Secondo il rapporto Eurostat sul primo trimestre 2016
In Italia i salari più bassi d'Europa per effetto del Jobs Act
Il “costo del lavoro” è diminuito dello 0,5% in Italia mentre mediamente è cresciuto dell'1,7%

Quello che viene comunemente definito “costo del lavoro” ha raggiunto in Italia livelli così bassi da registrare un vero e proprio record negativo. Ci riferiamo al salario direttamente corrisposto al lavoratore più quello differito (ad esempio il TFR), ai contributi previdenziali e assistenziali che il capitalista è obbligato a versare agli enti preposti e altri oneri accessori. Quindi non ci si riferisce solamente all'ammontare del salario netto o lordo del lavoratore, che nel sistema capitalistico sarà sempre più basso del suo valore reale, ma ai costi complessivi legati alla prestazione lavorativa che il capitalista deve sostenere. Si tratta in ogni caso di un termine per noi inaccettabile ma che useremo per comodità anche noi.
Ebbene, gli effetti del Jobs Act sorridono alle imprese, molto meno ai lavoratori. Secondo Eurostat (ente di statistica a livello europeo) il “costo del lavoro”, in calo già da un anno, ha toccato a dicembre il minimo storico, dando all’Italia il record della maggiore diminuzione in Europa. I dati Eurostat raccontano di un calo della retribuzione oraria in Italia – nel primo trimestre 2016 – dello 0,5% rispetto allo stesso periodo del 2015. Il calo del salario orario è più contenuto nel settore pubblico (-0,1%) mentre nel settore privato si registra un -0,7%. Dati legati strettamente agli interventi del governo del nuovo duce Renzi, ottenuti soprattutto con il blocco dei contratti nella pubblica amministrazione e con l'introduzione del Jobs Act.
Se si guarda ai singoli comparti privati, è l’industria che segna il calo maggiore sia per il “costo del lavoro” nel complesso (-2,6% a fronte del +1,9% nell’Ue a 28) sia per il salario per ora lavorata (-1,4% a fronte del +2% in Ue). Nelle costruzioni si registra un calo del 3,1% del costo del lavoro trainato da un -8% dei costi non salariali (-0,9% il salario orario). Nei servizi, il calo del salario orario registrato in Italia è dello 0,2% (+1,5% l’Ue a 28) mentre il costo del lavoro complessivo segna un -1,6%.
Il dato italiano è in netta controtendenza perché in Europa c’è stato un aumento dell’1,7% tendenziale e l'Italia, assieme a Cipro, è l'unico Paese dove cala. Ad alleggerirsi sono soprattutto i “costi non salariali” (-3,9%), grazie agli sgravi contributivi introdotti dal Jobs Act. La voce include i contributi sociali versati dal datore di lavoro, più le tasse sul lavoro stesso al netto dei sussidi ricevuti. In Europa, dice ancora Eurostat, le differenza tra i diversi Paesi sono ancora molto elevate. Si va da un minimo di 4,10 ad un massimo di 41,30 euro. Il primato per il più basso costo è riservato a Bulgaria e Romania mentre dal lato opposto della classifica ci sono Danimarca e Belgio. Per l’anno 2015, la media del costo orario del lavoro è stata pari a 25 euro per l’Unione europea e a 29,50 euro per la Zona euro. Riguardo alle variazioni verificate tra il 2014 e il 2015, si sono registrati aumenti del 2% per l’Unione europea e dell’1,5% per la zona euro.
Ma i dati di Eurostat ci dicono chiaramente che le conseguenze del Jobs Act non fanno solo risparmiare soldi alle imprese attraverso la decontribuzione. Nonostante questa sia stata quasi del tutto annullata, facendo crollare le assunzioni a tempo indeterminato (o per meglio dire a “tutele crescenti” senza la tutela dell'articolo 18), gli effetti della controriforma del “mercato del lavoro” rimangono a lungo termine. Permane la libertà di licenziamento senza giusta causa, la possibilità di demansionamento e quindi di un quadro ricattatorio che di fatto blocca le rivendicazioni salariali dei lavoratori e di conseguenza le loro buste paga. Un fattore che spinge ancora più in basso gli stipendi dei lavoratori italiani che già da tempo si trovavano agli ultimi posti della classifica europea.
“Dopo avere propagandato il calo delle tasse, ci attendiamo che il governo commenti anche il calo dei salari... non rinnova i contratti scaduti a 8 milioni di dipendenti e sostituisce gli aumenti mancanti con il bonus Irpef degli 80 euro”, ha dichiarato polemicamente il segretario confederale della Cgil, Franco Martini. Ma tagliare i salari non è un effetto collaterale bensì un obiettivo perseguito sistematicamente dal governo Renzi e sostenuto dall'Unione Europea che ha sempre auspicato anche per il nostro Paese meno vincoli per le imprese e più flessibilità del mondo del lavoro per dare “competitività” alle aziende italiane. Un compito che Renzi ha svolto diligentemente togliendo diritti ai lavoratori e comprimendo ulteriormente i loro salari.

29 giugno 2016