Con la “Costituente comunista” a Bologna
Nasce un nuovo PCI revisionista
“Si ispira ai valori della Costituzione e si richiama al miglior patrimonio politico ed ideologico dell'esperienza storica del PCI, da Gramsci a Berlinguer, e in particolar modo al pensiero gramsciano e togliattiano”
Che i sinceri comunisti valutino attentamente la nuova-vecchia proposta revisionista

All'insegna dello slogan “Ricostruiamo il Partito comunista” si è tenuta dal 24 al 26 giugno a San Lazzaro di Savena (Bologna) l'“Assemblea nazionale costituente comunista”. Vi hanno partecipato 571 delegati, provenienti per la maggior parte dal PCdI (Partito comunista d'Italia, ex PdCI di Oliviero Diliberto) e da spezzoni del PRC di Paolo Ferrero, con l'intento dichiarato di dare vita, o meglio di ridare vita ad un partito in tutto e per tutto identico, anche nel nome, al vecchio PCI, rivendicandone tutta la storia da Gramsci e Togliatti fino a Berlinguer. Fino cioè alla Bolognina dell'89 che ne annunciò la liquidazione, celebrata due anni dopo a Rimini con la sua trasformazione nel PDS liberale di Occhetto.
Questa “Costituente comunista” fa seguito quindi all'appello lanciato due anni fa dall'”Associazione per la ricostruzione del Partito comunista nel quadro ampio della sinistra di classe”, e firmato allora da falsi comunisti come Angelo D'Orsi, Gianni Vattimo e gli ex “maoisti” Domenico Losurdo e Manlio Dinucci. Alcuni dei quali, come quest'ultimo, e come il noto trotzkista Fausto Sorini (ex PRC corrente “Ernesto” poi PdCI), l'ex PRC Gianni Favaro e gli ex PdCI Vladimiro Ghiacchè e Marina Alfier, si sono nel frattempo ritirati dall'iniziativa, sembra soprattutto per dissensi sulla forma partito di massa che la maggioranza proponeva di costruire da subito, anziché cominciare con la costituzione di un gruppo di avanguardia come proponevano i suddetti dissenzienti.
Tra gli invitati anche una delegazione di Sinistra italiana, guidata da Stefano Fassina che ha anche rivolto un saluto all'assemblea. Presente in sala anche l'opportunista e manovratore Giorgio Cremaschi che gioca su più tavoli. Tra gli invitati stranieri c'erano il segretario dei comunisti siriani, gli ambasciatori di Vietnam e Cina e delegazioni di partiti revisionisti cubani, palestinesi e brasiliani.
Anche il simbolo del nuovo PCI è praticamente identico a quello del vecchio partito revisionista disegnato da Guttuso, salvo la mancanza dei puntini tra le tre lettere della sigla e le aste delle bandiere con la falce e martello e italiana di colore nero: simbolo che già il PCdI di Diliberto, che ne usa una versione appena leggermente diversa, secondo Marco Rizzo avrebbe avuto in “concessione” da D'Alema, che ne detiene di fatto la proprietà tramite l'Associazione Berlinguer creata da Ugo Sposetti. Persino la struttura organizzativa del nuovo partito ricalca fedelmente quella del PCI togliattiano e berlingueriano, con la strutturazione territoriale in cellule, sezioni, federazioni, comitati federali e regionali, fino al Comitato centrale, la Direzione e la Segreteria. E perfino con la ricostruzione della FGCI (Federazione giovanile comunista).

Riesumati il vecchio PCI e la Costituzione
Del resto l'intento di ridare vita non solo ad un nuovo partito comunista revisionista, ma se possibile ad una copia conforme del vecchio PCI, è conclamata in tutti i modi e in tutti i documenti costituenti, a partire dallo Statuto del PCI che, si legge, nasce per il “superamento della vasta diaspora comunista italiana determinata dallo scioglimento del PCI e dalle successive scissioni del movimento comunista italiano”, e si ispira “ai valori della Costituzione repubblicana, della Resistenza e dell'antifascismo, e si richiama al miglior patrimonio politico e ideologico dell'esperienza storica del PCI, da Gramsci a Berlinguer, e in particolar modo al pensiero gramsciano e togliattiano”. Tra l'altro, tra gli inni ufficiali, oltre all'Internazionale e Bandiera Rossa , il nuovo PCI adotta anche l'Inno dei lavoratori del socialriformista Turati e nientemeno che il nazionalista e patriottardo Inno di Mameli .
Nel documento con le venti Tesi per la Costituente, le prime due sono dedicate proprio alla riesumazione e assunzione a modello del vecchio PCI, a partire da Gramsci e dalla sua concezione revisionista dell'”egemonia”, che sostituiva la rivoluzione socialista e la dittatura del proletariato con la conquista progressiva da parte delle masse lavoratrici di “trincee e casematte” della società borghese in vista della loro trasformazione in “classe dirigente”. Sviluppata poi da Togliatti nel dopoguerra con la sua linea socialdemocratica e riformista della “Via italiana al socialismo”, e i suoi tre capisaldi del “partito nuovo”, della “democrazia progressiva” e delle “riforme di struttura”. Tutto ciò, secondo il documento, delineava “un progetto di società socialista che garantisce pluralismo e libertà personali, individuando una sua leva nel modello 'democratico-sociale' descritto dalla Costituzione”.
Non il socialismo, infatti, ma la Costituzione del 1948, di cui si chiede espressamente il “rilancio”, rappresenta l'unico orizzonte chiaro e definito del nuovo PCI revisionista, al punto dall'affermare che se i suoi principi fossero stati attuati ci sarebbe oggi “un modello di società a democrazia partecipata in grado di progredire verso il socialismo”. Salvo poi, riguardo alla posizione da prendere sul referendum costituzionale di ottobre, limitarsi a parlare ambiguamente di “contrastare l'attuale (contro) riforma costituzionale a partire dal referendum”. Senza denunciarne il carattere fascista e piduista e senza chiedere di mandare a casa Renzi (fra l'altro neanche nominato), ma proponendo addirittura delle proprie controriforme del tutto simili, a partire da “una legge di revisione costituzionale che corregga il bicameralismo perfetto”. “La costruzione di una prospettiva socialista” deve avvenire “dentro un sistema di democrazia costituzionale e rappresentativa”, chiosa infatti il documento.

Socialismo “prospettiva di superamento” del capitalismo
Ne consegue che se da una parte si conferma genericamente che ancora oggi il socialismo è la “soluzione alla crisi capitalistica strutturale”, dall'altra il socialismo è ridotto a una non meglio precisata “prospettiva”, la “prospettiva di un superamento del fallimentare e ingiusto sistema economico vigente”. I capisaldi marxisti-leninisti - la lotta di classe, la rivoluzione socialista, l'abbattimento dello Stato borghese e la dittatura del proletariato - non sono neanche nominati. Della madre di tutte le questioni, il potere politico al proletariato, neanche si parla. Anzi, non si parla proprio del proletariato, né tanto meno della necessità di fargli riacquistare la coscienza di classe per sé, di classe generale, che ha perduto proprio grazie all'azione nefasta del PCI revisionista e delle sue filiazioni liberali, riformiste e falso comuniste, ma solo di “ricostruire una coscienza di classe tra coloro che vivono del proprio lavoro”. Lavoro – si sottolinea- come “motore di riscatto, benessere e crescita dei cittadini”: evidentemente all'interno del sistema capitalistico, che continua ad esistere in attesa di un suo futuro “superamento” per grazia ricevuta.
Tanto è vero questo che si cita a vanvera la Nep (Nuova politica economica) di Lenin per dimostrare che oggi è possibile ispirarsi ad essa per “coniugare elementi di mercato e socializzazione”, di rapporto possibile tra economia pianificata e mercato, tra economia pubblica e privata, durante una “lunga fase di transizione prima del passaggio a forme più avanzate di socializzazione”.
Il modello da seguire sarebbero le economie di paesi considerati ancora socialisti, come Cina, Vietnam e Cuba. In particolare la Cina socialimperialista, che secondo il documento sarebbe ancora “un paese ad orientamento socialista”, la cui “poderosa ascesa” non è dovuta ad “una presunta conversione al neoliberismo”, dove conviverebbero piano e mercato e il pubblico avrebbe un ruolo centrale. Dove la cricca fascista di Xi Jinping, tramite il PCC revisionista, “governa un'economia controllata dallo Stato”, la povertà è stata “sradicata”, e dove esiste un “solido sistema di Stato sociale” e di “politiche di aumento del reddito e dei diritti dei lavoratori”. E via favoleggiando, secondo la dottrina revisionista del “marxismo innovativo” esaltata in una scheda tematica presentata da un “alto dirigente” e professore dell'Accademia delle scienze cinese, Cheng Enfu.
A riprova che il revisionismo è il fondamento del nuovo PCI è dimostrato anche dal fatto che nessuno dei suoi documenti, tanto meno la relazione congressuale introduttiva di Bruno Steri e le conclusioni di Mauro Alboresi, eletto segretario nazionale, parla della restaurazione del capitalismo in Urss a partire dal XX Congresso kruscioviano e della lotta di Mao contro il revisionismo moderno.

Al servizio del socialimperialismo cinese
Non soltanto la Cina non è individuata come una superpotenza socialimperialista in concorrenza con le superpotenze imperialiste americana, giapponese ed europea per il dominio del globo, ma è vista, insieme alla Russia del nuovo zar Putin e alle altre potenze emergenti del gruppo BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) come il “nuovo contrappeso nella gerarchia del potere planetario”. In altre parole oggi l'imperialismo e le minacce di guerra sarebbero rappresentati solo dagli Usa (con una alleanza in posizione subalterna di Ue e Giappone), mentre secondo anche la scheda presentata dall'imbroglione e opportunista Losurdo, “oggi è la Cina, diretta da un forte e sperimentato Partito comunista, a costituire il punto di riferimento della lotta contro l'imperialismo, il colonialismo, il neocolonialismo e la guerra”.
Ciononostante si tiene un atteggiamento ambiguo anche nei confronti della Ue imperialista, dalla quale non si chiede affatto l'uscita, come coerenza imporrebbe, ma solo di lottare contro “questa Europa”, contro la sua “attuale configurazione”, e solo per un'”uscita da sinistra dall'euro”. E in tutto ciò ritenendo che “un ruolo centrale debba essere svolto dal Gruppo della sinistra unitaria europea (Gue-Ngl)”, che “dovrà impegnarsi per studiare e promuovere forme di liberazione dal giogo liberista della Ue”: ossia accettandone le istituzioni e le regole parlamentari per cambiarla dall'”interno”, come sostiene del resto anche il nuovo duce Renzi.
Ce ne sarebbero tante altre di queste perle revisioniste, liberali e riformiste disseminate nei documenti costituenti presentati da questi imbroglioni politici, ma lo spazio non basta. E comunque quanto detto ci sembra basti e avanzi per smascherare questa operazione come un'ennesima operazione della classe dominante borghese diretta a ricreare un “nuovo soggetto” a sinistra del PD che di comunista ha solo il nome e la falce e martello, ma che serve in realtà a drenare i voti degli astensionisti di sinistra e riportali nell'alveo dell'elettoralismo, del parlamentarismo e delle istituzioni borghesi.
Dopo le ripetute batoste elettorali, come quella della “Sinistra arcobaleno” nel 2008, e le successive spaccature, diaspore e rimescolamenti, questi falsi comunisti si erano dissolti come neve al sole, ma oggi ricompaiono per costituire questo nuovo partito revisionista che si colloca appena a sinistra di SI di Vendola e Fassina e appena più a destra del Partito comunista dell'imbroglione trotzkista Rizzo, al quale tentano di rosicchiare terreno e che non a caso li attacca bollandoli come “un gruppetto di furbacchioni che vorrebbe 'rifondare' il PCI”, e che alle elezioni “sono andati in supporto al voto di Sinistra italiana …o direttamente alleati col PD come a Cagliari, Marino e Genzano (Rm)”.

Operazione teleguidata dalla borghesia
Evidentemente l'aumento dell'astensionismo di sinistra e i non trascurabili voti presi anche dalle pur poche liste di Rizzo hanno confermato alla borghesia l'esistenza in Italia di migliaia e migliaia di sinceri comunisti ancora in cerca di un partito autenticamente comunista, e che potrebbero trovare nel PMLI, una volta venuteni a conoscenza e aperto un confronto con esso. Per questo la classe dominante borghese ha bisogno ancora di creare degli specchietti per le allodole come il nuovo PCI, rivestiti con il simbolo della falce e martello, per ingannare e tenere ingabbiati gli anticapitalisti e i fautori del socialismo nell'elettoralismo e nel parlamentarismo borghesi.
Nessuna meraviglia, quindi, se a condurre questa operazione teleguidata dalla borghesia ci siano falsi comunisti di lungo corso come Diliberto, che anche se mai nominato ne è palesemente il “grande vecchio”, mentre il trotzkista Paolo Ferrero per ora sta alla finestra a guardare. Questi imbroglioni politici non solo non fanno un doveroso bilancio storico critico del PCI revisionista, come ha fatto il PMLI (vedi il documento che ripubblichiamo in questo giornale), ma non fanno neanche un bilancio autocritico di sé stessi, visto che come Rifondazione comunista hanno sostenuto i governi Prodi e il “pacchetto Treu”, che è il padre del Jobs Act di Renzi, e come PdCI hanno sostenuto senza battere ciglio i bombardamenti di D'Alema sull'ex Jugoslavia, da cui ha preso storicamente slancio l'attuale interventismo dell'imperialismo italiano.
Falsi comunisti e imbroglioni politici come Losurdo, già “maoisti” e fautori della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, poi passati al soldo del socialimperialismo sovietico, di cui hanno difeso i suoi crimini internazionali, e che oggi appoggiano entusiasticamente il socialimperialismo cinese della cricca revisionista e fascista che ha usurpato il potere in Cina dopo la morte di Mao.
Per tutto ciò invitiamo i sinceri comunisti a valutare attentamente questa nuova-vecchia proposta politica e avere il coraggio di fare il bilancio della storia del PCI e del revisionismo moderno a livello internazionale e nazionale e quindi di fare una scelta meditata e consapevole per l'autentico partito del proletariato, il PMLI. Per il bene supremo del proletariato, della lotta di classe e del socialismo.

29 giugno 2016