Dopo la Brexit
Il vertice europeo serra i ranghi per rafforzare l'UE imperialista
Nessuna risposta concreta ed efficace ai problemi che affliggono i popoli europei. Ribadita la leadership dei capi di Stato e di governo rispetto alla Commissione europea
Rafforzate le relazioni Ue-Nato per fronteggiare le “sfide senza precedenti che vengono da Sud e da Est”

 
“Il primo ministro del Regno Unito ha informato il Consiglio europeo sull'esito del referendum tenuto nel suo paese” recitava il 23esimo e ultimo punto del comunicato finale del vertice europeo di Bruxelles del 27 e 28 giugno che ratificava l'uscita della Gran Bretagna; gli altri 22 capitoli erano dedicati ai passagi formali necessari al distacco di Londra, che saranno sviluppati dal consiglio straordinario già convocato per il 16 settembre a Bratislava, e soprattutto a indicare i punti del ricompattamento di una Ue imperialista messa in crisi dal voto del referendum inglese e dalle spinte centrifughe che potrebbe innescare. La cancelliera Angela Merkel l'ha definita una “situazione molto grave, è la prima volta che uno Stato membro decide di partire”, una condizione molto diversa rispetto alle precedenti crisi.
Nella loro dichiarazione comune i 27 sottolineavano che occorreva “organizzare il ritiro ordinato” della Gran Bretagna e che “spetta al governo britannico, appena sarà pronto a farlo, notificare al Consiglio europeo” la volontà di attivare l'art.50 del Trattato di Lisbona che darà il via alla procedura ufficiale, senza trattative preventive; una volta ricevuta la comunicazione ufficiale sarà il Consiglio europeo a adottare “le linee guida per la negoziazione di un accordo con il Regno Unito” che secondo la Merkel dovrebbe portare a definire le condizioni che legheranno “in futuro uno stretto partner Ue”. Il legame delle Borse è già stato definito, anche per ostacolare la Brexit, dall'intesa sulla fusione tra Londra e Francoforte sotto guida tedesca, il resto è da vedere. L'imperialismo britannico ha ancora un peso sul piano economico e militare che i colleghi imperialisti della Ue non possono sminuire e non possono cacciarlo sbattendogli semplicemente la porta in faccia.
Il futuro immediato è comunque senza Londra e i 27 sottolineavano che “l'esito del referendum del Regno Unito crea una situazione nuova per l'Unione europea. Noi siamo determinati a rimanere uniti e lavorare nel quadro dell'Ue per affrontare le sfide del XXI secolo e trovare soluzioni nell'interesse delle nostre nazioni e dei nostri popoli”. O meglio soluzioni nell'interesse dei paei imperialisti europei che sono all'opposto di quelle dei popoli.
Per contenere la tremenda botta subita dal No dei popoli del Regno Unito i 27 ripetevano un ritornello oramai logoro e non credibile: “l'Unione europea è un traguardo storico di pace, prosperità e sicurezza nel continente europeo e rimane il nostro quadro di riferimento comune. Allo stesso tempo, molte persone esprimono insoddisfazione per lo stato attuale delle cose, a livello sia europeo sia nazionale. Gli europei si aspettano che noi facciamo di più in tema di sicurezza, prosperità e speranza per un futuro migliore. Abbiamo bisogno di lavorare su questo, non da ultimo nell'interesse dei giovani”. Le politiche economiche e sociali neoliberiste fin qui decise dal Consiglio e imposte a tutti i partner vanno nel senso opposto e non sono minimamente messe in discussione, non sta sul tavolo della discussione nessuna misura che rappresenti una risposta concreta ed efficace ai problemi che affliggono i popoli europei.
Ben altra attenzione veniva posta nel sottolineare la necessaria “riflessione politica sul futuro per dare un impulso all'Unione europea a 27 Stati membri. Questo richiede una leadership dei capi di Stato e di governo. Torneremo sulla questione in una riunione informale nel mese di settembre a Bratislava”. Il vertice europeo serrava i ranghi e metteva nelle mani del Consiglio il ruolo di guida per rafforzare l'UE imperialista. A cominciare dalle questioni finanziarie e economiche, senza dimenticare quelle militari.
Un capitolo del comunicato finale è dedicato alla cooperazione UE-NATO e nel merito si sottolinea che “il Consiglio europeo ha chiesto un ulteriore rafforzamento della relazione, alla luce dei nostri comuni obiettivi e valori e tenuto conto delle sfide senza precedenti che vengono da sud e da est”, leggi la guerra allo Stato islamico soprattutto. E mentre il primo ministro del Belgio Charles Michel proponeva di rivedere il meccanismo decisionale dell'Ue superando il principio del voto all'unanimità per lanciare “l'Europa a più velocità e evitare l'immobilismo”, il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, respingeva ogni ipotesi di “modifica dei Trattati o nuova Convenzione” per dare una svolta all'Unione “puntando sull'accelerazione del processo di riforme già avviato” e sottolineava come la Ue “ha bisogno del Regno Unito come parte della politica di sicurezza e della risposta militare a quanto succede in Iraq e altrove. È emerso ieri chiaramente che Londra continuerà a cooperare con gli stati membri del'Ue o con l'Ue nel suo insieme, abbiamo bisogno del Regno Unito in questo contesto perché è vitale”.
Nel capitolo 10 della Risoluzione del Parlamento europeo del 28 giugno sulla decisione nel Regno Unito di recedere dall'UE a seguito del referendum si legge: le sfide attuali richiedono una riflessione sul futuro dell'UE e che è necessario riformare l'Unione migliorandola e rendendola più democratica; sebbene alcuni Stati membri possano decidere di procedere a un'integrazione più lenta o meno approfondita, il nucleo fondamentale dell'UE deve essere rafforzato e occorre evitare le soluzioni à la carte; (il parlamento europeo, ndr) ritiene che la necessità di promuovere i nostri valori comuni, di creare stabilità, giustizia sociale, sostenibilità, crescita e posti di lavoro, di superare la persistente incertezza economica e sociale, di proteggere i cittadini e di far fronte alla sfida della migrazione impone, in particolare, lo sviluppo e la democratizzazione dell'Unione economica e monetaria e dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, nonché il rafforzamento della politica estera e di sicurezza comune”. Promesse vuote e aria fritta sulle questioni economiche e sociali che interessano i popoli e per contro parole pesanti come macigni circa il rafforzamento della parte politica e militare.
Un percorso sul quale l'imperialismo italiano vuol dare il suo contributo, ora che con l'uscita di Londra può occupare la poltrona della terza potenza Ue non solo nel gruppo dell'euro, come si evince anche dalla nota conclusiva del Consiglio Superiore di Difesa presieduto dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Palazzo del Quirinale a Roma il 30 giugno quando vi si sottolinea che “le future funzioni della Nato potrebbero essere efficacemente valorizzate e integrate con la costituzione al suo interno di un 'pilastro europeo', nucleo di espansione di una nuova CSDP (Common Security and Defence Policy) dell'Unione la cui realizzazione oggi, a seguito della prevista uscita del Regno Unito, appare ancor più importante e urgente”.
L'imperialismo italiano cerca spazio perché per il momento il pallino sull'argomento è in mano al tandem imperialista franco-tedesco come evidenziato dal documento preparato in una serie di incontri nel corso degli ultimi 4 mesi dai ministri degli Esteri di Francia e Germania e presentato a Berlino il 15 giugno dove in conferenza stampa si eran presi, o meglio arrogati, l'impegno per la “salvaguardia” dell’Unione sottolineando che in caso Brexit l’Unione sarebbe stata qualcosa di diverso, e non solo “un’Unione a Ventotto meno uno”. “Il nostro obiettivo – sostenevano il tedesco Frank-Walter Steinmeier e il francese Jean Marc Ayrault - è quello di muoverci ulteriormente verso l'Unione politica in Europa e invitare gli altri europei a unirsi a noi in questo sforzo”. “Germania e la Francia - si leggeva nel loro documento - propongono un 'European Security Compact' che comprenda tutti gli aspetti della sicurezza e della difesa”. In particolare “l'UE dovrebbe essere in grado di pianificare e condurre operazioni civili e militari in modo più efficace, con il supporto di una catena civile-militare permanente di comando”; un vero e proprio esercito europeo.
La proposta franco-tedesca delinea un’Unione europea “più flessibile”, fatta da chi ci sta e guidata dai paesi più forti. Contro una soluzione “à la carte” si era espresso l'europarlamento ma la sostanza è che o compatta o flessibile sempre di unione imperialista si tratta. Una Unione comunque respinta dai popoli del Regno Unito che hanno dato l'esempio agli altri popoli europei.
In diverse analisi dedicate alla ricerca di chi e perché ha votato per la Brexit si sono avanzate ipotesi di motivazioni di tipo socio-culturale e generazionale che per grandi categorie qualificavano l’elettore del No nella categoria anziano, conservatore, legato alla nostalgia del fu Impero Britannico contro una tipologia di elettore del Si presentato come giovane, istruito, progressista e metropolitano.
Come se non riguardassero le masse popolari nel loro insieme i nefasti effetti dell'applicazione della politica neoliberista della Ue e dei governi di Londra a colpi di tagli alle spese sociali e all'istruzione pubblica, al budget del servizio sanitario nazionale, al peggioramento dei servizi privatizzati; una riduzione della spesa sociale che ha aumentato la povertà ed è viaggiata assieme alla maggiore flessibilità e precarietà del lavoro, alla caduta del potere di acquisto dei salari.
Non è un caso che la Brexit abbia raccolto consensi nelle regioni e città di media grandezza, comprese quelle una volta roccaforte dei laburisti, nel Nord dell’Inghilterra e in Galles come nei quartieri periferici delle grandi città. Scorporando il voto di Londra dal totale risulta che il No alla Ue vince con oltre dieci punti percentuali di vantaggio, 55,3% a 44,7%, più del doppio degli 4 punti del dato nazionale.
D'altra parte l'elettorato britannico il suo No alla Ue imperialista lo aveva già dato due anni fa il 25 maggio 2014 all'elezione dell'europarlamento quando disertando le urne, il 57% degli europei delegittimava la Ue imperialistala; una diserzione che in Gran Bretagna toccava il 64%, ben quasi i due terzi dell'elettorato. E uno dei tre su dieci elettori, che si erano recati alle urne, aveva votato per la lista “anti-Ue” di Farage.
La diserzione alle elezioni del 2014 era stata un voto contro l'Unione europea imperialista, l'europarlamento e i partiti che ne fanno parte, nonché contro i governanti e le altre istituzioni europee. Se non si parte anche da questo dato le analisi su come è nata la Brexit sono quantomeno fuorvianti o di copertura dell'alleanza imperialista della Ue che cura solo gli interessi del grande capitale e della grande finanza. L'uscita da questa alleanza ha quindi oggettivamente un carattere antimperialista, indipendentemente dalle forze che l'hanno sostenuta.
 
 

6 luglio 2016