“Una rete criminale ai vertici dello Stato”
Retata di corrotti e riciclatori
24 arresti e 50 indagati. Al vertice dei malfattori Marotta (NCD) e i fratelli Pizza, vicinissimi a Berlusconi. Alfano nei guai: una poltrona al fratello, il padre chiedeva 80 posti, alla moglie incarichi legali dalla Consap
Renzi blinda il ministro degli Interni

24 arresti, 50 indagati, sequestro di beni per 1,2 milioni e oltre cento perquisizioni effettuate tra Roma, Lazio, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria e Campania: è il bilancio dell'operazione “Labirinto” scattatta all'alba del 4 luglio su ordine della procura di Roma che ha portato allo smascheramento di una banda di politici corrotti, faccendieri e riciclatori della prima e della seconda repubblica neofascista con alla testa i fratelli berlusconiani da Sant’Eufemia d’Aspromonte: Raffaele Pizza (arrestato) e Giuseppe Pizza, ex sottosegretario all’Istruzione del governo Berlusconi tra il 2008 e il 2011 nonché esponente della Nuova Democrazia Cristiana (indagato e perquisito) e il parlamentare di Area Popolare, il partito che unisce l'Ncd del ministro Alfano e Udc, Antonio Marotta, 68 anni, avvocato di Torchiara (Salerno), già deputato nella passata legislatura con l'Udc, eletto nel 2013 nelle liste di Forza Italia-Pdl, da dove poi nel giugno 2015 è passato a Area Popolare.
Per Marotta i Pubblici ministeri (Pm) Paolo Ielo e Stefano Fava avevano chiesto l'arresto per partecipazione ad associazione a delinquere, corruzione, finanziamento illecito dei partiti e riciclaggio ma si sono scontrati con l'interpretazione del Giudice per le indagini preliminari (Gip) Giuseppina Guglielmi, la quale ha derubricato le accuse nonostante agli atti dell'inchiesta risulti che Marotta in almeno due occasioni è stato intercettato mentre spartiva una parte delle tangenti in contanti con alcuni suoi sodali finiti agli arresti. Marotta al momento è indagato per traffico di influenze illecite, ricettazione e per un solo caso di finanziamento illecito.
Un network criminale all'ombra di Palazzo Chigi
Gli inquirenti parlano di una vera e propria associazione per delinquere finalizzata alla corruzione riciclagglo, finanziamento illecito ai partiti, truffa, appropriazione indebita e traffico di influenze illecite con a capo il faccendiere Raffaele Pizza, detto Lino, che, scrivono i Pm: “per esercitare e perpetuare il potere di influenza che gli è notoriamente riconosciuto nell’ambiente degli imprenditori gravitanti nel settore degli appalti pubblici, sfruttando i legami stabili con influenti uomini politici, spesso titolari di altissime cariche istituzionali, si adoperava costantemente per favorire la nomina, ai vertici degli enti e delle società pubbliche, di persone a lui vicine, così acquisendo ragioni di credito nei confronti di queste che, dovendo successivamente essergli riconoscenti, risulteranno permeabili ai suoi metodi di illecita interferenza nelle decisioni concernenti il conferimento di appalti pubblici ed attività connesse”.
Al suo fianco c'è Marotta che è stato anche consigliere laico del Csm nel 2002 in quota Udc. Poi, da agosto 2006 al febbraio 2009, è stato vice capo del dipartimento di giustizia del personale e dei servizi. Nel maggio del 2012 il Senato lo ha eletto vice presidente del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa.
Insomma una vera e propria rete criminale in grado di pilotare appalti milionari e distribuire tangenti, nomine, incarichi ministeriali e consulenze dorate a favore di familiari e amici degli amici piazzati ai vertici delle maggiori aziende statali.
Un mercimonio che aveva la cabina di regia proprio a pochi passi da Palazzo Chigi e dal parlamento, presso lo studio di Pizza in via San Lorenzo in Lucina civico 17. In quegli uffici Pizza esercitava il suo enorme potere corruttivo e insieme a Marotta e ai suoi protettori piazzati ai vertici delle istituzioni politiche e di enti e società pubbliche spartiva le tangenti e decideva di volta in volta chi erano gli imprenditori da favorire negli appalti o gli amici da piazzare ai vertici di enti pubblici come Inps e lnail, alle Poste, ai ministeri della Giustizia e dell'istruzione e perfino ai vertici dell'Agenzie delle Entrate. Infatti agli atti dell'inchiesta risulta che per “ammorbidire” eventuali controlli fiscali e agevolare le pratiche di rimborso delle imposte, la cricca criminale messa in piedi da Pizza e Marotta si avvaleva anche della collaborazione di due funzionari dell’Agenzia delle Entrate di Roma, arrestati nel corso dell’operazione.
Ma per Marotta non è abbastanza; in una intercettazione ambientale, l'esponente NCD confessa infatti all'imprenditore Luigi Esposito di essere scontento di fare il deputato e che vorrebbe tornare al Csm "trattandosi - scrive il giudice - di un luogo in cui si esercita il vero potere... Devono passare i quattro anni, perché sennò non ci posso tornare, no? Se potevo rimanere lì me ne fottevo di venire a fare il deputato a perdere tempo qua, che cazzo me ne sfottevo. Stavo tanto bene là, il potere là è immenso, là è potere pieno, non so se rendo l'idea. Ci sono interessi, sono grossi interessi non avete proprio idea".
Le indagini sono partite nel 2013 da alcune operazioni sospette a carico del commercialista Alberto Orsini, sodale di Pizza e Marotta, finito agli arresti, e di un labirinto di società a lui riferibili che movimentavano grandi somme di denaro tra i conti correnti personali ed aziendali.
I Pm hanno ricostruito anche l’operatività finanziaria della cricca calcolando che Pizza e Marotta hanno lucrato oltre 12,8 milioni di euro giustificati da fatture false a scopo di evasione e poi utilizzati per costituire fondi neri da destinare a finalità illecite attraverso una galassia di società.
Coinvolto il ministro Alfano
Ma a destare enorme clamore è il coinvolgimento nell'inchiesta del ministro degli Interni Angelino Alfano, stampella determinante al Senato per la tenuta del governo Renzi, pesantemente tirato in ballo per via dei favori che la cricca di Pizza e Marotta ha riservato ai suoi familiari: fratello, padre, moglie, cognato, cugini e parenti tutti a cominciare dal fratello, Alessandro Alfano, assunto alle Poste come dirigente con uno stipendio da 170 mila euro all'anno; al padre, Angelo Alfano, vecchio boss della DC agrigentina, ex assessore e vicesindaco di Agrigento, che invece chiedeva alla cricca l'assunzione di 80 suoi raccomandati; alla moglie Tiziana Miceli, che ha ricevuto cinque incarichi legali dalla Consap, la concessionaria dei servizi assicurativi pubblici controllata interamente dal ministero dell'Economia che fornisce servizi al Viminale e al ministero dello Sviluppo Economico. Mentre al suo studio, la Rm-Associati, dal 2008 al 2012, la Serit, agenzia di riscossione tasse siciliana, ha affidato la bellezza di 358 incarichi.
Tutti sistemati grazie alla cricca anche i cugini di Alfano: Antonio e Giuseppe Sciumè, nominati entrambi dirigenti delle Ferrovie, il primo alla Rfi, Rete ferroviaria italiana e l'altro alla Blue ferries; mentre un'altra cugina, già insegnante, Viviana Buscaglia, è stata piazzata all'Arpa regionale in Sicilia.
Tra le tante, agli atti dell'inchiesta c'è anche l'intercettazione del 9 gennaio del 2015 tra Pizza e Davide Tedesco, collaboratore politico del ministro dell'Interno Alfano e soprattutto cognato del deputato regionale alfaniano Enzo Fontana. “Pizza – annotano gli inquirenti nel brogliaccio - sostiene di aver facilitato, grazie ai suoi rapporti con l'ex amministratore Massimo Sarmi, l'assunzione del fratello del ministro in una società del Gruppo Poste". Del resto aggiunge Pizza riferendosi al ministro degli Interni: "Angelino lo considero una persona perbene un amico... se gli posso dare una mano... mi ha chiamato il fratello per farmi gli auguri...”.
Insomma un vero schifo; uno schiaffo ai milioni di precari e giovani laureati senza lavoro ma molto più capaci e meritevoli del fratello del ministro degli interni.
Ma per il ministro Alfano si tratta solo di “barbarie giudiziarie”, di un complotto per colpire me e la mia famiglia. “Siamo di fronte al riuso degli scarti di un’inchiesta giudiziaria – ha detto Alfano - ciò che i magistrati hanno studiato, ritenendolo non idoneo a coinvolgermi, viene usato per fini esclusivamente politici... Le intercettazioni non riguardano me, bensì terze e quarte persone che parlano di me, persone peraltro che non vedo e non sento da anni”. Pertanto, aggiungono i capibastone del NCD: non ci sarà un "caso Lupi 2", e “le dimissioni non sono all'ordine del giorno” perché: "Qui non stiamo parlando del destino personale di Alfano, ma della tenuta complessiva del governo".
Una minaccia a cui il nuovo duce Renzi ha risposto che: per il momento Alfano non si tocca; ma, ha avvertito il premier, se cade il governo si va ad elezioni politiche anticipate prima del referendum costituzionale di ottobre.
Mentre le richieste di dimissioni avanzate dalle opposizioni sono state rispedite al mittente dal capogruppo PD alla Camera Ettore Rosato che con perfetta faccia di bronzo ha affermato che “Alfano sta facendo bene il suo lavoro e le cose che leggiamo non coinvolgono né il suo operato né la correttezza dei suoi comportamenti”. Quindi per il PD, “la richiesta di dimissioni è pretestuosa”.
Staremo a vedere cosa succederà durante il voto al Senato sul decreto legislativo (dl) sugli Enti locali. Il provvedimento dovrebbe andare in aula mercoledì 13 luglio ed essere votato il giorno successivo. Non è escluso che i senatori legati a Renato Schifani possano aprire formalmente la crisi facendo mancare i numeri in aula.

Le mani della cricca sul Tiap
La figura chiave in tale contesto è sempre quella di Raffaele Pizza, "promotore di attività di lobbying" in quanto "interessato - scrivono gli inquirenti - a veicolare all'interno della pubblica amministrazione soggetti interessati alla gestione del sistema di Trattamento informatizzato atti processuali". Dalle intercettazioni spuntano inoltre riferimenti a decine di altri nomi, tra cui quelli di Roberto Rao (consigliere economico del ministro della Giustizia), Gianni Di Pietro (ex deputato del PD), Massimo Sarmi (ex a.d. di Poste Italiane), Giovanni Legnini (vicepresidente del Csm) e Marco Carrai (finanziere e uomo fidato di Matteo Renzi).
Insomma la cricca capeggiata da Pizza e Marotta non si accontentava solo degli appalti e delle nomine ma puntava anche al controllo dei Pm con il Tiap che gli avrebbe permesso di visualizzare tutte le inchieste giudiziarie aperte in tutte le procure d'Italia ed eventualmente intervenire in fase istruttoria e aggiustare l'esito dei processi.
Dunque, altro che “rinnovamento, rottamazione e paese più moderno”: con Renzi si torna ai tempi dei Cencelli, dei Lauro, dei Gava, dei Craxi, dei Pomicino e dei Mastella!
Altro che rottamazione della vecchia classe politica e dirigenziale come ripete il nuovo duce Renzi, la verità è che il governo Renzi rischia di passare alla storia per essere l'esecutivo più corrotto della storia politica italiana.
Dopo i ministri Lupi e Guidi: coinvolti rispettivamente nel “sistema Incalza delle grandi opere) e nello (scandalo del petrolio in Basilicata) il prossimo potrebbe essere proprio il ministro degli Interni Alfano con gravissime ripercussioni su tutto l'esecutivo. Senza dimenticare la ministra per le Riforme tirata in ballo per i maneggi bancari di suo papà Pier Luigi Boschi e la truffa ai danni di migliaia di piccoli risparmiatori.

13 luglio 2016