4%, della Calabria col 51,2% e della Liguria col 50,6%.
Fra i comuni capoluogo il record assoluto va a Napoli col vertiginoso 64% di elettori che hanno disertato le urne, incrementandolo del 18,2% rispetto al 1° turno. E vola l’astensionismo anche a Caserta (63,8%) città alla quale spetta anche il record dell’incremento fra il 1° e il 2° turno, +34,7%, Brindisi (58,5%, +26,6%), Crotone (54,1%, +25,3%) e Trieste (52,6%, +6%)
E ci riferiamo solo alla componente dell'astensionismo costituita dalla diserzione dalle urne alla quale andrebbero aggiunte le altre due componenti del voto annullato e lasciato in bianco.
L'aumento dell'astensionismo fra il primo e il secondo turno non è un dato semplicemente fisiologico perché in passato lo scarto non era così consistente e comunque varia da città a città proprio perché l'elettorato non è più statico e sempre più sceglie consapevolmente di astenersi per punire questo o quel candidato, questo o quel partito parlamentare. In genere, la peggio tocca al governo uscente.
In questa tornata l’astensionismo assume un significato ancor più importante, non solo perché erano chiamati alle urne gli elettori di città del calibro di Roma, Milano, Torino, Bologna, Napoli, Cagliari, Trieste, ma anche perché il M5S, ormai forte di un quinquennio di trascorsi elettorali e parlamentari, si è presentato all’elettorato come concreta e trasversale alternativa al bipolarismo fra “centro-sinistra” e “centro-destra” che ormai caratterizzava il confronto elettorale negli ultimi due decenni. Una nuova trappola politica ed elettorale che però solo in parte è riuscita a drenare l’astensionismo.
La diserzione è più massiccia nei grossi centri, per esempio nei comuni capoluogo, rispetto ai comuni più piccoli dove evidentemente il controllo esercitato dalle istituzioni e dai partiti parlamentari, ma anche dalle cosiddette “Liste civiche” e dai singoli candidati sull'elettorato è maggiore e più capillare.

Sindaci senza base elettorale
Tutti i sindaci eletti in questa tornata elettorale, ivi compresi quelli del M5S a Roma e Torino o l’arancione De Magistris a Napoli, risultano avere una debole base elettorale. Se si prendono in considerazione tutti gli elettori che avevano diritto al voto, e non già solo i voti validi, i neosindaci nella stragrande maggioranza sono stati eletti da circa un terzo dell'elettorato e anche meno. Il che di fatto li delegittima e li sfiducia in partenza.
Limitandoci ai comuni capoluogo: Virginia Raggi (M5S) a Roma e Chiara Appendino (M5S) a Torino vengono elette rispettivamente col 32,6% e il 29,1% degli elettori delle proprie città. Non meglio va al PD. Verginio Merola viene confermato sindaco di Bologna col 27,9% dei consensi. Stesso discorso per Michele De Pascale a Ravenna (27,6%) e Andrea Gnassi a Rimini che pur eletto al primo turno può contare solo sul 31,9% degli elettori.
Massimo Zedda (Sel) viene confermato sindaco di Cagliari a capo di una coalizione di “centro-sinistra” col 29,7% degli elettori.
I sindaci meno votati sono Angela Carluccio a capo di una lista civica di “centro” eletta a Brindisi col 19,9% e Carlo Marino del “centro-sinistra” eletto a Caserta col 21,5% degli elettori.

De Magistris
Poi c’è il caso eclatante dell’ambizioso, demagogo e spaccone sindaco arancione di Napoli, Luigi De Magistris che è stato eletto solo dal 23,6% degli elettori, meno di un quarto dei napoletani che ne avevano diritto. Egli ha vantato una presunta “vittoria schiacciante” che confermerebbe l’esperienza napoletana quale modello non solo per le altre città, ma addirittura per il governo nazionale e persino da esportare a livello internazionale. La verità è che De Magistris che pure è abile affabulatore e maestro in demagogia e populismo di falsa sinistra, rispetto alle elezioni del 2011 che lo elessero per la prima volta, lascia per strada ben 78.823 voti e ben 9 punti percentuali. E’ vero che fra il primo e il secondo turno ha guadagnato 13.127 voti, soprattutto da parte di elettori del M5S, ma occorre ricordare che nel 2011 fra il 1° e il secondo turno ne guadagnò addirittura 136.427.
In cinque anni di governo il demagogo di Palazzo San Giacomo non è riuscito a convincere gli elettori astensionisti a votarlo, e si tratta soprattutto di elettori di sinistra. E questo nonostante nella presente tornata De Magistris fosse stato appoggiato e votato dai falsi comunisti e trotzkisti di ogni risma, compreso il partito filo terrorista dei Carc che pure a livello nazionale aveva dato indicazione di votare M5S. In ogni caso De Magistris è un bluff perché non è riuscito nemmeno in minima parte a risolvere i problemi delle periferie, del lavoro e della camorra.

M5S
E’ indubbio che il M5S può registrare una netta vittoria. Vince 19 ballottaggi su 20. Al ballottaggio in questi venti comuni ottiene 940.270 voti, ossia quasi il doppio di quelli presi al primo turno, quando i voti erano stati 471.136. In base all’analisi dei flussi elettorali tali vittorie sono comunque dovute in gran parte al fatto che la destra ha riversato i suoi voti sul M5S quando questo è andato al ballottaggio col “centro-sinistra”. E’ successo così a Roma e Torino. Al contrario, quando la sfida era tra “centro-sinistra” e “centro-destra” i voti del M5S sono andati soprattutto in soccorso di Lega Nord e Forza Italia come è successo a Bologna, Grosseto, Novara. È ormai provato che grazie al suo trasversalismo e dopo aver dato prova, laddove hanno in mano le città, ma anche in parlamento, di essere sostanzialmente dei “moderati” tutti interni al sistema, laddove riescono ad arrivare al ballottaggio, seppure in svantaggio, riescono poi a ribaltare il risultato del 1° turno e a vincere grazie alla convergenza dei voti del “centro-destra”.
Così il M5S ha attualmente il vento in poppa. Grillo addirittura annuncia con boria: “È un giorno storico, da oggi cambia tutto. Ed è solo l’inizio”, lasciando intendere che il M5S punta dritto al governo centrale del Paese. Mentre gli altri leader, Di Maio in testa, sono già alla ricerca della benevolenza dei media nazionali e internazionali, dell’alta finanza e degli industriali, nonché del lasciapassare dei governi degli altri paesi europei e mondiali. Staremo a vedere alla prova dei fatti cosa rimarrà di questi proclami. La cosa certa è che l’elettorato italiano ormai non firma più cambiali in bianco e molto presto chiede il conto delle promesse fatte e non mantenute.

Renzi e PD
Fino a due anni fa anche Renzi aveva il vento in poppa, e oggi le sue vele si stanno già sgonfiando.
Renzi e il PD sono stati costretti a incassare due colpi pesanti come la sconfitta di Roberto Giachetti a Roma e soprattutto di Piero Fassino a Torino che era dato per vincente sicuro. E si possono consolare solo con vittorie risicate a Milano e Bologna. Il bilancio finale dice che prima di queste elezioni il “centro-sinistra” aveva in mano 20 comuni capoluogo su 25 mentre ora gliene rimangono solo 8, 3 assegnati al primo turno e 5 al ballottaggio. Al “centro-destra”, che ne aveva 4 e pur ridotto ai minimi storici, ne vanno ora 10 anche se pesano le sconfitte di Milano, di Caserta e soprattutto di Varese, la città simbolo della Lega Nord. Al M5S vanno 3 comuni, oltre a Roma e Torino ha vinto infatti il ballottaggio a Carbonia. Tre sono i successi di liste civiche di “centro” e uno, Napoli, va alla lista arancione di De Magistris.
Renzi ha ammesso la sconfitta, eppure non solo non se ne va ma cerca di leggere il risultato elettorale come un consenso dell’elettorato a quel “cambiamento” di cui lui stesso si proclama principale artefice.
La verità è che l'elettorato di sinistra ha voluto punire il governo Renzi in primo luogo attraverso l'astensionismo e poi votando candidati e alleanze opposte a quelle del governo e del PD, com’è il caso di Sesto Fiorentino. E questo non è per il nuovo duce di Palazzo Chigi un buon viatico né per il referendum sulla controriforma costituzionale di ottobre prossimo, né per le prossime elezioni politiche. Tant’è che c’è già chi mette in discussione l’Italicum fascistissimum per prevenire una sonora sconfitta del PD e di Renzi in occasione delle elezioni per il parlamento italiano.

Il vero cambiamento
“Centro-sinistra”, “centro-destra”, Movimento 5 stelle, chiunque abbia prevalso sull'altro, alla fine la musica è e rimarrà sempre quella del capitalismo.
Già in passato la borghesia ha alimentato delle grandi aspettative politiche ed elettorali che poi alla luce dei fatti si sono dimostrate solo una grande illusione e un grande inganno. Perché alla prova dei fatti se non si mette in discussione il capitalismo, il suo sistema economico, sociale, istituzionale, statale e militare, la sua politica interna, le sue alleanze politiche e militari internazionali, a cominciare dalla Ue e dalla Nato, non è possibile produrre alcun cambiamento sostanziale nelle condizioni di vita e di lavoro della classe operaia, delle masse popolari, giovanili e femminili italiane.
Il vero cambiamento non passa certo né dal trasversale Movimento 5 Stelle, né dalla “rivoluzione governante” di De Magistris, né, tantomeno, da esponenti più o meno nuovi del “centro-sinistra”, per lo più fatti a misura e somiglianza di Renzi.
Milioni di elettori lo hanno già oggettivamente compreso scegliendo l'astensionismo. Bisogna che maturi ora la coscienza fra le elettrici e gli elettori di sinistra, che occorre usare l'astensionismo come un voto dato al PMLI e al socialismo. Ci si può astenere per motivi diversi e i più disparati, tutti legittimi e efficaci, per esprimere il proprio dissenso verso i partiti parlamentari, le istituzioni rappresentative borghesi e i governi centrale, regionali e locali. Ma l’astensionismo che fa più male e lascia il segno più profondo è quello espresso consapevolmente e apertamente come voto dato al PMLI e al socialismo. Perché è con questo voto che l’elettorato di sinistra si impegna a spendere le proprie preziose energie per l’avvento del socialismo e per la conquista del potere politico da parte del proletariato, che è la madre di tutte le questioni, e senza la quale non è possibile alcun vero cambiamento.

22 giugno 2016