Il divieto del burkini è un provvedimento fascista e razzista

 
Il Consiglio di Stato francese del 26 agosto sospendeva definendola “illegale” e considerandola una “violazione grave delle libertà fondamentali, di spostarsi, di coscienza e di libertà personale” l'ordinanza del sindaco della cittadina di Villeneuve-Loubet, vicino a Nizza in Costa azzurra, che proibiva di indossare sulle spiagge il costume integrale islamico, ribattezzato burkini, per evitare “turbamenti all’ordine pubblico”. Per dirlo con parole chiare il divieto del burkini è un provvedimento fascista e razzista, che ha alimentato nel periodo estivo una nuova campagna islamofoba, in particolare in Francia con echi in Italia e Spagna.
Tra l'altro il sindaco di Villeneuve-Loubet con la sua ordinanza che vietava l’accesso alla spiaggia a chi non disponga di una “tenuta corretta, rispettosa del buon costume e del principio di laicità”, si autoproclamava censore di usi e costumi senza porsi il problema di violare libertà e diritto anzitutto delle donne. Per non apparire discriminatorio verso la religione islamica il suo collega di Cannes nella sua ordinanza aveva precisato che il divieto era relativo a “indumenti che ostentino un’appartenenza religiosa”, così le spiagge sarebbro state vietate anche alle suore che accompagnano in spiaggia i bambini delle colonie. Nessun problema, il segno fascista, razzista e islamofobo del provvedimento era la foto emblematica che è girata sui media che riprendeva una donna islamica sulla spiaggia costretta a togliersi degli indumenti guardata a vista da tre poliziotti.
Il via alla campagna anti-burkini lo aveva dato lo scorso 28 luglio proprio il sindaco reazionario di Cannes, David Lisnard, con il suo decreto sulle misure dei costumi da bagno che vietava il costume integrale islamico, seguito da una trentina di odinanze dei comuni della Costa Azzurra e di altre località. Fra le quali quella del sindaco Luca Lionnel, della formazione di destra Les Républicains, emessa il 5 agosto e contestata da alcune associazioni che avevano presentato ricorso presso il tribunale amministrativo di Nizza; tribunale che il 22 agosto respingeva il ricorso e confermava la validità dell’ordinanza sottolineando che il burkini e in generale un abbigliamento collegabile al fondamentalismo islamico potevano “provocare problemi” in una zona colpita dall’attentato della Promenade des Anglais del 14 luglio. Una motivazione che nei fatti rilanciava l'inaccettabile formulazione islam uguale terrorismo.
La Lega dei diritti dell’uomo (LDH) e il Comitato contro l’islamofobia in Francia (CCIF) presentavano appello al Consiglio di Stato di Parigi che accoglieva la loro richiesta. “A Villeneuve-Loubet, nessun elemento permette di affermare che dei turbamenti all’ordine pubblico derivassero dalla tenuta adottata da alcune persone. In assenza di tali rischi, il sindaco non aveva il diritto di prendere un provvedimento per proibire l’accesso alla spiaggia e al mare”, affermavano i tre giudici che emettevano la sentenza del Consiglio, “in assenza di questi rischi, l’emozione e le inquietudini suscitate dagli attentati terroristici, in particolare quello commesso a Nizza il 14 luglio, non bastano a giustificare legalmente il divieto contestato”. I giudici stigmatizzavano che l’ordinanza “ha danneggiato in modo grave e manifestamente illegale quelle libertà fondamentali che sono la libertà di circolazione, la libertà di coscienza e la libertà personale”. E ricordavano ai sindaci che avevano invocato il principio di laicità per proibire l’accesso alla spiaggia al costume integrale islamico che il loro divieto poteva fondarsi solo su “l’ordine pubblico, l’accesso alla riva, la sicurezza nel fare il bagno, l’igiene e la decenza”.
La sentenza valeva però solo per il comune di Villeneuve-Loubet, nella trentina di comuni che avevano adottato la stessa decisione il divieto restava in vigore fin quando non saranno contestati davanti ai tribunali.
Se la decisione della Corte chiudeva la questione da un punto di vista giuridico lasciava ovviamente aperta quella sul piano politico che aveva visto schierarsi sulle posizioni razziste e faciste non solo la destra ma anche una parte della "sinistra" borghese, compreso il primo ministro Manuel Valls.
Quando ancora la Corte di Parigi non si era pronunciata, arrivava il “suggerimento” del socialista Valls che aveva espresso il suo “sostegno” ai sindaci che avevano deciso di firmare le ordinanze anti-burkini affermando che andavano capiti perché “in questo periodo di tensione hanno voluto cercare soluzioni ed evitare problemi di ordine pubblico”. Il primo ministro dava il suo pesante contributo alla campagna islamofoba sostenendo che “il burkini è incompatibile con i valori della Francia” . D'intesa col ministro dei Diritti delle donne, Laurence Rossignol, favorevole alla guerra contro il burkini.
I due esponenti governativi erano sbugiardati dalla sentenza del Consiglio di stato del 26 agosto che non fermava comunque la corsa a destra dei principali partiti borghesi francesi con il riciclato ex presidente Nicolas Sarkozy che il 29 agosto ufficializzava la sua candidatura per le presidenziali del 2017 chiedendo tra le altre una legge specifica per proibire il burkini.

7 settembre 2016