Guerra per bande all'interno del M5S
Caos e crisi nella giunta Raggi
Una raffica di dimissioni e le indagini sull'assessora ai rifiuti mettono già alle corde la “giunta modello” di Roma. De Dominicis al bilancio sponsorizzato dall'amico di Previti
L'assessora Muraro era indagata, ma sia lei sia la Raggi l'hanno sempre negato

Ad appena due mesi dal trionfale insediamento in Campidoglio la giunta monocolore del Movimento 5 Stelle guidata da Virginia Raggi è già in crisi, rischiando di essere travolta dalla guerra per bande che infuria all'interno del Movimento e che ha già portato alle dimissioni di alcuni dirigenti e assessori di peso, mentre qualcun altro è in bilico per il coinvolgimento in vicende giudiziarie.
Le tegole più recenti piovute sulla “giunta modello” pentastellata, infatti, sono state l'indagine giudiziaria a carico dell'assessore Muraro e le dimissioni in un sol colpo del capo di Gabinetto della sindaca Raggi, Carla Romana Raineri, dell'assessore al Bilancio, Marcello Minenna, del direttore generale dell'azienda municipale romana dei trasporti (Atac), Marco Rettighieri, e dell'amministratore unico Armando Brandolese, nonché dell'amministratore unico di Ama, la municipalizzata dei rifiuti, Alessandro Solidoro.
Dimissioni seguite nel giro di pochi giorni dalla notizia ufficiale, finora sempre negata dall'interessata e dalla stessa Raggi, che l'assessora all'Ambiente, Paola Muraro, risulta indagata in un'inchiesta della procura di Roma sulla gestione dei rifiuti da parte dell'Ama, per un reato ambientale che avrebbe commesso quando lavorava come consulente per la municipalizzata. Cosa che ha messo in grave imbarazzo i vertici del M5S e suscitato lo sconforto e la rabbia della base.

La faida tra il “raggio magico” e i “tecnici”
La prima tegola è caduta il 1° settembre, innescata dalle dimissioni della Raineri, un magistrato messo in aspettativa dal Csm, già membro della giunta del commissario prefettizio Tronca, chieste dalla sindaca dopo aver sollecitato un parere di regolarità sulla nomina della sua capo di Gabinetto all'Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone (Anac). Secondo Cantone, contrariamente ai pareri positivi espressi da altri, l'assunzione sarebbe stata irregolare perché sarebbe dovuta avvenire per concorso. Stando alla Raineri il parere dell'Anac sarebbe stato richiesto dalla Raggi e scritto dal suo vicecapo Gabinetto, Raffaele Marra, appositamente per farla fuori, in quanto avvertita come una minaccia dal cosiddetto “raggio magico” intorno alla sindaca, di cui oltre a Marra, legato alla destra romana e già collaboratore di Alemanno e della Polverini, fanno parte il vicesindaco Daniele Frongia e il capo della Segreteria politica della Raggi, anche lui legato alla destra romana, Salvatore Romeo. Una combriccola saldamente unita che si sarebbe attivata per opporsi ai cambiamenti decisi dalla Raineri e dall'assessore al Bilancio con delega al patrimonio e alle partecipate (tra cui le elefantiache e clientelari Ama e Atac), il bocconiano Marcello Minenna, proveniente dalla Consob e anch'egli collaboratore di Tronca, che l'aveva voluta al suo fianco per “ripulire” il Comune dalle consorterie e dall'inefficienza.
Difatti, un'ora dopo la Raineri si dimetteva anche Minenna, lasciando vacante l'assessorato più importante per realizzare quel programma di “cambiamento” e di “moralizzazione” del Comune di Roma sul quale il M5S aveva stravinto le elezioni di giugno. E a catena, nella stessa giornata, si dimettevano anche i vertici di Atac e Ama che a lui facevano riferimento. Con grande sconcerto dei dirigenti romani del Movimento, da sempre ostili al “raggio magico” e al duo Marra-Romeo, come la senatrice Paola Taverna, una dei quattro componenti del “minidirettorio” romano messo a guardia della Raggi, e la deputata membro del direttorio nazionale, Carla Ruocco, che di Minenna e della Raineri si era fatta garante.

La risposta autoritaria della Raggi
Da parte sua la neosindaca respingeva ogni accusa di complotto contro la Raineri giustificando la sua richiesta di parere all'Anac per cautelarsi da ogni possibile contestazione legale. Se così fosse avrebbe quantomeno commesso un'ingenuità, dato che tutti sanno che Cantone risponde a Renzi, il quale avrebbe avuto tutto da guadagnare nel far scoppiare una crisi nel campo avversario e dimostrare l'incapacità del M5S a governare. Sta di fatto comunque che la Raggi non si è stracciata le vesti per le dimissioni plurime, e con piglio autoritario il giorno dopo ha rilanciato: “Lavoriamo per il bene della città. Queste dimissioni non ci spaventano. Diamo fastidio ai poteri forti ma siamo uniti e determinati. Stiamo valutando profili di altissimo rilievo che possono far parte della squadra. Già oggi daremo un primo segnale”. Che poi è stato la nomina del nuovo amministratore dell'Atac, l'ingegnere nucleare Manuel Fantasia.
Tanta sicumera le deriva anche dal silenzio di Grillo, che per l'imbarazzo si è defilato dalle faide romane, e soprattutto dalla copertura del suo sponsor politico più importante, Luigi Di Maio, che sul successo della giunta Raggi fonda le speranze di un futuro governo nazionale del M5S e le sue ambizioni personali di candidato premier: “Io dico soltanto una cosa – ha dichiarato infatti il vicepresidente della Camera prendendo le difese della Raggi – questo è solo l'inizio, chi pensa che governare Roma sia una cosa semplice ha sbagliato totalmente. Abbiamo tutti contro, tutte le lobby. Domani nominiamo il nuovo assessore, il nuovo capo di gabinetto, i nuovi vertici delle aziende e andiamo avanti. Noi a Roma vogliamo cambiare tutto, e lo faremo”.

La campagna d'agosto e il caso Muraro
Più facile a dirsi che a farsi, però, perché non erano passati che pochi giorni che una nuova crisi si affacciava in Campidoglio, riguardante un altro importante personaggio molto vicino alla Raggi, l'assessora all'ambiente Paola Muraro. Già molto chiacchierata e accusata di conflitto di interessi per gli alti compensi percepiti lavorando per 12 anni come consulente dell'Ama, l'azienda che adesso è sotto la sua responsabilità, la Muraro era già da settimane nel mirino delle opposizioni per le voci, da lei sempre smentite, di un suo coinvolgimento in un'inchiesta giudiziaria sullo smaltimento dei rifiuti. Erano spuntate anche delle sue telefonate con il principale imputato di “mafia capitale”, Buzzi, intercettate e allegate all'inchiesta anche se giudicate penalmente irrilevanti.
Per queste telefonate e l'inchiesta in cui era coinvolta, per i notevoli compensi percepiti dall'Ama e per l'accusa di aver favorito in quella veste il re delle discariche Cerroni, ai primi di agosto il PD aveva provato a chiederne le dimissioni con un'interrogazione in Consiglio, ma la sindaca aveva fatto quadrato sul suo assessore e respinto ogni tentativo di farla dimettere, sostenendo che per ora non risultava nessuna indagine a suo carico, e che se mai fosse emersa, allora e solo allora il Movimento avrebbe preso le sue decisioni in merito: il 10 agosto, al Tg1, la sindaca aveva infatti tagliato corto dichiarando che l’eventualità di un avviso di garanzia per Muraro “è un’ipotesi al momento irreale. Se si dovesse verificare valuteremo”.
Questa vicenda era scoppiata nel bel mezzo della crisi estiva dei rifiuti che si erano accumulati nelle strade, su cui la stampa al servizio del PD, con in testa La Repubblica , aveva scatenato una martellante campagna giornaliera nel tentativo di dare una prima spallata alla nuova giunta capitolina. Passata l'emergenza rifiuti nel mirino della stampa filorenziana era entrata l'Atac, poi ancora la questione delle olimpiadi, con le pressioni delle lobby del cemento e del PD che aprivano le prime crepe nel fronte del no, tanto che l'assessore all'urbanistica aveva fatto delle aperture e la stessa Raggi cominciava a mostrarsi ambigua sull'argomento. E infine, nella seconda metà di agosto, era scoppiato lo scandalo delle retribuzioni d'oro di alcuni dirigenti, tra cui quella della stessa Raineri (193 mila euro l'anno) e quella del capo della Segreteria, Romeo, a cui era stato triplicato lo stipendio.

Raggi e Muraro hanno mentito
Tra crisi e scandali si arriva alla raffica di dimissioni del 1° settembre, finché, come se ancora non bastasse, adesso si riapre in pieno il caso Muraro. Interrogata il 5 settembre, insieme alla Raggi, dalla Commissione bicamerale sulle ecomafie e il ciclo dei rifiuti, costei ha ammesso infatti di essere indagata da aprile, di esserne venuta a conoscenza il 18 luglio, e di averne subito informata la Raggi. La quale dapprima ha detto che ne erano a conoscenza anche i membri del direttorio nazionale, poi, dopo la loro secca smentita, è ripiegata sui soli membri del “minidirettorio” romano.
Dunque la sindaca e il suo assessore all'Ambiente hanno mentito sostenendo per più di un mese e fino al giorno precedente l'audizione che a loro non risultava che la Muraro fosse indagata. Le due si difendono distinguendo tra la comparizione nell'inchiesta, che c'era, e il ricevimento di un avviso di garanzia, che non c'è stato, ma l'argomento è assai debole, ed è comprensibile che le opposizioni, per quanto spudoratamente, visti i loro precedenti, abbiano forti argomenti per chiedere la testa dell'assessore e sparare a zero sulla Raggi. Massimo è lo sconcerto della base del Movimento, che è dilagato sulla rete con commenti che variano in tutta la gamma compresa tra sconsolati a furibondi, e il cui motivo dominante si può riassumere con: “Siete come tutti gli altri partiti”.
L'evidente sintonia della Raggi con la destra romana esce confermata dalla nomina del nuovo assessore al Bilancio, nella persona “specchiata” dell'ex magistrato della Corte dei conti, Raffaele De Dominicis. Sono scoppiate polemiche, quando è emerso che a perorare la sua nomina presso il M5S è stato Pieremilio Sammarco, titolare di uno studio di Diritto amministrativo, il cui fratello, Alessandro, penalista, ha difeso in importanti processi Cesare Previti, presso il cui studio Virginia Raggi ha svolto il praticantato da avvocato. Di nuovo il “raggio magico” e la destra romana che fanno capolino dietro le quinte della giunta Raggi.

Come gli altri partiti del regime neofascista
Quel che è certo è che la guerra per bande all'interno del M5S romano, già iniziata al tempo delle “comunarie” che hanno scelto la Raggi come candidata sindaco, non è mai cessata un momento da allora, e oggi infuria più che mai, e gli effetti si vedono. Una guerra che non esisteva, o comunque non si vedeva, quando il movimento di Grillo era fuori dalle istituzioni e se ne vantava, mentre ora che ci è entrato fino al collo, e che ci sono posti di potere da spartire, si comporta in tutto e per tutto come gli altri partiti del regime neofascista, assorbendone tutti i vizi e gli appetiti: dalla lottizzazione delle cariche in base al peso delle varie correnti alle faide tra consorterie che si fanno le scarpe a vicenda. Con l'emergere di capi e capetti che cercano di imporre il loro leaderismo con intrighi o con l'autoritarismo, o con tutti e due, come fa la Raggi sfoggiando un piglio da neopodestà.
É l'ennesima conferma che non si possono cambiare dal di dentro le marce e corrotte istituzioni borghesi, ma sono queste che cambiano chi entra a farne parte proclamando di rivoltarle come un calzino, mentre invece finisce per assumere invariabilmente il ruolo che gli viene assegnato.
 

7 settembre 2016