Costati all'Italia oltre un miliardo di euro
Renzi schiera missili per difendere la Turchia del fascista Erdogan

Se non ne avesse parlato la stampa turca niente avremmo saputo in Italia: Renzi e Pinotti hanno inviato nel sud della Turchia del fascista Erdogan una batteria di missili terra-aria SAMP/T e un contingente militare, nell'ambito della missione Nato “Active Fence”, per “proteggere” il confine turco con la Siria. In una zona cioè caldissima, dove sono in corso aspri combattimenti a terra e dove i rischi di incidenti con gli aerei russi che sfrecciano nella zona sono altissimi, così come la possibilità di un coinvolgimento del nostro paese in un conflitto più vasto. E tutto questo praticamente all'insaputa della stampa e dell'opinione pubblica, che nessuno ha mai informato della grave decisione.
Si tratta di una batteria di missili antiaerei e antimissile di ultima generazione, realizzati dal consorzio italo-francese Eurosam (MBDA e Thales), la cui progettazione e produzione è costata al nostro paese più di un miliardo di euro. Insieme alla batteria il governo italiano ha inviato anche 130 militari provenienti dal 4° reggimento Peschiera di Mantova e dal Comando artiglieria contraerei di Sabaudia.
La notizia è trapelata solo perché il 7 giugno scorso la stampa turca e l'agenzia di Stato “Anadolu” hanno pubblicato le foto dell'arrivo dei camion civili che trasportavano i missili nella zona di Kahramanras, a nord di Gaziantep, nel sud del Paese in prossimità della frontiera con la Siria, accompagnati da alcune decine di addetti italiani in abito civile. A bordo del convoglio, partito dal porto di Iskenderun e scortato da auto della polizia, erano presenti anche decine di militari. Lo stesso giorno i ministri Gentiloni e Pinotti hanno “informato” le Commissioni Esteri e Difesa della missione, senza che peraltro siano stati chiesti loro ulteriori chiarimenti dai pochi parlamentari presenti.
I ministri si sono limitati a comunicare che la missione italiana era prevista da tempo per andare ad avvicendare le batterie di missili Patriot, recentemente ritirate dai tedeschi e dagli americani, e schierate dalla Nato per difendere il confine meridionale della Turchia, su richiesta del governo turco in quanto paese membro dell'alleanza. Oltre ai missili il governo italiano schiera anche un aereo per il rifornimento in volo che andrà a rinforzare il sistema di spionaggio aereo Awacs (Airborne warning and control system).
In realtà, come aveva anticipato il 18 maggio la rivista “Analisi Difesa”, la partenza imminente della batteria missilistica italiana era deducibile dallo stanziamento di oltre 7 milioni di euro di qui a fine anno inserito nel decreto missioni approvato a fine 2015 per la partecipazione all'operazione Nato “Active Fence”. Ma nessun altro ne aveva parlato, e il Paese ne è rimasto del tutto all'oscuro fino alle rivelazioni della stampa turca. Il giornale “Daily Sabah” ha parlato del dispiegamento di un “sistema di difesa aerea avanzato italiano per combattere lo Stato islamico”, che però tutti sanno che non dispone di missili o velivoli di sorta. E allora a che servono i missili italiani?
Quello che si sa è che batterie di missili antiaerei della Nato, soprattutto americane, e a rotazione anche olandesi, tedesche e spagnole, erano state installate fin dal 2013 a ridosso della Siria su richiesta del fascista Erdogan, evidentemente come minaccia nei confronti del governo di Assad e come deterrente verso eventuali risposte militari all'appoggio turco ad alcune fazioni ribelli e per coprire le operazioni militari e i bombardamenti contro i curdi del PKK. Dopo la provocazione di Erdogan che ordinò l'abbattimento del cacciabombardiere russo il 24 novembre scorso, cercando evidentemente l'escalation per schierare più decisamente la Nato in difesa della sua strategia egemonica nella regione, ostacolata dall'intervento militare di Putin in difesa di Assad, gli americani hanno deciso di ritirare le loro batterie e farsi sostituire dagli alleati europei: forse a causa dell'inaffidabilità di Erdogan e per diminuire il rischio di uno scontro diretto con i russi.
Sta di fatto che ora la patata bollente è nelle mani degli italiani, e non si sa con quali regole d'ingaggio (perché sono top secret), e nemmeno quale sia esattamente la catena di comando, se saranno cioè i militari italiani che operano al confine turco a decidere se e quando lanciare i missili, magari contro aerei russi, e in base a quali regole, o se debbano semplicemente obbedire agli ordini provenienti dal comando Nato unificato di Ramstein in Germania. Che è come dire direttamente dal governo americano, che tra l'altro in questo momento è impegnato in un confronto muscolare assai duro e pericoloso con la Russia di Putin. E non soltanto nell'esplosivo scacchiere mediorientale, ma anche a ridosso degli stessi confini della Russia: nel Baltico, nei paesi dell'Est europeo e nel Mar Nero.
I missili SAMP/T sono un sistema d'arma nuovissimo e sofisticatissimo, ma anche molto pericoloso da maneggiare: è in grado di lanciare fino a 8 missili in 10 secondi con un tempo di reazione di 8 secondi. Può operare su 360° e ingaggiare fino a 10 bersagli contemporaneamente. Facile capire che può bastare un minimo errore di valutazione per provocare un incidente internazionale di proporzioni catastrofiche. Anche perché pure i russi, dopo l'abbattimento del loro Sukhoi 24, dalla loro base siriana hanno schierato batterie di missili antiaerei puntati sul confine turco, e hanno già avvertito che stavolta risponderanno per le rime in caso di un nuovo abbattimento di uno dei loro aerei.
Non è dunque affatto vero che Renzi non si vuole far coinvolgere nel conflitto siriano. Come l'invio del contingente a “proteggere” la diga di Mosul serve a mascherare l'escalation dell'interventismo italiano in Iraq contro l'IS, così l'invio di soppiatto dei missili a “proteggere” il confine turco-siriano maschera l'interventismo italiano in quest'altra area, schierando l'Italia a fianco del boia fascista Erdogan e della sua politica egemonica regionale basata sul massacro dei curdi e l'ingerenza nel conflitto siriano. E anche con seri pericoli di un coinvolgimento in un conflitto molto più vasto, potenzialmente anche mondiale se ci dovesse essere uno scontro Nato-Russia.
 

29 giugno 2016