Come vogliono anche la Confidustria e la BCE
Nel mirino del governo c'è il contratto nazionale per favorire quello aziendale

Anche il governo è venuto allo scoperto attaccando il contratto nazionale di lavoro. Non è la prima volta che accade ma stavolta lo ha fatto in modo esplicito ed è avvenuto in una occasione dove, almeno apparentemente, le questioni politico sindacali del nostro paese non c'entravano nulla. Ci riferiamo al vertice di Ventotene tra Renzi, Merkel e Hollande tenutosi sull'isola laziale ad agosto dove i leader di Italia, Germania e Francia si sono ritrovati per fare il punto della situazione dopo la vittoria del SÌ al referendum sull'uscita dall'Unione Europea del Regno Unito, rilanciare l'UE imperialista e una forza militare comune; non a caso l'ultima riunione si è tenuta sulla pista della portaerei Garibaldi, simbolo del rinato interventismo dell'Italia imperialista.
Tra i vari argomenti si è discusso del deficit e della possibilità dei vari paesi (tra cui Italia e Francia) di avere un ambito di manovra più ampio rispetto alla rigidità imposta dalla Banca Centrale Europea (e dalla Germania). Per tutto il vertice c'è stato un continuo tira e molla tra i tre governanti, dove ognuno ha portato le proprie argomentazioni. Su questo tema specifico il governo italiano ha usato la cancellazione del Contratto Nazionale di Lavoro (CCNL) quale punto di riferimento generale per tutti lavoratori in cambio di una maggior “flessibilità” del debito pubblico italiano, ovvero un tasso percentuale più alto rispetto a quello attuale.
Una posizione già espressa da altri esponenti governativi e del resto il governo già da tempo sta facendo asse comune con la Confindiustria. Entrambi vogliono la destrutturazione completa del contratto nazionale e ridisegnare un nuovo modello contrattuale dove viene eliminata la valenza principale del CCNL, ovvero regole comuni per tutti e parità di salario per chi svolge lo stesso lavoro in qualunque parte del nostro paese si trovi. Renzi e i suoi ministri lo hanno già detto chiaramente, o le “parti sociali” si trovano d'accordo su questo oppure il governo farà una legge apposita.
Detta più chiaramente vuol dire che se i sindacati non accettano questo “nuovo” modello sarà varata un'ennesima controriforma, da attuare attraverso la detassazione dei contratti di secondo livello, quelli aziendali. Ma questa "riforma" prevede anche molto altro, le linee generali ci sono già e furono illustrate all'inizio dell'estate: demandare alla contrattazione aziendale orari, turni di lavoro e una larga parte di salario, la produttività asse centrale a cui legare gli aumenti. Contemporaneamente portare un'ulteriore stretta alla democrazia sindacale richiedendo l'accettazione del modello cogestionario come pregiudiziale per avere diritto alla rappresentanza, forti limitazioni al diritto di sciopero e misure disciplinari contro chi non si adegua agli accordi aziendali e mantiene un atteggiamento conflittuale. Poi c'è la questione del salario minimo . Anche su questo il governo vuole intervenire per legge, con l'obiettivo di mettere un tetto molto basso che, specie nell'attuale contesto di compressione dei salari, diventerebbe il punto di riferimento al ribasso, e già questo da solo depotenzierebbe il contratto nazionale.
Per il momento i vertici sindacali stanno cedendo o prendendo tempo, ricercando la trattativa, ma qui non c'è niente da trattare perché le intenzioni del governo e di Confindustria sono chiare, e già lo stiamo vedendo con il comportamento di Finmeccanica sul rinnovo contrattuale dei metalmeccanici dove si vuole ad ogni costo imporre questo nuovo modello contrattuale che cancella il CCNL.
Dall'altra parte il governo dopo il Jobs Act vuole completare del tutto l'instaurazione di nuove relazioni industriali e sindacali di stampo mussoliniano, un “modello Marchionne” in tutti i luoghi di lavoro. In questo modo si scaricano gli effetti della crisi capitalistica sui lavoratori, si danno incentivi alle aziende e si usa il taglio dei diritti e dei salari come contropartita affinché l'UE chiuda un occhio sul deficit italiano. Anche la cosiddetta troika, che conduce le danze a livello europeo, si trova in perfetta sintonia con i capitalisti e il governo. Nella famosa lettera che la BCE consegnò nell'agosto 2011 all'allora capo del governo Berlusconi c'era anche questa indicazione, ma il governo di destra cadde prima e non riusci a realizzarla.
Nella traduzione, apparsa sulle colonne del "Corriere della Sera", tra le altre cose si ordinava all'Italia “di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d'impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. L'accordo del 28 Giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione”. Sembra proprio che il governo del nuovo duce Renzi abbia preso alla lettera queste “indicazioni” con l'intento di riuscire dove Berlusconi fallì.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

31 agosto 2016