Prendendo a pretesto il golpe
Il dittatore fascista Erdogan fa piazza pulita dei suoi oppositori
60mila persone sospese o arrestate. Chiesta ufficialmente agli Usa l'estradizione dell'imam Gülen. Grande manifestazione contro la dittatura e per la libertà e la democrazia
Dichiarato lo stato di emergenza

 
Il golpe militare tentato da un gruppo di soldati il 15 luglio è fallito, quello istituzionale pensato e già iniziato da tempo dal presidente Recep Tayyip Erdogan è in atto e rilanciato proprio col pretesto del golpe. Le 60 mila persone arrestate o sospese dal lavoro, militari o semplici dipendenti pubblici, danno il segno della decisione del dittatore fascista Erdogan di fare piazza pulita di ogni suo oppositore. "Faremo pulizia in tutte le istituzioni del virus dei sostenitori di Fethullah Gülen", annunciava il 22 luglio rilanciando l'accusa di essere dietro il golpe al filosofo islamico che vive in esilio volontario negli Usa, in Pennsylvania, e al suo movimento Hizmet fra i principali oppositori del Partito della Giustizia e dello Sviluppo, l’Akp di Erdogan,
Gli strumenti per la repressione attuata dal governo del premier Binali Yildirim erano messi a punto nella riunione a Istanbul del Consiglio di Sicurezza del 20 luglio che dichiarava lo Stato di emergenza per tre mesi e la sospensione dell’articolo 15 della Convenzione dei diritti dell’uomo per 45 giorni. Assieme all'estensione per 30 giorni del fermo di polizia.
La scure della repressione di Erdogan ha colpito finora soprattutto le persone sospettate di avere legami con il movimento Hizmet, nei settori in cui è più forte la sua presenza, tra i militari, nella magistratura e nel sistema dell’istruzione.
Secondo alcune ricostruzioni il golpe sarebbe maturato soprattutto in ambienti militari che temevano di essere colpiti dall'epurazione contro i sostenitori di Gülen nelle massime istituzioni statali data per decisa nella riunione del Consiglio supremo militare dei primi di agosto. La necessità di anticipare una sollevazione militare rispetto ai piani previsti sarebbe tra le cause delle incertezze fatali che hanno portato al fallimento. Secondo l'agenzia di stampa qatariota di Al Jazeera, Erdogan sarebbe riuscito a lasciare l'hotel nella località costiera di Marmaris dove si trovava in vacanza mezz'ora prima che i partecipanti del golpe arrivassero a prenderlo. A informare i servizi fedeli al presidente sarebbero stati, secondo quanto riferito dall'agenzia iraniana Fars su imbeccata di fonti diplomatiche di Ankara, i servizi segreti russi che avrebbero intercettato messaggi tra i golpisti grazie alle istallazioni di spionaggio dislocate in appoggio alle forze schierate in Siria.
Che siano stati o meno i servizi russi a salvare la pelle a Erdogan resta il fatto che i passi di Ankara verso un avvicinamento con Mosca, iniziati prima del golpe, sono continuati a ritmo serrato. A partire da quello compiuto dalla delegazione del governo turco, guidata dal vice primo ministro Nurettin Canikli, in visita il 26 luglio per colloqui che interessano il settore energetico, a partire dal riavvio della realizzazione del progetto chiamato Turkish Stream, un gasdotto che dovrebbe portare il gas russo in Turchia via Mar Nero. In attesa degli sviluppi dell'incontro previsto ai primi di agosto tra Erdogan e Putin.
Registriamo il ben diverso atteggiamento del regime di Ankara verso l'alleato americano, non certo ancora così stretto come in passato. Il governo turco chiedeva ufficialmente alla Casa Bianca 18 luglio l’estradizione di Gülen e il primo ministro Yildirim affermava che la Turchia potrebbe mettere in discussione la sua amicizia con gli Stati Uniti se non sarà concessa. Il segretario di Stato americano John Kerry dichiarava che gli Stati Uniti non potranno estradare Gülen se non saranno presentate per vie legali prove inconfutabili delle sue responsabilità e minacciava che "la Nato vigilerà sul comportamento democratico della Turchia".
Intanto il pugno di ferro di Erdogan continuava a colpire. I 1.577 rettori di tutte le università del paese pubbliche e private sono stati costretti dal Consiglio superiore dell’Istruzione a rassegnare le dimissioni per essere sostituiti da accademici vicini al partito di governo; in soli quattro giorni ben 15.200 impiegati del Ministero dell’Istruzione erano sospesi e messi sotto processo per i loro presunti legami con il movimento Hizmet mentre per lo stesso motivo erano ritirate le licenze di insegnamento a 21 mila docenti delle scuole private. Il vice primo ministro Numan Kurtulmus annunciava che erano stati aperti 9.322 provvedimenti giudiziari a carico di giornalisti. Il numero degli arrestati al 24 luglio saliva a 13.165, di cui 8.838 militari, 2.101 magistrati, 1.485 poliziotti, 52 autorità amministrative e 689 civili. Il regime infine chiudeva d'autorità 934 scuole, 15 università, 109 dormitori studenteschi, 19 sindacati, 104 fondazioni, 1.125 associazioni e 35 strutture sanitarie.
A fronte di tale manovra repressiva, un aiuto che possiamo dare al popolo turco è anzitutto la richiesta al governo italiano di rompere tutti i rapporti con la dittatura fascista di Erdogan e pretendere libertà per il popolo turco.
Il 22 luglio scendevano in piazza per la prima volta dopo il fallito golpe i partiti di opposizione; il partito filocurdo Hhp, il Partito Democratico dei Popoli, si opponeva alla dichiarazone dello stato di emergenza e alla sospensione dell’articolo 15 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e migliaia di manifestanti partecipavano alla protesta a Istanbul che denunciava il fatto che il tentativo di golpe era diventato un pretesto per il governo per eliminare tutta l’opposizione e limitare i diritti democratici e le libertà. Il 23 luglio altre centinaia di migliaia di manifestanti affollavano la centrale piazza Taksim di Istanbul rispondendo all'appello del partito socialdemocratico Chp per dire "No al colpo di stato" e manifestare "per la Repubblica e la democrazia".

27 luglio 2016