Da 155 anni dall'Unità d'Italia hanno fatto ben poco per sviluppare e ammodernare la rete ferroviaria del Sud
I governanti del regime capitalista sono i responsabili politici della strage ferroviaria in Puglia

“Ho visto il collega piangere, ma è troppo facile dire che la colpa è sua: l'unica responsabilità è di chi non doveva permettere che uno sbaglio, uno solo, potesse portare a questa tragedia”.
“Parlare di errore umano è corretto, ma assolutamente riduttivo. Non ci fermeremo assolutamente alle prime responsabilità. L'errore umano è solo il punto di partenza di questa storia”.
Queste due frasi, rispettivamente di un macchinista che parla del capostazione di Andria, uno dei sei indagati nell'inchiesta sulla strage ferroviaria in Puglia, e del procuratore di Trani Francesco Giannella, che l'ha aperta con l'ipotesi di disastro ferroviario colposo e omicidio colposo plurimo, descrivono esattamente la portata dei problemi e delle responsabilità che lo scontro dei due treni nella tratta a binario unico Andria-Corato ha fatto emergere, e che vanno ben al di là delle colpe individuali dei ferrovieri indagati, i due capistazione di Andria e di Corato e il responsabile movimento della stazione di Andria.
Colpe che pure ci sono e sono anche state ammesse dagli indagati, ma che sono solo le prime e le meno gravi tra quelle evidenziate da questo disastro, e che come una serie di circoli concentrici e sempre più larghi rimandano alle responsabilità della società privata, la Ferrotramviaria spa, che ha in concessione l'intera tratta Bari-Barletta, e che non aveva installato i moderni sistemi automatici di sicurezza indispensabili sulle linee a binario unico; alla Regione Puglia, proprietaria della rete, che non ha verificato la loro installazione e che non ha provveduto nei tempi stabiliti al raddoppio già deliberato e finanziato della linea; ai vari governi nazionali, compreso l'attuale governo Renzi, che con la loro dissennata politica liberistica e privatizzatrice dei trasporti continuano a privilegiare solo le più lucrose ferrovie ad alta velocità e penalizzare le “improduttive” ferrovie regionali e locali; e, ancora più in alto, alla criminale politica di sfruttamento e di abbandono del Mezzogiorno da sempre praticata dal sistema capitalistico fin dall'Unità d'Italia, a causa della quale il generale stato di degrado del trasporto pendolare a livello nazionale diventa ancor più drammatico e disastroso al Sud.

Le responsabilità della concessionaria e della Regione
Non a caso sono stati iscritti sul registro degli indagati anche il direttore generale di Ferrotramviaria, Massimo Nitti, il direttore dell'esercizio Michele Ronchi e la presidente del cda Gloria Pasquini. I magistrati vogliono capire perché la sicurezza sulla tratta dell'incidente era ancora affidata all'antiquato e malsicuro sistema del “blocco telefonico”, cioè affidata allo scambio di telefonate tra le due stazioni, con conseguente possibilità di errore umano, come poi è successo, invece che al più moderno e sicuro Scmt (sistema di controllo marcia treno). Il sistema che blocca automaticamente i treni se per qualche errore si trovano a marciare sullo stesso binario, e che secondo una direttiva europea dovrebbe essere obbligatoriamente in funzione nelle linee a binario unico. Sarebbero bastati meno di due milioni di euro per installarlo, ma su quella tratta non è mai stato fatto.
Risulta addirittura da notizie dell'ultim'ora che la Regione Puglia già un anno fa aveva stanziato venti milioni di euro per la sicurezza dei treni della Ferrotramviaria: perché non sono stati utilizzati per installare il Scmt dove ancora mancava? Il contratto di servizio tra Regione e concessionaria era stato firmato appena sette mesi fa, e il sospetto è che dal momento che la linea andava raddoppiata la società non abbia voluto investire in una tratta destinata ad essere completamente rifatta. Ma perché la Regione non ha controllato che i lavori di adeguamento della sicurezza sulla tratta Andria-Corato fossero stati regolarmente eseguiti?
E qui emergono anche le pesanti responsabilità del governatore della Puglia Michele Emiliano. Come anche delle precedenti giunte Vendola, sulle quali l'attuale governatore scarica tutte le responsabilità per il continuo rinvio del raddoppio della linea, per il quale erano già stati stanziati 180 milioni di fondi europei e che avrebbe dovuto essere completato entro il 2015, mentre non sono stati nemmeno assegnati gli appalti.
Il 19 luglio 2013, all'insegna dello slogan “sali sul treno e vola in Europa”, ci fu l'inaugurazione del collegamento della tratta Bari-Barletta con l'aeroporto di Bari Palese. Erano presenti Vendola, Emiliano (allora sindaco di Bari), il sindaco di Barletta, Cascella, e Alessandro De Paola, direttore di Ustif Puglia, che decantò “l'alto valore tecnologico della realizzazione soprattutto per la parte di segnalamento e sicurezza che la pone fra le infrastrutture di alto livello tecnologico”. Eppure è stato proprio l'Ustif (Ufficio trasporti e impianti fissi), un ufficio periferico del ministero dei Trasporti, che si occupa della sicurezza delle ferrovie in concessione, metropolitane, tranvie ecc., a concedere a Ferrotramviaria la deroga all'istallazione del Scmt sulla tratta maledetta. E questo chiama direttamente in causa le responsabilità del ministro Delrio e del governo.

Le responsabilità del governo Renzi
La tratta di 37 chilometri Ruvo-Barletta, che fa anche da metropolitana per l'aeroporto di Bari, ha visto in pochi anni crescere il traffico da 48 a 140 treni al giorno (secondo alcuni sarebbero addirittura196). I capistazione devono smistare un treno ogni dieci minuti, mentre prima erano uno ogni 50 minuti. E il personale non è aumentato, ma semmai diminuito. Sono stati trovati registri di viaggio contraffatti, probabilmente per nascondere i ritardi. Evidentemente i ritardi erano diventati ormai cronici su questa linea, con i conseguenti accavallamenti di treni e aumento del rischio di incidenti. Il giorno della strage il capostazione di Andria avrebbe dovuto gestire il traffico di 28 treni in sei ore di lavoro. In queste condizioni la probabilità di un errore umano cresce esponenzialmente, e quella che è successa tra Andria e Corato è perciò una strage annunciata.
Già nel 2013 il parlamentare del M5S Giuseppe D'Ambrosio, che è di Andria e questa situazione la conosceva bene, aveva fatto un'interrogazione parlamentare sulla mancata sicurezza e sui ritardi per il doppio binario sulla linea Andria-Corato. Ma né l'ex ministro Lupi né l'attuale ministro Delrio gli hanno mai risposto. Stando così le cose l'annuncio immediato di una commissione di inchiesta da parte del ministro Delrio ha il sapore di una beffa, e la visita di Renzi sul luogo della strage ad esprimere solidarietà ai parenti delle vittime e le rassicurazioni di Mattarella agli stessi che sarà fatta “giustizia fino in fondo” appaiono ipocrite e di circostanza: “La visita del presidente della Repubblica è stata un atto dovuto, mentre quella del ministro Delrio è stata di circostanza e quella del premier Renzi fuori luogo e molto spiacevole. Mattarella ha compreso il nostro dolore e ci ha promesso giustizia, ma, del resto, se non lo facessero, sarebbero dei delinquenti”, ha commentato infatti amaramente il figlio di una delle vittime.
Sentite con quale equilibrismo di stampo democristiano Delrio ha risposto in parlamento alle interrogazioni sulla mancata sicurezza nella tratta del disastro: “Il sistema di segnalamento con consenso telefonico, pur essendo sicuro (sic), è certamente un sistema tra i meno evoluti rispetto alle tecnologie disponibili per la regolazione della circolazione ferroviaria: infatti il sistema si affida interamente all’uomo, nella fattispecie all’operatività dei capistazione, come sopra descritto. Le tecnologie oggi disponibili sono molteplici, e si adattano ai diversi regimi di esercizio in relazione alle caratteristiche della rete, alla frequenza dei convogli e alla velocità di esercizio. Nel caso di specie, sulla tratta a binario semplice in esame, il sistema di consenso telefonico è in uso da oltre sessant’anni: l’attuale frequenza dei convogli è praticamente inalterata da circa dieci anni, durante i quali non si sono evidenziati inconvenienti all’applicazione del sistema. Il sistema, ripeto, è di completa responsabilità della Ferrotramviaria, della società di gestione”.
Quindi il concetto sarebbe che il sistema è “sicuro” ma anche il “meno evoluto”, però siccome era in funzione da sessant'anni e non era successo mai nulla, vuol dire che era “adatto” al caso in specie, e comunque la responsabilità è tutta della società in concessione. La quale comunque, per il ministro, “è una delle aziende migliori del panorama italiano in termini di efficienza ed efficacia del servizio offerto, di livello professionale degli addetti ed interventi di ammodernamento e miglioramento dell’esercizio eseguiti”. Pare di assistere ad un altro film, eppure sono le esatte parole del ministro.

Invertire la politica liberista nel trasporto ferroviario
Ci sono delle responsabilità politiche precise, quindi, per la strage annunciata della Puglia e sono da ascrivere ai governanti del regime capitalista. È dai governi di “centro-sinistra” di Prodi e D'Alema in poi che va avanti la politica di privatizzazione e liberalizzazione delle allora Ferrovie dello Stato, con il taglio di migliaia di chilometri di “rami secchi” delle linee locali, la riduzione massiccia del personale, il taglio degli investimenti pubblici e la concentrazione delle ridotte risorse esclusivamente nell'alta velocità ed essenzialmente nella sola direttrice Roma-Milano, quella destinata agli utenti ricchi e la sola capitalisticamente remunerativa, mentre i treni regionali e locali destinati ai lavoratori e agli studenti sono stati sempre più abbandonati al degrado, alla sporcizia, ai ritardi e disservizi e a sempre più precarie condizioni di sicurezza.
Al Sud, poi, a questa situazione generale si aggiunge il sottosviluppo cronico economico e delle infrastrutture, dove da 155 anni dall'Unità d'Italia ben poco è stato fatto per sviluppare e ammodernare la rete ferroviaria. Sono 5 milioni gli italiani che ogni giorno utilizzano le linee regionali, e solo in Puglia sono 150 mila i pendolari che usano ogni giorno il treno. E a fronte di questo enorme traffico ci sono ancora 9 mila chilometri a binario unico su un totale di 16 mila dell'intera rete ferroviaria italiana, di cui una gran parte sono al Sud. Sono 2700 i chilometri di linee ferroviarie a binario unico date in concessione, e quanti di questi utilizzano ancora il sistema del blocco telefonico?
Eppure il governo Renzi continua e anzi accentua la politica liberista dei governi precedenti, insistendo nel buttare miliardi nell'inutile e devastante Tav in Val di Susa, e perseguitando e incarcerando chi giustamente vi si oppone, invece di investire nel trasporto regionale e recuperare ed ammodernare le ferrovie secondarie indispensabili alla mobilità dei lavoratori e degli studenti e alla vita delle comunità locali: in particolare al Sud, che non di opere faraoniche ha bisogno, utili solo ad arricchire la speculazione capitalista e la mafia, come il ponte sullo stretto di Messina, ma di una rete ferroviaria moderna, capillare ed efficiente, per uscire dall'isolamento in cui è confinato da 155 anni e mettersi al passo col resto del Paese e dell'Europa.
Ma per far questo occorre invertire completamente la marcia rispetto agli ultimi decenni di liberismo sfrenato. Occorre che il trasporto ferroviario, nella sua interezza, ritorni nelle mani dello Stato e sotto il controllo pubblico. I trasporti pubblici devono essere considerati un bene essenziale, come l'acqua, e devono essere sottratti alla speculazione privata. Essi non devono generare profitti, ma devono essere finanziati dalla fiscalità generale. E vanno privilegiati gli investimenti nel trasporto pendolare, che deve essere adeguato alle richieste, efficiente e sicuro, nonché anche gratuito per i lavoratori, gli studenti e i pensionati.

20 luglio 2016