I Paesi capitalisti cambiano ma le ricette e i metodi antioperai per imporle sono gli stessi
Esautorato il parlamento francese per imporre il Jobs Act di Hollande e Valls
Decine di migliaia di lavoratori e giovani in piazza a Parigi

Il governo neoliberista francese ricorre al manganello legislativo, dopo aver fatto ampiamente uso di quello della polizia nelle piazze, per approvare la Loi Travail, la controriforma del Codice del Lavoro che per gli obiettivi che si propone e le affinità con deregolamentazione del mercato del lavoro avvenuta in Italia, è stata denominata “Jobs Act alla francese”. Il 5 luglio l'Assemblea Nazionale transalpina ha approvato, o per meglio dire ratificato, la legge che toglie diritti ai lavoratori e facilita i licenziamenti.
Il primo ministro Valls, in pieno accordo con il Presidente della Repubblica Hollande, ha di nuovo fatto ricorso all'articolo 49 comma 3 della Costituzione, una regola che permette al governo di scavalcare qualsiasi dibattito e far approvare la legge proposta dall'esecutivo senza alcuna discussione parlamentare. Una procedura ancora più decisionista e antidemocratica del voto di fiducia nostrano. Nel caso del paese transalpino non si procede neppure a una votazione come previsto dall'ordinamento italiano; la legge viene direttamente approvata a meno che una quota di parlamentari (minimo 58) non presenti una sfiducia al governo che dovrà poi raccogliere la maggioranza assoluta dell' Assemblea Nazionale.
Durante l'iter per approvare la legge elaborata dal ministro del Lavoro Myrima El Khomri il governo Valls è ricorso più volte al 49.3, l'articolo già citato introdotto nella Costituzione francese negli anni '50 dal nazionalista e reazionario De Gaulle. Questi atti d'imperio, che teoricamente dovrebbero essere riservati a pochi e particolari temi come la sicurezza nazionale, negli ultimi decenni sono stati utilizzati sopratutto per attaccare i diritti dei lavoratori. Questa pratica antidemocratica ha ricevuto forti critiche in Francia da parte dei sindacati, di alcuni partiti politici e dalla parte dissidente dello stesso partito socialista al governo. Dissidenti che però non hanno avuto il coraggio di presentare la mozione di sfiducia nel timore di far cadere il governo, favorire la destra e perdere la poltrona.
Cambiano le nazioni, cambiano i governi, a volte guidati dalla “sinistra” borghese altre volte dalla destra, ma usare metodi autoritari e fascisti anche a livello parlamentare e legislativo è oramai diventata una prassi comune a tutti i paesi europei capitalisti. Questi comportamenti evidenziano quello che i comunisti autentici hanno sempre denunciato, ovvero che la cosiddetta “democrazia” nel sistema capitalistico è soltanto un simulacro, un paravento per legittimare il potere della borghesia. La classe dominante quando persegue un obiettivo non si fa alcun scrupolo di calpestare le regole della democrazia borghese che essa stessa ha scritto e imposto.
Accanto alla repressione del dibattito parlamentare abbiamo assistito a quella ancor più grave scatenata in tutta la Francia contro le lotte operaie e studentesche. Le misure che dovevano servire a scongiurare eventuali attentati terroristici sono state rivoltate verso le manifestazioni di protesta contro la Loi Travail. Cariche della polizia con manganellate, lacrimogeni e pestaggi, arresti e divieti a manifestare sono state le risposte di Valls e di Holland all'imponente movimento di lotta che da oltre quattro mesi sta occupando piazze e strade del paese d'oltralpe.
Ad oggi ben 12 sono state le giornate di sciopero che hanno investito la Francia: dall'industria alle strutture portuali, dai trasporti ai servizi che hanno bloccato anche il più grande inceneritore d'Europa nei pressi di Parigi e fermato le centrali nucleari. Le manifestazioni più imponenti si sono svolte a Parigi, Bordeaux, Nantes, Marsiglia. A Rouen è stata data alle fiamme la sede del Partito socialista di Hollande e Valls, principale sostenitore della Loi Travail. A Parigi, proprio mentre Valls faceva ricorso per la seconda volta alla 49.3 sfilavano 45 mila manifestanti con larga partecipazione di giovani.
Lavoratori, studenti, pensionati hanno dimostrato coraggio, fermezza e sopratutto perseveranza riuscendo a tenere alta la mobilitazione per tutto questo lungo tempo nonostante i già citati atti repressivi e i tentativi di dividere l'ampio fronte unito che si era creato usando alcuni sindacati compiacenti e scatenando pesanti attacchi mediatici per dipingere gli oppositori come dei conservatori di privilegi, anti-francesi privi di spirito nazionale, e invitandoli a desistere dalla loro sacrosanta lotta in nome della collaborazione contro il terrorismo e per la riuscita di eventi sportivi come gli europei di calcio e il Tour de France.
Non possiamo fare a meno di notare come la risposta delle masse francesi sia stata diversa da quella registrata in Italia verso il Jobs Act; molti commenti politici lo hanno giustificato con il differente livello di coscienza di classe dei lavoratori dei due Paesi. Ma anche la risposta di molte fabbriche italiane al Jobs Act era stata immediata, semmai è stata la Cgil che non ha organizzato la lotta perdendo un sacco di tempo e arrivando a proclamare lo sciopero generale solo quando la controriforma era oramai in dirittura d'arrivo verso l'approvazione parlamentare. In Francia invece la risposta è stata immediata e la Cgt, assieme ad altri sindacati, non ha cercato di frenare e far sbollire la rabbia che saliva dalle fabbriche, dagli uffici e dalle scuole di Francia, come invece hanno finito per fare la Cgil e i sindacati confederali in Italia.
La Loi Travail (legge sul lavoro) non è osteggiata solo dai lavoratori, ma anche dagli studenti e dalla masse popolari in genere che hanno ben capito come questa vada a peggiorare le condizioni di chi lavora favorendo i padroni che invece attraverso la Medef, la Confindustria francese, la sostengono a spada tratta, semmai chiedono interventi ancora più punitivi verso i dipendenti. La loro lotta è un esempio da seguire e dimostra come la lotta di classe, la mobilitazione delle piazze, sia il metodo più efficace per difendere i propri diritti dagli attacchi del governo nazionale e dell'Unione Europea (UE).
Tra i punti più contestati c'è la preminenza del contratto aziendale rispetto a quello nazionale di categoria. Questo comporta tutta una serie di conseguenze che, usando un linguaggio “italiano” potremmo assimilare alle nostre deroghe al contratto nazionale, ovvero norme che possono scavalcare, naturalmente in senso peggiorativo, quanto previsto a livello di categoria. Tramite un semplice accordo aziendale, per ragioni non necessariamente determinate da difficoltà economiche, il padrone potrà, per una durata massima di cinque anni, imporre una diminuzione dello stipendio o un aumento delle ore di lavoro. I dipendenti saranno obbligati ad accettare, pena il licenziamento.
Altra misura carica di conseguenze è la durata dell'orario di lavoro medio che in Francia è fissata a 35 ore che con le nuove norme sarebbe scardinata nella sostanza. La nuova legge porta l'orario massimo di lavoro settimanale da 44 a 46 ore e quella giornaliera da 10 a 12 ore. Gli straordinari (oltre le 35 ore) dal 25 ridotti al 10% e altri cambiamenti che vanno tutti nella direzione di estendere l'orario di lavoro e ridurre lo stipendio. C'è poi la norma molto contestata sui licenziamenti economici, molto simile a quella prevista dal Jobs Act. Un'azienda che si auto dichiara in difficoltà può licenziare i suoi dipendenti con un “risarcimento” più o meno alto in base al periodo di assunzione.
Sono di fatto gli stessi provvedimenti già introdotti o in procinto di esserlo anche in Italia, Belgio e altri Paesi. Le politiche di austerità che prevedono tagli alla spesa sociale, agli stipendi dei lavoratori e alle pensioni, flessibilità, precarizzazione del lavoro e supersfruttamento, vengono oramai decise a livello europeo e mondiale, in particolare a Bruxelles. La cosiddetta Troika non è un invenzione di fantapolitica ma il reale centro del potere costituito dalla Banca centrale Europea (BCE), Fondo Monetario Internazionale, (FMI) e Commissione Europea, assieme ad altre istituzioni, ristretti circoli finanziari che impongono ai singoli stati la ricapitalizzazione delle banche, le liberalizzazioni, la privatizzazione di parte del settore statale, tagli alla spesa pubblica.
Quelle misure che servono all'Unione Europea imperialista per competere nel mercato capitalistico globalizzato che fanno della UE un nemico mortale dei lavoratori e delle masse popolari e non un'organizzazione che dispensa benessere e che propugna la pace e la fratellanza tra i popoli come ci vuol far credere la propaganda borghese.

13 luglio 2016