Dopo l'omicidio dei due afroamericani da parte della polizia
Rivolta antirazzista in Usa
Un giovane nero uccide 5 agenti e ne ferisce 7. 300 arresti, fra cui uno dei leader di Black Lives Matter

L'ennesima violenza poliziesca a danno degli afroamericani, conclusasi tragicamente con la morte di due giovani neri, ha scatenato un'imponente rivolta antirazzista negli Stati Uniti. Per ora i manifestanti arrestati nel corso del weekend sono oltre trecento, ma le proteste stanno continuando anche mentre scriviamo.
Tutto è cominciato mercoledì 6 luglio, quando Alton Sterling, 37enne nero padre di cinque figli, è stato fermato dalla polizia a Baton Rouge, in Louisiana; gli agenti lo hanno immobilizzato con il taser, la micidiale pistola elettrica in dotazione alle “forze dell'ordine” statunitensi, poi lo hanno ucciso brutalmente con diversi colpi di pistola mentre si trovava stordito e inerme a terra.
L'odio razzista ha mietuto una seconda vittima il giorno successivo, questa volta nella città di Falcon Heights in Minnesota. La vittima stavolta è Philando Castile, 32 anni, fermato in auto da un agente di polizia per un fanale rotto. La fidanzata, che si trovava in auto con lui insieme alla figlioletta di 4 anni, ha filmato mentre il poliziotto sparava al giovane nero mentre questi, dopo aver dichiarato di possedere una pistola in regola, estraeva la propria patente; il video mostra la scena straziante dell'afroamericano lasciato morire dissanguato dal poliziotto, che anzi arresta la donna del tutto incurante della figlia che chiama disperata la madre.
Già nelle ore successive a Falcon Heights la folla inferocita accerchiava la polizia al grido di “assassini” e assediava persino la casa del governatore del Minnesota, il filodemocratico Mark Dayton, costretto a fuggire. Ma era solo la prima delle proteste antirazziste che hanno successivamente inghiottito gli Stati Uniti, con migliaia di neri e bianchi scesi in piazza con slogan e cartelli come “Basta terrore razzista della polizia”, “Non sparate”, “Vergogna”.
Alle sacrosante manifestazioni di protesta contro l'odio razziale e la violenza poliziesca, le “forze dell'ordine” hanno risposto con altra repressione. A Baton Rouge, teatro del primo omicidio, sono state arrestate ben 123 persone, fra cui DeRay McKesson, leader del movimento Black Lives Matter (“le vite dei neri contano”) che si oppone alle discriminazioni e violenze razziali. Altri 102 arresti a Saint Paul (Minnesota) dove la polizia ha caricato i manifestanti che occupavano un'autostrada sparando lacrimogeni e proiettili di gomma. Arresti e scontri anche a New York, Chicago e Atlanta. Significativo che invece a Pittsburg il capo della polizia locale si sia unito ai manifestanti “contro le crescenti diseguaglianze e la tossica atmosfera d'odio”.
L'episodio più drammatico è avvenuto a Dallas, dove un giovane riservista nero, Micah Xavier Johnson, veterano dell'Afghanistan, ha aperto il fuoco sulla polizia durante la locale manifestazione antirazzista, uccidendo cinque agenti. Johnson è stato successivamente stanato e ucciso da un drone-bomba. Benché questi avesse esplicitamente dichiarato che il suo scopo era “uccidere bianchi, specialmente poliziotti bianchi”, è subito partita la canea mediatica nel tentativo di collegare il mandante al terrorismo internazionale, addirittura spulciando fra i suoi “mi piace” su Facebook, per nascondere la cruda realtà: ossia che non si è trattato dell'azione di un pazzo ma di una reazione esasperata, per quanto miope e suicida, ai soprusi e crimin con cui la polizia americana tormenta quotidianamente i neri, fino a esiti tragici come quelli dei giorni scorsi. Ciò si evince anche dalla reazione di personalità vicine alla destra più razzista e reazionaria statunitense, le quali, con incredibile faccia di bronzo, hanno accusato Black Lives Matter di fomentare “guerra” e “odio”, benché il movimento non avesse nulla a che fare con Johnson.
Rientrato precipitosamente dalla Spagna, Obama ha colto l'incidente di Dallas per voltare le spalle ai coraggiosi antirazzisti che hanno messo in campo le proteste. “Chi attacca i funzionari di polizia fa un disservizio al Paese e alla causa. Qualsiasi violenza nei confronti di poliziotti va perseguita”: queste le sue parole, tutte in difesa delle “forze dell'ordine” e oggettivamente della loro furia repressiva, mentre al razzismo assassino Obama ha dedicato appena poche parole di circostanza. La candidata del Partito democratico alle elezioni presidenziali di fine anno, Hillary Clinton, ha usato parole più forti, da campagna elettorale, sui “pregiudizi impliciti nella società e anche nei migliori dipartimenti di polizia” ma a sua volta si è schierata con le “forze dell'ordine”.
Gli afroamericani vivono notoriamente ai margini della società capitalista statunitense. Le percentuali di neri che lavorano in condizioni pessime e per paghe basse o che sono disoccupati, che faticano a proseguire gli studi, che sono relegati nelle periferie urbane o che finiscono in carcere sono molto più alte rispetto ai bianchi nelle stesse condizioni. La situazione è andata aggravandosi dall'inizio della crisi. Dall'inizio del 2016 sono stati ben 135 gli afroamericani ammazzati dalla polizia. Questa, per quanto eclatante, è solo una delle enormi contraddizioni e disparità sociali che certificano il fallimento totale del modello socio-economico neoliberista propugnato dal Paese modello dell'imperialismo e del libero mercato. La repressione, inoltre, ha messo a nudo ancora una volta l'oppressione che si nasconde dietro la maschera di “democrazia” e “libertà” del regime capitalista di Washington.

13 luglio 2016