Prendendo a pretesto la democraticità e la trasparenza
La Camera approva una legge che impone la concezione borghese del partito, istituzionalizza i partiti e ficca il naso dello Stato al loro interno
I partiti devono rimanere Associazioni non riconosciute

L'approvazione della legge sui partiti da parte della Camera, avvenuta l'8 giugno, richiede una premessa storica.
I partiti politici nascono nella storia moderna con le rivoluzioni borghesi, in modo particolare durante gli avvenimenti che portarono alla Rivoluzione inglese del 1689 (Whigs e Tories) e ricevono un ulteriore impulso con la Rivoluzione americana e la nascita degli Stati Uniti d’America nel 1776 (Partito Democratico-Repubblicano e Partito Federalista) e con la Rivoluzione francese a partire dal 1789 (i più importanti furono i Club dei Giacobini, dei Cordiglieri, dei Foglianti, dei Girondini e dei Montagnardi).

Quando e come sono nati storicamente i partiti
Nell’ambito delle tre menzionate rivoluzioni le rispettive borghesie nazionali, che comunque detenevano ampiamente il potere economico da secoli, crearono i partiti politici, che in origine erano semplicemente movimenti di opinione senza una delineata forma giuridica, con un chiaro scopo rivoluzionario al fine di imporre ai rispettivi monarchi organi rappresentativi dove, tramite i partiti appunto, i rappresentanti della borghesia avrebbero discusso e approvato le leggi, e ciò quindi in radicale contrapposizione all’ordinamento giuridico della monarchia assoluta dove l’apparato che faceva capo al re non prevedeva organi rappresentativi. Pertanto i partiti politici si connotano sin dall’origine come istanze di carattere rivoluzionario o comunque totalmente svincolate dall’apparato statale che faceva capo ai rispettivi monarchi.
Negli Stati Uniti i partiti nascono come organismi di contrapposizione democratico-borghese all’apparato dei singoli Stati e a quello dello Stato federale, ossia agli elementi autoritari che ricalcavano, in ambito repubblicano, il potere di governo già monarchico.
Ma la frattura più radicale nell’ambito della concezione di partito politico si ha nel 1848 con la pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista dove Marx ed Engels chiariscono che l’organizzazione che prende il nome di Partito Comunista deve essere il fattore decisivo verso la Rivoluzione socialista che ha lo scopo di portare al potere il proletariato, abbattere il capitalismo, il potere della classe borghese e l'apparato statale borghese che si era delineato a partire dalle rivoluzioni dei due secoli precedenti. La differenza maggiore rispetto ai partiti borghesi sta nel fatto che i primi nascono, ad opera della borghesia, per la gestione di un potere politico che è strumento, a sua volta, della gestione di un potere economico che già la borghesia aveva da secoli, mentre il Partito comunista nasce per consentire al proletariato la conquista sia del potere politico sia del potere economico, non avendo il proletariato mai avuto nella storia né l’uno né l’altro di tali poteri. Lenin settanta anni più tardi rafforza tale concezione rivoluzionaria di partito elaborando, in contrapposizione con la concezione dominante dei partiti politici borghesi, il concetto di ‘centralismo democratico’ per cui “la linea, le indicazioni, le direttive e le misure del Partito vanno applicate comunque, anche ciò su cui, eventualmente, non siamo d'accordo. Chi dissente ha il diritto di porre la questione nelle sedi di Partito attraverso la critica e l'autocritica, in modo dialettico e costruttivo, usando la formula unità-critica-unità, cercando di non trasformare una contraddizione in seno al popolo in una contraddizione antagonista. Ciò all'interno della propria istanza, investendo successivamente le istanze superiori, qualora lo ritenga necessario e se si tratta di questioni di carattere generale ” (G. Scuderi, La linea del PMLI sul centralismo democratico , in Il Bolscevico n. 27 del 12 luglio 2012, p. 8).
Esiste quindi una contraddizione tra la concezione borghese e la concezione marxista-leninista di partito dovuta al fatto che quest’ultima prevede non dibattiti finalizzati alla conservazione del sistema economico e dell’ordinamento politico esistente, ma unità di azione finalizzata all’abbattimento rivoluzionario di entrambi.
Accanto a tale contraddizione tra le due concezioni di partito sopra esposte, ve ne è anche un’altra, tutta interna al campo borghese, dovuta al fatto che i partiti politici borghesi, nati tra il XVII e il XVIII secolo per rappresentare l’interesse peculiare della borghesia (fino ai primi decenni del XX secolo il voto era censitario e le donne erano escluse dal voto), si dovettero scontrare con la concezione della democrazia proletaria introdotta dal pensiero socialista e attuata prima con la Comune di Parigi del 1871 e qualche decennio più tardi con la Rivoluzione di Ottobre del 1917.
La borghesia reagì a tale pressione democratica in modo diversificato a seconda della situazione nazionale, in alcuni casi introducendo una variante istituzionale sotto forma di Stato autoritario a partito unico (dittatura terroristica aperta realizzata nel fascismo, nazismo, franchismo, ecc.) per continuare a detenere il potere economico, mettendo al bando tutti i partiti eccetto uno o (come nel caso della Repubblica di Vichy) consentendo l’esistenza solo a partiti politici conservatori, in ogni caso introducendo norme che regolamentavano la vita del partito unico o dei partiti di regime.
Il fenomeno della regolamentazione pubblica della vita interna dei partiti politici da parte dello Stato (e quindi della loro istituzionalizzazione) è un fenomeno recente (risalente agli anni Venti e Trenta del Novecento) rispetto alla loro vita plurisecolare, e deve considerarsi un fatto che si verifica nei momenti di grave crisi del sistema stesso, quando vi è un calo di consenso verso il sistema politico stesso, e proprio per rispondere a tale calo di consenso il sistema politico si organizza per investire di prerogative pubblicistiche i partiti stessi (prerogative che, come si è visto, erano totalmente estranee alla nascita dei partiti e alla loro vita fino a Novecento inoltrato).

Il controllo dello Stato sui partiti che vuole Renzi
Quindi la seconda contraddizione, tutta interna al sistema economico capitalista e all’ordinamento giuridico che ne è sovrastruttura, è quella per cui lo Stato borghese impone un controllo a quei partiti politici che sono, al contrario, nate come contrappeso liberale al potere assoluto dello Stato stesso, ed è di quest'ultima contraddizione che si occuperà questo articolo.
In Italia sta attualmente avvenendo tale seconda contraddizione, che snatura il ruolo dei partiti all’interno dell’ordinamento giuridico borghese nato con la Costituzione del 1948.
Il nostro giornale è sempre stato molto attento ai tentativi che ormai da anni si stanno attuando per istituzionalizzare i partiti politici (si vedano, tra gli altri, Il Bolscevico n. 30 del 1° agosto 2013, p. 9 e n. 25 del 25 giugno 2015, p. 2 dedicati rispettivamente alle discussioni nell’ambito dell’Assemblea costituente in relazione al disegno di legge n. 260 Finocchiaro-Zanda e al disegno di legge n. 1938 a firma, tra gli altri, del deputato PD Guerini), tentativi che smascherano una linea politica coerente perpetrata prima dal gruppo dirigente bersaniano del PD, poi proseguita dall’attuale gruppo dirigente renziano dello stesso partito, di istituzionalizzare i partiti politici con il chiaro fine di metterli sotto il controllo del ministero dell’Interno (e quindi della polizia), una linea politica nella quale si sono inseriti anche gli altri partiti e persino il Movimento 5 Stelle.
Con l’ascesa al potere di Renzi, decaduto definitivamente il disegno di legge n. 260 a firma di Finocchiaro e Zanda, sono invece proseguiti i lavori alla Camera del disegno di legge n. 1938 a firma del renziano Guerini che impone alle liste, quale condizione per poter partecipare a elezioni nazionali, di dotarsi di uno statuto regolato dalla legge, acquisire la personalità giuridica e iscriversi in un apposito registro (al contenuto di tale proposta legislativa si rimanda all’esaustiva disamina fatta ne il Bolscevico n. 25 del 25 giugno 2015), tanto che lo scorso marzo non soltanto da parte del Movimento 5 Stelle (come era prevedibile) ma anche da parte di altre formazioni politiche c’è stata alla Camera una chiara presa di posizione contro il progetto politico renziano, e le critiche sono venute non solo dall’opposizione ma anche dalla maggioranza: infatti a sollevare dubbi sul testo messo nero su bianco da Guerini ci hanno pensato i deputati Alfredo D’Attorre (Sinistra Italiana) e Andrea Mazziotti (Scelta Civica), quest’ultimo rappresentante della maggioranza che sostiene il governo.
Il tema più spinoso è quello relativo al riconoscimento giuridico dei partiti, vero fulcro della proposta legislativa che fa capo a Guerini che ritiene, come si legge nella relazione introduttiva della proposta di legge indispensabile “la necessaria acquisizione della personalità giuridica per i partiti che intendano prendere parte alle elezioni politiche nazionali e candidarsi alla guida del Paese ” per conseguire la quale le stesse formazioni politiche dovranno necessariamente dotarsi “di un atto costitutivo e di uno statuto redatti nella forma dell’atto pubblico ”, fatto che da solo sarebbe sufficiente a eliminare dalla scena politica il Movimento 5 Stelle che, almeno nella sua forma attuale, è privo di statuto.
Alfredo D’Attorre ha proposto, pur senza escludere il principio del riconoscimento giuridico dei partiti, un doppio regime, il primo, applicabile ai movimenti che intendano presentarsi esclusivamente alle elezioni, con una regolamentazione interna meno stringente, ed un secondo, più rigoroso, che al contrario impone di acquisire la personalità giuridica e norme più vincolanti ai partiti che intendano accedere a qualsiasi forma di finanziamento pubblico.
Anche Mazziotti ha ritenuto che “la libertà di associarsi liberamente non può significare assenza di disciplina ” pur esprimendo la forte preoccupazione che “una regolamentazione troppo rigida che porti addirittura  all’esclusione di un partito dalle elezioni oltre a non vedermi d’accordo, rischia di stringere troppo i cordoni della partecipazione elettorale, impedendo, ad esempio, la possibilità per i cittadini di presentare  liste civiche ”, come si legge nella relazione introduttiva al suo disegno di legge. In modo particolare la sua proposta prevede che quello che il deputato di Scelta Civica chiama “accordo associativo ” (che equivale allo statuto nei tradizionali partiti politici), sul quale il partito o il movimento politico si fonda e che può essere liberamente determinato, debba solo essere pubblico e accessibile agli iscritti o a chi volesse aderirvi, altrimenti si rinvia alla disciplina del codice civile.
Come si vede, entrambe le proposte alternative a quella del PD, pur comprendendo le implicazioni antidemocratiche del disegno di legge Guerini, non escludono affatto l’interferenza statale nella vita politica dei partiti, poiché accolgono il principio della necessaria democraticità interna, e quindi dei necessari controlli esterni sulla loro vita interna.
Agli inizi di aprile anche il Movimento 5 Stelle, a firma del suo deputato Toninelli, ha presentato in commissione Affari costituzionali della Camera una sua proposta di legge sulla trasparenza dei partiti e dei movimenti politici, tutta incentrata sulla problematica della gestione finanziaria da parte dei partiti, e in essa non c’è traccia della questione del necessario riconoscimento.
Il testo proposto da Toninelli introduce il divieto, per i partiti e i movimenti politici, “di accettare contributi o altre forme di sostegno ”, anche tramite “la messa a disposizione di servizi ”, da parte “di persone fisiche o giuridiche che non acconsentano alla pubblicità dei relativi dati ” o che provengano “da Stati esteri o da persone giuridiche aventi sede in uno Stato estero o da persone fisiche non iscritte nelle liste elettorali o comunque private del diritto di voto alle elezioni nazionali ”, introducendo anche precisi limiti ai contributi e prevedendo sanzioni pecuniarie (che dovrà irrogare una apposita “commissione ” statale) nei confronti del movimento politico che violi tali norme di trasparenza.
A ben guardare, anche il testo del Movimento 5 Stelle prevede una pesante interferenza statale nella vita interna dei partiti.
Infine, agli inizi di maggio Matteo Richetti (PD) ha presentato un nuovo testo base della riforma relativa alla regolamentazione dei partiti, e da tale testo è stata esclusa la necessità dell’obbligo dell’iscrizione all’albo dei partiti ai fini della partecipazione alla competizione elettorale, obbligo che invece era il punto principale del disegno di legge a firma di Guerini. Il nuovo testo del PD prevede che per i movimenti che intendano partecipare alla competizione elettorale sia previsto solo il vincolo della presentazione di una dichiarazione di trasparenza che dovrà contenere alcuni elementi fondamentali, pena la ricusazione delle liste, si dovrà indicare il “legale rappresentante del partito o del gruppo politico e la sede legale nel territorio dello Stato; gli organi del partito o del gruppo politico, la loro composizione nonché le relative attribuzioni; le modalità di selezione dei candidati per la presentazione delle liste ”.

L'approvazione della Camera
In totale sono state presentate ben 18 diverse proposte legislative da quasi tutte le forze politiche presenti alla Camera prima che, l’8 giugno, fosse approvato alla Camera il disegno di legge proposto dal PD, originariamente da Guerini con gli emendamenti di Richetti, che, pur escludendo la necessità di iscrizione ad apposito registro per presentarsi alle elezioni, non risolve certamente tutti i problemi che il PMLI ha da molto tempo denunciato.
Così, dopo ben 222 emendamenti presentati da quasi tutte le forze politiche rappresentate alla Camera, hanno votato a favore del disegno di legge 268 deputati (Partito Democratico, Alleanza Popolare, Scelta Civica e il presidente del gruppo Misto Pino Pisicchio), hanno votato contro 36 parlamentari (Sinistra Italiana e Conservatori e Riformisti) mentre si sono astenuti i 114 rappresentanti del Movimento 5 Stelle, Forza Italia, Lega Nord e Democrazia Solidale-Centro Democratico. Rientrate quindi le riserve di Scelta Civica (che alla fine ha votato a favore), e rimaste isolate le posizioni di Forza Italia (che si è limitata a richiedere l’innalzamento, per le donazioni, da 100mila a 200mila euro l’anno) le maggiori critiche al testo del PD sono venute dal M5S e da SI, peraltro per motivi molto diversi e con diverse modalità di manifestazione del dissenso, in quanto il primo si è astenuto mentre il secondo ha votato contro:  per il M5S infatti la posta in gioco è quella di evitare statuti o regole che possano interferire con le loro logiche interne tutt’altro che chiare, perché non bisogna dimenticare che il loro simbolo è di proprietà di Beppe Grillo e la loro organizzazione è in gran parte regolamentata dalla Casaleggio Associati srl, un’azienda privata, mentre la scelta di Sinistra Italiana è stata soprattutto quella di lamentare la debolezza, nel disegno di legge del PD, dei meccanismi volti a regolamentare la vita dei partiti stessi, invocando quindi un maggiore intervento pubblico sugli stessi e auspicando una netta, quanto artificiosa nonché certamente interessata, differenziazione all’interno delle forze politiche nazionali tra partiti riconosciuti pubblicamente (e che possono accedere ai finanziamenti pubblici) e partiti non riconosciuti (che non possono accedervi). Del resto è mancata, da parte non solo delle due ultime forze politiche ricordate, ma anche da tutte le altre che hanno dibattuto il disegno di legge, una analisi, anche minima, sulla questione del sempre più accentuato distacco delle masse popolari italiane dalle istituzioni, nonché dell'ormai cronica sfiducia verso i partiti del regime, come dimostra il massiccio astensionismo nelle ultime elezioni comunali. 
Innanzitutto, secondo il testo passato alla Camera, solo i partiti che hanno uno statuto che garantisce la democrazia interna possono avere dei benefici fiscali come il 2 per mille e sono iscritti in un apposito Registro, ma non si comprende quale sia l’organo deputato a emettere il giudizio circa la democraticità interna o meno. Infatti all’articolo 2 il testo di legge si limita a stabilire che “la vita interna dei partiti, movimenti e gruppi politici organizzati e la loro iniziativa politica sono improntate al metodo democratico ”.
Altra grave limitazione alla libertà di autodeterminazione dei partiti politici è quella che prevede l'obbligo di affidare l'uso del simbolo e del nome al partito e non a un singolo, con la conseguenza che "ogni modifica e ogni atto di disposizione o di concessione in uso della denominazione e del simbolo è di competenza dell'assemblea degli associati o iscritti ", e i simboli verranno pubblicati sul sito internet del Ministero dell'Interno, e in caso di mancato deposito dello statuto o della dichiarazione di trasparenza, le liste sono ricusate dall'Ufficio centrale circoscrizionale.
Si prevede poi la "trasparenza degli organi, delle regole interne e delle modalità di selezione delle candidature " anche per quei movimenti politici che non siano iscritti al registro dei partiti, e sono state introdotte precise regole per l'istituzione e per l'accesso all'anagrafe degli iscritti e per l'indicazione dei criteri di ripartizione delle risorse tra organi centrali e le eventuali articolazioni territoriali, con la comminatoria della sanzione di 30.000,00 euro per i partiti che non pubblicano i dati su internet.

Partiti e associazioni diventano appendici statali
Tale previsione è disposta dall’art. 5 del testo di legge, che limita pesantemente l’autonomia e autoregolamentazione dei partiti e li obbliga a sottostare a pesanti procedure burocratiche alle quali sovraintende il ministero dell’Interno, con la lunga mano ovviamente della sua polizia. L’art. 5  prevede nel suo primo comma che “nei rispettivi siti internet i partiti, movimenti e gruppi politici organizzati istituiscono un'apposita sezione, denominata ‘Trasparenza’, che rispetti i princìpi di elevata accessibilità, anche da parte delle persone disabili, di completezza di informazione, di chiarezza di linguaggio, di affidabilità e di semplicità di consultazione. In tale sezione sono pubblicati lo statuto, ove il partito sia iscritto nel registro dei partiti politici, il rendiconto di esercizio e tutti gli altri dati indicati dall'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 13, nonché l'elenco dei beni di cui all'articolo 6, comma 1, e le erogazioni di cui all'articolo 6, comma 11, della presente legge ”. Tutto ciò che dispone il menzionato primo comma è dettato per partiti, movimenti e gruppi organizzati che siano iscritti nel registro dei partiti politici di cui all’art. 4 del decreto legge n. 149/2013 convertito in legge n. 13/2014, ossia delle formazioni politiche che possano accedere al finanziamento pubblico, e ciò ha anche una certa logica, in quanto lo Stato richiede, a fronte di finanziamenti pubblici che eroga a favore di una formazione giuridica di diritto privato (il partito) precise garanzie e specifica trasparenza affinché quest’ultimo non dilapidi denaro pubblico, come in passato è accaduto. Ma il fatto gravissimo è che tali penetranti controlli siano estesi anche a formazioni politiche che non siano ricomprese nel menzionato art. 4 del decreto legge n. 149/2013, e che quindi non ricevano soldi pubblici dallo Stato, infatti il secondo comma dell’art. 5 del testo di legge approvato alla Camera dispone che “per i partiti, movimenti e gruppi politici organizzati non iscritti nel registro dei partiti politici di cui all'articolo 4 del decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 13, fermo restando quanto previsto dal comma 1 del presente articolo, sono pubblicati nella medesima sezione del sito internet di cui al citato comma 1 le procedure richieste per l'approvazione degli atti che impegnano il partito, movimento o gruppo politico organizzato, il numero, la composizione e le attribuzioni degli organi deliberativi, esecutivi e di controllo, le modalità della loro elezione e la loro durata, le modalità di selezione delle candidature nonché l'organo comunque investito della rappresentanza legale. È inoltre pubblicata l'indicazione del soggetto titolare del simbolo del partito, movimento o gruppo politico organizzato; se il soggetto titolare del simbolo è diverso dal partito, movimento o gruppo politico organizzato, sono pubblicati anche i documenti che abilitano il partito, movimento o gruppo politico organizzato ad utilizzare il simbolo ”. Insomma, se il disegno di legge approvato alla Camera supererà anche il voto del Senato, tutta la vita interna di una qualsiasi formazione politica, in ogni suo minimo dettaglio, dovrà essere sottoposta al controllo di organi dello Stato, che potrà quindi interferire in modo penetrante e invasivo nella vita politica dei partiti e dei movimenti di opposizione. Infatti il terzo comma dell’art. 5 del disegno di legge approvato alla Camera dispone che “la Commissione di cui all'articolo 9, comma 3, della legge 6 luglio 2012, n. 96, verifica il rispetto degli obblighi di cui al comma 2 del presente articolo e, ove ravvisi un inadempimento totale o parziale, indica al partito, movimento o gruppo politico organizzato quali integrazioni siano necessarie. Il partito, movimento o gruppo politico organizzato deve conformarsi alle suddette indicazioni entro i successivi quindici giorni. Ove l'inadempimento permanga, la Commissione applica una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 15.000” . La commissione alla quale fa riferimento il terzo comma sopra citato, istituita dalla legge n. 96/2012, è la Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici,è composta da cinque componenti, di cui uno designato dal primo presidente della Cassazione, uno designato dal presidente del Consiglio di Stato e tre designati dal presidente della Corte dei conti. Si va quindi verso un regime di sottoposizione dei partiti politici allo Stato, e con ciò si snatura l’essenza stessa delle formazioni politiche che, come si è detto, nacquero negli scorsi secoli proprio per garantire la rappresentanza politica - prima di un ristretto ceto borghese e poi, con l’estendersi del suffragio, a sempre più estese masse popolari - in contrapposizione dialettica con lo stesso Stato.
Gravemente lesiva della libertà dei partiti politici è anche l'articolo 9 del testo di legge, che introduce sanzioni amministrative pecuniarie ai partiti iscritti nel registro in caso di mancata pubblicazione sul sito dei propri bilanci, da 20.000,00 a 40.000,00 euro, e la stessa sanzione si applica in caso di omissione o di dati difformi rispetto alle scritture e ai documenti contabili.
Come si vede, anche se è stato scongiurato il pesante fardello dell’imposizione del riconoscimento, di fatto il testo approvato alla Camera prevede una pesante interferenza nella vita interna di qualsiasi formazione politica che in tal modo viene comunque istituzionalizzata e la cui vita interna viene comunque esposta al controllo dell’autorità pubblica, una variante autoritaria del terzo millennio della concezione borghese del partito che ha trovato storicamente corpo negli Stati autoritari come l’Italia fascista, la Germania nazista, la Spagna franchista o la Repubblica di Vichy del maresciallo Petain, e forse è quest’ultimo modello di Stato borghese quello che più di tutti si assomiglia al sistema voluto dal PD in Italia, in quanto anche allora sedevano in parlamento alcune formazioni politiche, tutte di estrema destra e tutte rigorosamente sotto il controllo dell’esecutivo, che era il vero arbitro della vita politica di tale Stato fantoccio.

Perché i partiti devono rimanere Associazioni non riconosciute
E’ quindi evidente che la riforma iniziata da Bersani e proseguita da Renzi risponde all’esigenza di stabilità richiesta a gran voce dalla borghesia italiana in un momento in cui, i risultati elettorali parlano chiaro, la sovrastruttura rappresentativa dello Stato borghese è in assoluta crisi di credibilità e di rappresentatività. Al termine di questa ampia disamina del testo di legge approvato dalla Camera, anche le sue disposizioni sono certamente differenti rispetto a quelle del disegno di legge n. 260 Finocchiaro-Zanda (commentato ne Il Bolscevico n. 30 del 1° agosto 2013) e anche rispetto all’originario disegno di legge che ha dato vita alla riforma votata l’8 giugno scorso, ossia il n. 1938 Guerini (commentato ne Il Bolscevico n. 25 del 25 giugno 2015), è indispensabile ribadire a chiare lettere la posizione politica assunta dal Partito marxista leninista italiano, secondo la quale i partiti devono rimanere, nei confronti dello Stato borghese, associazioni non riconosciute, ed essere regolamentati e disciplinati solo ed esclusivamente dagli articoli 36 e seguenti del codice civile, e deve essere respinto con vigore il tentativo di introdurre norme di diritto pubblico che interferiscano sulla vita interna delle organizzazioni politiche le quali, con il pretesto di un controllo della loro democraticità interna e trasparenza esterna, vengono in realtà sottomessi a un penetrante controllo istituzionale da parte di quell’apparato statale borghese nei cui confronti devono rimanere rigorosamente indipendenti.
Questa linea politica infatti deriva da una plurisecolare tradizione di democrazia borghese intaccata soltanto dai regimi autoritari di stampo nazifascista, come si è visto, e non è un caso che tale linea politica è risultata predominante anche nelle ampie discussioni che sul tema si svolsero in seno all’Assemblea costituente (per un ampio esame di esse si veda Il Bolscevico n. 30/2013) dove la linea fermamente antifascista e antiautoritaria portata avanti da PCI, PSIUP e da gran parte della DC ebbe la meglio nel dare corpo e sostanza all’art. 49 della Costituzione, nel quale non vi è traccia di regolamentazione pubblica come negli ultimi anni fortemente voluta soprattutto dal PD e come da ultimo introdotta dal testo di legge votato lo scorso 8 giugno alla Camera.
 
 
 
 

29 giugno 2016