Stretti contatti dei clan vicini a Messina Denaro con i vertici di Fiera Milano. Undici arresti
Appalti milionari all'Expo controllati dalla mafia
Il sindaco di Milano Sala parla ipocritamente di “battaglia per la legalità” ma non ha fatto niente per impedire la corruzione quand'era commissario e ad di Expo

Undici persone sono state arrestate il 5 luglio a Milano nell’ambito di un’inchiesta della Dda con al centro reati tributari, riciclaggio e associazione per delinquere con l’aggravante della finalità mafiosa.
Nel mirino del procuratore aggiunto (Pa) Ilda Boccassini e dai Pubblici ministeri (Pm) Paolo Storari e Sara Ombra, c’è il consorzio di cooperative Dominus Scarl specializzato nell’allestimento di stand, che ha lavorato per la Fiera di Milano da cui ha ricevuto in subappalto l’incarico di realizzare alcuni padiglioni per l’Esposizione universale dell’anno scorso.
Il principale indagato è il presidente del consorzio Giuseppe Nastasi e il suo collaboratore Liborio Pace. Ai due e a Calogero Nastasi (padre di Giuseppe) è contestato di avere stretti “legami con cosche importanti come gli esponenti della famiglia Accardo“, famigerata per la sua “forte vicinanza” con la famiglia del sup0erboss Mattia Messina Denaro” di Castelvetrano.
In manette con l’accusa di riciclaggio anche l’avvocato di Caltanissetta Danilo Tipo, ex presidente della Camera Penale nissena, difensore nel processo per la strage di Capaci ed ex consigliere comunale per il "centro-destra" nel comune siciliano. A Tipo sono stati sequestrati 300mila euro a ottobre scorso: mentre era in corso una perquisizione in una cooperativa, Pace ha consegnato i soldi all’avvocato che a sua volta li ha messi in buste bianche e li ha nascosti nella sua automobile. Con le forze dell’ordine si è giustificato dicendo che si trattava di denaro ottenuto in nero con le sue parcelle.
Gli arrestati sono accusati di aver ottenuto dalla Fiera di Milano 20 milioni di euro di appalti in tre anni di fatturato attraverso la società Nolostand spa, società del gruppo Fiera di Milano, che in mattinata è stata commissariata dal Tribunale di Milano “perché alcuni indagati nell’inchiesta hanno contatti con dirigenti e vertici della società”. Il consorzio di cooperative per Expo 2015 ha realizzato gli allestimenti espositivi del Palazzo Congressi, dell’Auditorium, dei padiglioni della Francia e del Qatar e della Guinea, nonché dello stand Birra Poretti.
Secondo le indagini le società del consorzio erano intestate a prestanomi dei Nastasi e ricorrevano a una sistema di fatture false per creare fondi neri. Il denaro, secondo l’accusa, era poi riciclato in Sicilia. Nel corso delle indagini, è stato “intercettato” anche un camion partito dalla Lombardia e diretto in Sicilia con dentro nascosti 400mila euro in contanti. Il veicolo era guidato dal collaboratore del consorzio Dominus, Liborio Pace.
In tutto sono stati sequestrati contanti per 1,4 milioni di euro e beni per oltre 5 milioni di euro.
L’indagine “è importante” in quanto questa volta “segnala” in Lombardia non “le infiltrazioni di ‘ndrangheta, ma di Cosa Nostra”, ha sottolineato il Pa Boccassini.
Mentre il Giudice per indagini preliminari (Gip) Maria Cristina Mannocci nell’ordinanza di custodia cautelare punta il dito contro la compicità e l'omertà dei cosiddetti “colletti bianchi” e chiarisce che un “meccanismo quale quello emerso dalle indagini è stato reso possibile da amministratori di aziende di non piccole dimensioni, consulenti, notai e commercialisti che in sostanza ‘non hanno voluto vedere’ quello che accadeva intorno a loro”. Il giudice parla di “gravi superficialità“, ma “certamente anche grazie a convenienze”, da parte di “soggetti appartenenti al mondo dell’imprenditoria e delle libere professioni”. E per “alcuni” di loro “si profila peraltro un atteggiamento che va oltre la connivenza”. Il procuratore capo di Milano Francesco Greco in conferenza stampa l’ha definita una “vicenda inquietante”: “Le organizzazioni criminali sono riuscite a inserirsi nelle partecipate pubbliche. Gli arresti ha aggiunto, dimostrano ancora una volta “una stretta interconnessione tra organizzazioni criminali mafiose e criminalità economica” al punto che, come hanno spiegato i Pm, il capobastone Calogero Nastasi aveva “legittimamente” ottenuto un ufficio in Fiera Milano da cui seguiva direttamente sul campo tutti i suoi affari sporchi e permettere così “agli indagati di aggirare tutti i controlli istituzionali e le procedure di internal audit”.
Non solo. Nel decreto con cui è stata disposta l’amministrazione giudiziaria della Nolostand spa si segnala che “i soggetti indagati... hanno nell’attualità, contatti continuativi con dirigenti ed organi apicali di Nolostand” finalizzati “all’ottenimento o alla proroga di importanti commesse nel settore dell’allestimento di eventi espositivi/fieristici milanesi”.
Nolostand “non fa gare pubbliche”, ha aggiunto Boccassini, “e se vogliamo qua c’è un ente pubblico che non fa gare pubbliche, ma questo è un altro tema in capo alla politica”.
Di fronte a tutto ciò viene da chiedersi: ma possibile che nessuno si fosse accorto di trattare imprenditori in forte odore di mafia che lavoravano a Milano e portavano i soldi alle loro cosche di riferimento in Sicilia? Non si è accorto il comandante in capo Giuseppe Sala, commissario di Expo e ora sindaco della “legalità e trasparenza” a Milano che aveva affidato i lavori d’allestimento a Nolostand spa, società controllata da Fiera Milano spa. Non hanno fatto una piega nemmeno i dirigenti di Nolostand, come il direttore tecnico Enrico Mantica. Anzi, quando il 16 marzo arriva in Fiera una lettera anonima che avverte: “State lavorando con i mafiosi”, Mantica, invece di correre in Procura, avvisa l’uomo del consorzio Dominus, Giuseppe Nastasi: “È arrivata una lettera che poi quando passa gliela faccio vedere…”.
Possibile che nessuno sapeva che Pace in passato è stato processato per associazione mafiosa? Che è sposato con la figlia di un condannato per mafia e ha una cognata che è moglie di un altro condannato per mafia? Che la zia della moglie di Nastasi, invece, è sposata con un condannato per ’ndrangheta, fratello del capo (condannato) della “locale” cosca di Pioltello?
Ma soprattutto dove stava e cosa faceva l’Autorità nazionale anticorruzione istituita dal nuovo duce Renzi e affidata a Raffaele Cantone che aveva parlato di Milano come “capitale morale del Paese”, contrapposta a Roma che invece “non ha gli anticorpi di cui ha bisogno”.
E il prefetto Mario Mori? L'ex generale dei carabinieri ed ex direttore del servizio segreto civile (nonché imputato nei processi sulla trattativa Stato-mafia) schierato da Roberto Formigoni come presidente di un comitato regionale per la legalità, da che parte stava?
Eppure, a parte le lettere anonime e il curriculum in odore di mafia degli indagati, c’è stato anche chi aveva lanciato l’avvertimento per tempo, anche all'allora commissario di Expo Sala. Basta leggere la sesta relazione del Comitato antimafia presieduto da Nando dalla Chiesa, consegnata nell’aprile 2015 e pubblicata a disposizione di tutti nel sito del Comune di Milano: “Risulta al Comitato che operazioni investigative abbiano consentito di individuare ulteriori imprese sospette impegnate nel movimento terra in lavori Expo. E risulta parimenti al Comitato che altre operazioni siano già pervenute a individuare consistenti, inquietanti e concreti rischi di infiltrazione mafiosa in struttura di Paese ospite di primario rilievo economico” con chiaro riferimento proprio al padiglione francese finito sotto inchiesta.
Ma nessuno ha mosso un dito a cominciare da Sala e Cantone.
Il primo in un comunicato stampa ha oltrepassato il ridicolo e tra l'altro senza mai nominare Fiera Milano o Expo ha affermato che: “La battaglia per la legalità non deve fermarsi mai, a tutela dei cittadini e delle istituzioni e sosteniamo ogni azione degli organi dello Stato in tal senso. Abbiamo lavorato e stiamo lavorando per proteggere Milano dalle infiltrazioni malavitose e dai rischi di corruzione. Risultati importanti sono stati ottenuti, ma la forza delle organizzazioni criminali non può essere sottovalutata nemmeno per un momento. È quindi un bene proseguire su questa strada e dimostrare così la capacità del sistema Italia di contrastare il malaffare”. Che faccia tosta!
Cantone invece in una intervista a “la Repubblica” del 7 luglio se ne lava le mani e cerca di tirarsi fuori da ogni responsabilità affermando fra l'altro che: "i subappalti non dovevano essere controllati dall'Anac. Non solo, ma i lavori nei padiglioni stranieri, dove si è verificata l'infiltrazione mafiosa, erano sottratti addirittura alla legislazione italiana. Un nostro intervento era doppiamente impossibile, perché non potevamo controllare i subappalti, e perché quei lavori esulavano del tutto da un nostro possibile controllo". E comunque, minimizza ancora Cantone “una singola vicenda, del resto, non può cancellare tutto il lavoro fatto”.
E pensare che tra le mirabolanti promesse di Expo, c’era un aumento record dei posti di lavoro. Nel dossier di candidatura presentato nel 2006, s’ipotizzava che l’esposizione universale avrebbe messo in moto investimenti per 20,6 miliardi; 240 mila nuovi posti di lavoro stabili, oltre ai quasi 70 mila a termine per realizzare e gestire l’evento.
Tutte balle!
A Milano Expo e in Lombardia grazie al governo Renzi e ai suoi uomini come Sala e Cantone, le uniche cose che sono anumentate sono lo strapotere e il fatturato della mafia!
Altro che rottamazione della vecchia classe politica e dirigenziale, altro che “sistema più moderno ed efficiente”: a Milano come a Roma e in tutto il resto del Paese siamo passati dalla padella di “Tangentopoli” di Craxi e Berlusconi alla brace di “Mafiopoli” del nuovo duce Renzi.

13 luglio 2016