Lo sfascio delle ferrovie al Sud

La nota sindacale del Fast Confsal successiva al tremendo incidente in Puglia, sottolinea come la tragedia fosse già stata sfiorata qualche mese fa in Abruzzo. Lo scorso 3 maggio, sulla tratta da Termoli e Pescara, il treno Intercity 612 era fermo in prossimità della stazione di Tollo con il semaforo rosso di “via impedita”. Nel frattempo, dalla stazione di Ortona era stato fatto partire il Frecciabianca 9.824. In prossimità di Tollo, il macchinista, favorito dal tratto rettilineo della linea, intravede la coda dell’Intercity fermo e prontamente aziona la frenata rapida. La Freccia si ferma a pochi metri di distanza dall’altro treno. Se i due treni si fossero scontrati, il bilancio sarebbe stato ben più grave di quello di Andria, data la velocità a cui viaggiano le Frecce. L'Amministratore delegato di FS, Renato Mazzoncini, ha liquidato la vicenda come un “inconveniente di esercizio”, stendendo sul caso quella che il sindacato denuncia come una “cortina di segretezza”.
Il giorno precedente c’era stato un caso analogo anche sulla Roma-Viterbo.
Le chiacchiere dei politicanti borghesi tentano di rintronarci con ipotesi di errori umani e casualità, scaricando tutta la responsabilità dell'incidente sulle ultime ruote del carro, i lavoratori, ma se anche un solo incidente fosse un caso, ben 120 incidenti dall'inizio del 2009 ad oggi sulla rete ferroviaria italiana con 74 morti e 256 feriti sono una prova assolutamente inconfutabile che qualcosa di estremamente serio non funziona. 120 incidenti ci dicono che macchinisti e ferrovieri, svolgono eccellentemente il loro dovere in una situazione di sempre maggiore insicurezza e pressione e che, più che essere responsabili di errori fatali, hanno piuttosto salvato decine di vite di passeggeri da incidenti disastrosi, come quello sfiorato in Abruzzo.
Ma se lo sfascio delle ferrovie è accentuato ultimamente dalla contrapposizione tra Alta velocità e megaopere, come il traforo della Valsusa, da un lato e linee minori dall'altro, il Sud, dall'Unità d'Italia periferia dello Stato italiano, subisce questo peggioramento generale nel quadro di uno sfascio centenario.
Dal 1861 ad oggi si contano almeno 60 gravi incidenti ferroviari in Italia. Mancano in taluni casi i dati ufficiali, ma il numero dei morti potrebbe oltrepassare i 1.200, e quello dei feriti i 2500.
C'è una discriminante tra Nord e Sud nel numero e nella gravità degli incidenti? Sì, c'è stata storicamente, anche se oggi, il peggioramento dell'intera rete ferroviaria nazionale, ha fatto purtroppo lievitare il numero degli incidenti gravi anche al Centro-Nord. Sono ancora vive le terribili immagini dell'incidente di Viareggio del 25 giugno del 2009: 33 morti e decine di feriti.
Nei disastri ferroviari avvenuti nel Mezzogiorno d'Italia dall'Unità ad oggi, si contano almeno 800 morti e 1.200 feriti al Sud.
Gli incidenti, questo in tutta Italia, sono dovuti essenzialmente al binario unico. Ricordiamo che l'Italia ha una rete ferroviaria (RFI Ferrovie dello Stato e reti private) che si compone di 7.563 chilometri a doppio binario e 9.161 a binario unico. Cioè, quasi il 55% delle tratte italiane è a binario unico. Ben 5.733 chilometri di binario unico si trovano nel Mezzogiorno, cioè il 63% del binario unico si trova al Sud e questo incide e ha inciso notevolmente sulla gravità degli incidenti ferroviari nel nostro Meridione. La Basilicata ha il 95% della rete a binario unico, il Molise il 91%, la Sardegna l'88% e la Sicilia l'87%, l'Abruzzo il 77%, la Calabria il 67%. Soltanto la Puglia, con il 50% e la Campanina con il 41%, scendono al di sotto della media nazionale, perché sono regioni parzialmente raggiunte dall'alta velocità.
In tutte le regioni del Sud il binario unico non è interamente elettrificato, benché la trazione elettrica sia la più economica, anche in termini di costi ambientali. Bisogna qui specificare che la trazione elettrica non copre completamente neanche le regioni del Centro-Nord, tranne ovviamente che le linee ad alta velocità. Ci sono ad esempio i paradossi del Piemonte, dove accanto ai progetti in Valsusa, coesistono le linee ferroviarie periferiche a binario unico non elettrificato.
Al Nord la situazione peggiore in Valle d’Aosta dove ci sono solo due linee ferroviarie (81 chilometri totali), entrambe a binario unico. Una, l’Aosta-Chivasso, collega la Valle col sistema ferroviario italiano, mentre l’altra, che è poi una continuazione della prima, trasporta merci e passeggeri dal capoluogo a Pre-Saint Didier. Soltanto la prima linea è in parte elettrificata, mentre lungo i restanti chilometri i treni viaggiano a diesel.
Ma nelle regioni del Sud siamo ancora nella massima arretratezza. In Abruzzo, dei 566 km di rete ferroviaria solo 123 sono a binario doppio ed elettrificate, 196 Km sono a binario unico elettrificate, i rimanenti 247 km sono a binario unico non elettrificato. La rete ferroviaria del Molise conta di appena 265 km di linee, di cui elettrificato soltato il tratto appartenente alla Direttrice adriatica. In Campania, la rete ferroviaria si compone di 1.094,5 km, di cui 647,2 km a binario doppio 854,4 km elettrificati. In Puglia vi sono 840 km di rete ferroviaria, di cui 421 km a binario doppio, e 605 km elettrificate. La Basilicata ha 347 km di rete ferroviaria di cui appena 18 km a binario doppio. I km elettrificati sono 211. La linea ferroviaria della Calabria si estende per 852 km, di cui 279 km a binario doppio e 573 km a binario unico. Nella regione sono elettrificati 488 km di binario. In Sicilia dei 1.379 km di linee ferroviarie ben 1.189 km sono a binario unico e 801 km sono elettrificati. Per arrivare al caso ottocentesco della Serdegna, dove nessuno dei 1.038 km, di cui addirittura 608 km a scartamento ridotto, sono ancora elettrificati.
La mancanza di binario doppio e di elettrificazione sulle linee e la privatizzazione di intere tratte date in concessione a società private che pensano solo al massimo profitto comportano problemi sia sulla sicurezza che sulla puntualità dei trasporti, come ben sanno le masse popolari meridionali.
Le vetture peraltro sono obsolete e sporche generalmente in tutta Italia. Il 45% dei 3.300 treni che viaggiano nelle regioni italiane hanno più di vent’anni e il materiale rotabile ha un’età media di 18,6 anni. Nelle regioni meridionali però si raggiungono picchi ben più alti. In Puglia il 64,4% dei treni ha più di vent’anni e un materiale rotabile che ha raggiunto in media i 23 anni di vita.
La questione della sicurezza, di vitale importanza per le masse popolari, è anch'essa strettamente connessa alla contrapposizione tra alta velocità e mostruose opere da un lato e linee periferiche dall'altro. Sul sito delle Ferrovie italiane (www.rfi.it) si può leggere che RFI ha meritato il più importante premio mondiale per la ricerca ferroviaria, “il Best Paper Award 2006, come riconoscimento dell’esperienza e dell’eccellenza dell’attività svolta” per aver adottato l’innovativo sistema di sicurezza Ertms (European reail traffic management system). Il problema è che il sistema è attivo su 4.242 km di linee, cioè solo sulle ricche linee ad alta velocità in parte del Centro-Nord. Le linee tradizionali a binario unico, tutte quelle meridionali di sicuro, sono sorvegliate da sistemi obsoleti. Fino ad arrivare all'utilizzo di telefoni per le trasmissioni tra capotreno e capostazione, che si comunicano se un treno è già partito e se il binario è ingombro. Sistemi assolutamente meno sicuri, privi di quei doppi sistemi di sicurzza automatici che sono in grado di porre riparo a distrazioni, errori umani e casualità. Un capostazione o un capotreno da soli senza l'ausilio di sistemi automatici (si pensi al gps) non potranno mai conoscere se in qualche parte della linea si è verificato un errore, un treno è sfuggito al controllo o se un messaggio è stato o meno correttamente recepito.
A questa mancanza di sicurezza vanno aggiunte le riduzioni del personale, i tagli alla formazione, i turni spesso massacranti, la scarsa o carente manutenzione al materiale rotabile, la chiusura delle officine riparazioni, problemi che al Sud con la soppressione di intere tratte hanno gettato nell'abbandono e nel caos le ferrovie.
Renzi non può lavarsi la coscienza della tragedia di Andria. Il suo stesso governo da quando è in carica ha tagliato fondi alle regioni del Mezzogiorno, proprio quelli destinati al miglioramento delle rete ferroviaria. Nell’Autunno del 2015, con la connivenza del Parlamento nero, ha assegnato 4 miliardi e mezzo di Euro alle rete ferroviaria del Centro-Nord Italia e appena 60 milioni di Euro all'intero Mezzogiorno! Cioè poco più dell'1% delle risorse disponibili. Il Mezzogiorno è stato derubato di quei fondi dal governo Renzi. E' stato il Ministro PD delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, che adesso si interroga sui morti di Andria, a operare coscientemente per mantenere al lumicino gli investimenti al Sud e proprio per i raddoppi ferroviari. Era stato sempre il governo Renzi a stabilire che dei 28 miliardi destinati al sistema ferroviario nel 2015 dal Programma Operativo Nazionale “Infrastrutture e Reti” 2014/2020, ne andassero al Mezzogiorno solo poco più di 3.
In conclusione le responsabilità dell'incidente di Andria cadono sul governo centrale, Renzi e Delrio, e sui governi e amministrazioni regionale e locali, a cominciare da Vendola e Emiliano.
 
 
 
 

20 luglio 2016