In Cina per rendere l'omaggio del PMLI al grande Maestro del proletariato internazionale nel 40° Anniversario della morte
Grande tributo del popolo cinese a Mao
Deposta la targa commemorativa con i fiori a Shaoshan. Apprezzata presenza al mausoleo di Pechino il 9 settembre dove sono confluiti 50mila visitatori
Fotografati e richiesti i manifesti e volantini della commemorazione di Mao a Firenze, numeri de “Il Bolscevico” e gli opuscoli di Scuderi su Mao
di Erne

Con il viaggio in Cina su incarico del Segretario generale del PMLI, compagno Giovanni Scuderi, e a nome del Comitato centrale del Partito, ho avuto l'onore di rendere omaggio a Mao in occasione del 40° Anniversario della sua scomparsa. Una ricorrenza talmente importante che un vero, sincero e autentico Partito marxista-leninista non poteva lasciarsi sfuggire. Con una doppietta proletaria rivoluzionaria, la commemorazione pubblica svoltasi a Firenze l'11 settembre e la visita in Cina che l'ha preceduta, il PMLI è stato l'unico Partito non solo in Italia, non solo in Europa, ma probabilmente nel mondo, che ha reso omaggio in casa propria e nella patria nativa, come era scritto nelle due splendide targhe commemorative in italiano, inglese e cinese, realizzate dalla Commissione di stampa e propaganda del CC del PMLI che hanno accompagnato il mio viaggio, “al fondatore della Repubblica popolare cinese, all'ideatore e condottiero della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, al grande maestro del proletariato internazionale, delle nazioni e dei popoli oppressi, promettendogli che i marxisti-leninisti italiani continueranno ad applicare i suoi luminosi insegnamenti, come quelli di Marx, Engels, Lenin e Stalin, nella lotta contro il capitalismo e il revisionismo, per il trionfo del socialismo in Italia”.

Nello Hunan, tra Changsha e Shaoshan
Il viaggio per rendere omaggio a Mao non poteva che partire dalla sua terra d'origine, la regione dello Hunan. Per questo ho volato per quasi 15mila chilometri per arrivare a Changsha, il capoluogo, nella parte nord-occidentale. La città, sulle rive del fiume Xiang, che conta quasi 7 milioni di abitanti, è oggi un importante centro agricolo e commerciale, capace di produrre da solo ben il 15% del riso cinese.
Qui Mao studiò nel locale Istituto magistrale dal 1913 al 1918 e vi insegnò tra il 1920 e il 1923. Qui si fece le ossa di rivoluzionario comunista.
Il tempo di sbrigare le questioni di sistemazione logistica e sono già in piazza Mao, con indosso la rossa fiammante maglietta del PMLI, dove troneggia una colossale statua in lega di alluminio e magnesio alta 7 metri raffigurante Mao che parla al popolo. Dietro era stata allestita una bella mostra celebrativa con pannelli rettangolari riportanti immagini salienti della vita e dell'opera del grande timoniere e Changsha, mentre una troupe televisiva locale girava un servizio. Una scolaresca con tanto di fazzoletto rosso al collo intanto si schierava di fronte la statua dispensando canti e slogan di saluto a Mao. Deposta la targa alla base della statua sono subito avvicinato da un membro del PCC locale che mi spiega cosa vedere. Ben volentieri prende il volantino della nostra commemorazione a Firenze e lo fa girare fra gli altri suoi compagni presenti per poi chiedere di farsi fotografare insieme, un inizio incoraggiante.
L'annesso complesso museale si apre con un lungo porticato, ai muri delle enormi tavole con 90 poesie di Mao incise in oro su marmo bianco e nero, che bello spettacolo. Una piccola strada in mezzo ad un laghetto mi conduce alla modesta abitazione dove Mao visse con la seconda moglie Yang Kaihui, un'eroica comunista fatta prigioniera e giustiziata da Chang Kai Shek, che fu trasformata nella sede del Comitato centrale del Partito comunista dello Hunan subito dopo la fondazione del PCC avvenuta a Shangai nel 1921. La guardia all'ingresso che non parla una parola di inglese, questa sarà purtroppo una costante di tutto il mio viaggio, mi fa capire che la casa non può essere visitata per lavori interni che dureranno diverse ore. Srotolo il manifesto e gli faccio vedere la targa con la traduzione cinese. E' il nostro lasciapassare. Stupito dalla provenienza e da tutto questo interesse per Mao non solo mi fa mettere la targa su un tavolo originale sotto un ritratto del giovane Mao, ma vi oppone un cavaliere con la scritta “Don't touch” (Non toccare) in modo che i visitatori della sera possano leggerla e mi invita a visitare le quattro piccole stanze seppure con pulizie in corso. Di fronte una grande insegna con il ritratto di Mao giovane e falce e martello su base rossa indica la sede del salone delle esposizioni di due piani attualmente in ristrutturazione.
Nel pomeriggio mi incolonno insieme a migliaia di cinesi nel viale lungo 5 chilometri che attraversa l'isola Juzizhou, l'isola arancio o del mandarino, nel mezzo al grande fiume Xiang, per ammirare e rendere omaggio al monumento con la grande testa di Mao venticinquenne, un colosso di 32 metri di pietra eretto nel 2009 in suo onore. Manifesto e volantino della commemorazione hanno colpito l'attenzione dei presenti che li hanno fotografati in massa. Un cinese ottenuto un manifesto si è recato visibilmente emozionato alla grande stele di pietra dove sono incisi i versi della famosa poesia scritta da Mao nell'autunno del 1952 “Qinyuanchun” (Changsha) e si è fatto fotografare orgogliosamente dagli altri del suo gruppo.

La casa natale di Mao
All'indomani dalla stazione Sud di Changsha, dopo ore di attesa ho preso il primo treno con posti disponibili per Shaoshan, paese natale di Mao. In 20 minuti un vero e proprio modernissimo e comodissimo siluro che raggiunge i 300 chilometri orari, fiore all'occhiello delle nuove tecnologie della superpotenza cinese, copre la tratta di 130 chilometri. Sul treno conosco un giovane che ha da poco finito la leva militare nella polizia, mi parla del rapporto di amore e di rispetto impressionante della popolazione dello Hunan verso Mao, del resto specifica “prima avevano meno ma lo avevano tutti, ora c'è di più ma per pochi”.
Siamo nella provincia meridionale dello Hunan. Con i suoi 120mila abitanti Shaoshan a livello nazionale non è che un “paesotto”. Tuttora l'economia della zona che genera un Pil superiore a 1 miliardo di dollari si regge su Mao e sul turismo che attrae da tutta la Cina. L'industria principale è quella delle sue statue e dei busti, che vengono fabbricati al ritmo di oltre 2mila al mese per quelle di grande dimensioni e decine di migliaia per quelli più piccoli per tutto il paese. Dalla stazione sono 5 chilometri per arrivare al sito memoriale di Mao, la lingua non mi pemette che prendere un taxi. Ammicco il busto di Mao sul cruscotto e il pendolo con la sua immagine che cala dall'alto fino al volante e il taxista capisce al volo, a fatica mi chiede da dove vengo e mi fa vedere che anche tutti i suoi colleghi hanno Mao dappertutto. Tornerò a Shaoshan anche il giorno dopo per completare quello che non sono riuscito a vedere nella prima giornata.
L'imponente memoriale di Mao si apre con la maestosa piazza a lui intitolata preceduta da un lungo viale costellato ai lati da steli di pietra con citazioni del grande maestro del proletariato internazionale. Reperisco un bel mazzo di gerbere rosse, il fiore adottato dal PMLI, e salgo una scalinata da cui parte un lungo tappeto rosso che arriva fino ai piedi della grande statua in bronzo alta 6 metri, collocata nel 1993 per il centenario della sua nascita. Ai suoi piedi una distesa di corone di fiori provenienti da ogni dove si accatastano una davanti all'altra. Posiziono la nostra targa più grande, quella a tre ante, proprio al centro con davanti i fiori, per tutta la giornata rimarrà lì in posizione strategica. I militari di guardia l'hanno voluta vedere in anteprima, non possono permettere provocazioni mi hanno detto. La traduzione in cinese anche qui è stata vincente.
Il nostro omaggio a Mao ha raccolto grande successo, tutti si fermavano a leggere la targa e moltissimi mi chiedevano di fare foto insieme, la maglietta del PMLI indossata faceva il resto. Fiumane di persone dall'alba al tramonto hanno reso omaggio a Mao verso di cui tutti si inchinavano, lanciavano slogan rivoluzionari a pugno chiuso, scandivano ritmicamente il suo nome. Qui, mi dicono, si celebrano matrimoni e delegazioni di operai e lavoratori con tanto di striscioni vengono per “far sentire a Mao” motivi e ragioni della loro protesta contro il regime revisionista.
Usciti dalla piazza in direzione opposta una strada tra il bosco conduce alla casa dove nel 1893 nacque Mao, una modestissima abitazione in mattoni di fango e tetto di paglia, simile a molte case di campagna del tempo, circondata di fiori di loto e di risaie. Una coda lunghissima sotto un sole cocente non scoraggiava migliaia e migliaia di persone nel visitarla. All'interno tutti i mobili, gli arredi, i letti, i tavoli, gli attrezzi di lavoro del padre di Mao sono originali, preservati magnificamente. All'interno non è possibile fotografare, mentre alla porta d'ingresso c'è la calca per cogliere uno scatto con la casa alle spalle. Anche qui il nostro manifesto ha raccolto l'interesse generale ed in molti hanno voluto immortalarlo.
Accanto alla casa natale c'è la casa dove Mao ha risieduto fino ai 19 anni allorché decise di uscire dalle grinfie del padre per cercare la sua strada autonomamente trasferendosi in città, a Changsha. Anch'essa negli anni '30 fu utilizzata da Mao e dai suoi più stretti compagni come sede del PCC. Qui sono conservati il cestino di scuola di Mao, i suoi zoccoli, i libri che leggeva, matite e altri oggetti personali del tempo.
L'ultima tappa è stata il grande “museo memoriale del compagno Mao” dove sono esposti circa 800 oggetti a lui appartenuti che molto intelligentemente dopo la sua morte furono portati via da Pechino prima che finissero in qualche scantinato o rischiassero di venire distrutti. Anche qui l'afflusso di folla è notevole, ma prima della visita chiedo di parlare con la direzione, fornisco il biglietto da visita e il tesserino di redattore de “Il Bolscevico”. La poliziotta addetta si consulta e mi dice che ciò non è possibile perché avrei dovuto effettuare una richiesta almeno 10-15 giorni prima, questa è la prassi e non sono concesse deroghe.
Dall'emozionante visita al museo esce la vera, immensa, figura di Mao, un uomo semplice e modesto, che ha dedicato tutta la sua vita per il bene del popolo cinese e in difesa dei popoli di tutto il mondo dall'oppressione imperialista. Splendidamente conservati i suoi cappelli e le divise, indossati negli appuntamenti più importanti della storia della Rivoluzione cinese, da quelli della proclamazione della Repubblica popolare e della visita a Mosca per partecipare ai festeggiamenti del 70° compleanno di Stalin nel 1949, alla famosa divisa verde con bordi rossi immortalata nelle foto di tutto il mondo nel maggio 1966 per il lancio della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria in piazza Tien An Men a Pechino. Dai suoi studio, libreria e camera originali perfettamente riposizionati. E poi tanti suoi oggetti personali, cadenzati da grandi foto e quadri che ritraggono Mao, cronologicamente, in tutta la sua vita e opera.
Tra le tante cose che ho appreso della vita di Mao, molte delle quali per me inedite, vorrei citarne due che mi hanno colpito in modo particolare. Mao era un divoratore di libri, consapevole che solo con la lettura, lo studio e la documentazione si poteva diventare dei buoni marxisti-leninisti. Dormiva da solo, non per chissà quali problemi, ma perché l'altra metà del suo letto era occupato da una enorme distesa di libri, coperta con un nylon, che leggeva avidamente fino a che non crollava dal sonno. Addirittura il giorno prima di morire nel certificato del suo medico, che ho visto in originale, si legge che seppur all'ultimo stadio della malattia Mao aveva letto libri per 2 ore e cinquanta minuti. L'altra è una teca esposta con tutte le ricevute di pagamento, saldate da Mao, per l'utilizzo di spazi di proprietà dello Stato per eventi e riunioni del Partito comunista cinese, compreso il consumo di bevande e quant'altro! Qualcosa di incredibile. Che si sciacquino la bocca i politicanti borghesi corrotti e senza remore, i neofascisti e gli anticomunisti di ogni risma, quando parlano di Mao definendolo un dittatore sanguinario, un uomo sadico e senza scrupoli.
Anche al museo di Mao il materiale del Partito ha fatto la sua bella figura con il manifesto e volantino della Commemorazione, mentre il militare addetto alla sorveglianza di una delle varie stanze ha consentito che fossero posizionati vari numeri de “Il Bolscevico” dedicati a Mao sotto l'immagine del grande maestro.
Riparto dallo Hunan con emozione e entusiasmo, cosciente di aver palpato il legame tuttora esistente tra Mao e la sua terra d'origine, un legame indelebile e indistruttibile. Anche da capo del più grande Stato socialista della terra, Mao non ha mai disdegnato e dimenticato i suoi luoghi nativi, tanto che appena poteva, nei rari momenti di riposo, tornava volentieri nelle sue Shaoshan e Changsha. Terre queste che vanno fiere di aver dato i natali e visto crescere uno dei più grandi personaggi della storia mondiale moderna. Tutti lo portano nel cuore e ne hanno e ne chiedono il massimo rispetto, tanto che lo stesso Xi Jinping si è visto costretto più volte a visitare tutti i luoghi di Shaoshan dedicati a Mao, facendone dare larga risonanza sui media locali e nazionali.

A Pechino
Da Changsha un volo di 3 ore mi conduce a Pechino, la megalopoli di oltre 22 milioni di abitanti, capitale della Cina e centro della vita politica e della storia di Mao e della Cina socialista. Avevo scelto come base una sistemazione economica ma spaziosa e comoda, a 800 metri dal centro nevralgico della città, a due passi dalla metropolitana, a Pechino ci sono ben 15 linee che la attraversano tutta.
Il primo impatto con la sterminata piazza Tien Anmen è da brividi, al solo vedere il mausoleo di Mao e l'ingresso alla Città Proibita col suo grande ritratto ai suoi due estremi, al centro l'obelisco dedicato agli Eroi del popolo, a tutti coloro che hanno dato la vita per la Rivoluzione cinese e l'avvento del socialismo, sulla destra il grande edificio che ospita il museo nazionale cinese, sulla sinistra l'enorme costruzione sede dell'Assemblea del popolo inaugurata da Mao nel 1959.
All'ingresso del museo nazionale si erge un bellissimo monumento con i 9 generali che diressero la Lunga Marcia. Dopo oltre un'ora di appostamento e sfruttando la stanchezza della giovane guardia, gli fanno fare un turno estenuante di sorveglianza di 8 ore senza interruzioni, sono riuscito a deporre alla base i 5 opuscoli di Scuderi su Mao e il dvd con il video della Commissione di stampa e propaganda, per onorare quell'epica impresa di Mao e perorare quella altrettanto lunga e difficile del PMLI in Italia per il socialismo. La sala centrale del museo nazionale è dedicata a Mao e alla nascita della Repubblica popolare cinese. Enormi e bellissimi quadri costellano le sue pareti rosse. Ad uno dei piani superiori una interessante mostra sui doni ricevuti da Mao dalle delegazioni straniere che l'hanno incontrato. Da straordinaria persona semplice e umile Mao non si teneva per sé gli omaggi, ma li girava all'archivio di Stato che li conservava. In tutta la sua vita Mao accetterà personalmente soltanto due regali dalle personalità straniere, 45 chilogrammi di arance e un orologio da polso che lo accompagnerà fino alla morte. Tra i tantissimi omaggi un Nettuno in bronzo con targa del comune di Bologna consegnato a Mao da una delegazione del PCI Emilia-Romagna nel 1959.
In tutti i giorni della mia permanenza a Pechino ho visto migliaia e migliaia di persone che, sfidando il caldo torrido e asfissiante, rendevano omaggio a Mao visitando il suo mausoleo. L'afflusso maggiore, ben 50 mila persone, si è verificato il 9 settembre, allorché il mausoleo era aperto per oltre due ore anche nel pomeriggio, oltre alla mattina come di consueto. Code ininterrotte, persone di tutte le età, famiglie intere, comitive, squadre nazionali di vari sport, tanti disabili e in carrozzina, veterani della Rivoluzione cinese con i loro cappellini verdi con la stella rossa. Di fronte alla salma di Mao ho visto anziani e giovani piangere all'unisono dalla commozione. Insomma il 9 settembre a Pechino è stato un vero e proprio tributo quello che il popolo cinese ha dedicato a Mao.
Per entrare al mausoleo di piazza Tien Anmen occorre lasciare borse, zaini, macchine fotografiche in un apposito guardaroba sul lato est della piazza. Sono ammessi solo i cellulari e portafogli ma non puoi usare il primo come macchina fotografica pena l'esclusione dalla fila. Quindi le foto scattate in fila durante il percorso e davanti al mausoleo utilizzando una volta il cellulare e un'altra la seconda macchina fotografica che avevo nascosto nelle mutande sono “rubate” e per questo molto originali. Poi puoi incolonnarti e seguire uno stretto percorso delimitato da transenne d'acciaio. Si forma così un serpentone di un paio di chilometri che scorre molto lentamente. Due gruppi scultorei in pietra, uno a destra e uno a sinsitra, rappresentante il popolo cinese che innalza la bandiera del pensiero di Mao ci annunciano la vicinanza all'ingresso.
Un ultimo, l'ennesimo, controllo col metal detector di fronte al mausoleo e ti trovi ai piedi di una grande scalinata che porta all'ingresso di questo mastodontico edificio sorretto da 12 colonne. Un primo, enorme e buio salone, flashato da qualche raggio di sole che vi si infiltra presenta una montagna di mazzi di fiori e corone che solo gli autorizzati hanno potuto lasciare ai piedi di una grande statua di Mao alta 3 metri, a sedere su una poltrona, in marmo bianco splendente. Il silenzio si fa di colpo tombale, non è permesso nemmeno di bisbigliare qualche parola, mentre la temperatura scende improvvisamente di molti gradi. Un percorso delimitato da nastri rossi ti invita a prendere uno dei due ingressi alla seconda sala, una coda si forma a destra l'altra a sinistra. Senza mai poterti fermare si scorre verso la grande teca di cristallo posta al centro con il corpo imbalsamato del grande maestro vestito con la sua classica divisa blu e coperto da una grande bandiera rossa con falce e martello gialla. Ai lati due militari fanno la guardia fissa dandosi i turni.
All'uscita ti accolgono altri due gruppi scultorei dedicati a Mao e alla Cina socialista. Qui dall'esterno puoi fotografare di nuovo, ma non sono ammesse foto che riprendono monumenti pubblici, come lo è il mausoleo di Mao o come lo è il ritratto di Mao all'ingresso della Città Proibita, brandendo davanti a loro della pubblicità a cose, persone o eventi di qualsiasi tipo. Pertanto, tutto sommato, mi ritengo molto soddisfatto per le foto che sono riuscito a scattare o farmi scattare per pubblicizzare la Commemorazione dell'11 settembre a Firenze.
Come era già successo nello Hunan il 9 settembre a Pechino il nostro materiale ha colpito profondamente i cinesi. Dopo un primo momento di stupore il materiale di Partito a mia disposizione una volta dispiegato in tutta la sua bellezza grafica rivoluzionaria ha suscitato un entusiasmo generale. Superfotografati e richiesti il manifesto e il volantino della Commemorazione, così come il sottoscritto, con indosso la maglietta del Partito, in foto con persone di tutte le età e provenienti da tutte le parti della Cina. Addirittura un “buddista maoista” ha richiesto una copia di tutto ciò che gli potevamo dare, in particolare il n. 1 de “Il Bolscevico” di quest'anno dedicato alle critiche di Mao a Deng e gli opuscoli di Scuderi su Mao. La seconda targa ad hoc con la sua traduzione in cinese ha permesso l'instaurarsi di interessantissime discussioni su Mao, il socialismo e l'attuale situazione politica in Cina.
Ho conosciuto un giovane di Pechino seguace di Mao che mi ha illustrato una nuova rete molto interessante. Una comunità informatica installata e gestita tutta da giovani marxisti-leninisti, che agisce con base a Pechino e nelle altre grandi città della Cina e che raccoglie le adesioni dei maoisti di tutto il Paese, compresi stranieri che studiano o lavorano in Cina. Una piattaforma internet che si basa sui Q Code alternativa a Facebook e similari per sfuggire al ferreo controllo operato dal regime che a ondate oscura a proprio piacimento siti e social network ritenuti ostili. Gli ho dato tutti i nostri riferimenti e indirizzi, spronandolo a fornirci materiali e quant'altro di loro produzione.
Per quanto riguarda i marxisti-leninisti oggi in Cina, dai colloqui che ho potuto avere, risulta che nel PCC ci siano ma in percentuale decisamente esigua. Essi stanno coperti, sulla difensiva, fanno la sinistra aspettando momenti migliori per uscire allo scoperto.
Tutto questo amore di massa, spontaneo e sincero, verso Mao viene usato dal regime revisionista e fascista di Xi Jinping in funzione di supporto allo sviluppo della superpotenza imperialista cinese. Per costoro Mao va ancora bene ma solo fino al 1949, alla proclamazione della Repubblica popolare cinese. Lo si vede dal taglio che ne viene dato nelle descrizioni museali e l'interesse che ha il governo di Pechino nell'esaltare la figura e il ruolo di Mao nella vittoria sull'aggressione militare giapponese. E non a caso uno dei 19 canali nazionali della tv di Stato CCTV, in occasione del 40° della morte di Mao sta passando in questi giorni uno sceneggiato a puntate che ripercorre tutto il periodo della lotta contro l'imperialismo giapponese, contro i reazionari del Kuomintang, la seconda guerra mondiale, fino alla proclamazione della Repubblica popolare.
La carota e il bastone. Da un lato il regime di Pechino continua a tollerare la presenza del mausoleo, le statue, i ritratti di Mao; addirittura nella Costituzione cinese più volte revisionata per far decollare le controriforme liberiste e capitaliste tra i 3 capisaldi che ispirerebbero la Cina attuale c'è ancora formalmente il marxismo-leninismo-pensiero di Mao, dall'altra Xi Jinping e la sua cricca, non dimentichiamocelo suo padre fu destituito da tutti gli incarichi di Partito e di governo durante la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria bollato come revisionista, borghese e traditore della causa, non hanno organizzato nessuna manifestazione pubblica per il 40° Anniversario della morte di Mao, né a livello di governo, né di Partito. Erano troppo impegnati col G20 e gli incontri collaterali che sono durati guarda caso fino al 9 di settembre. Uno sforzo per ribadire il nuovo ruolo della Cina imperialista nel mondo, che è costato milioni e milioni di yuan tra sfarzi e lussi mai visti, quando basta girare per gli stessi vicoli del centro di Pechino per vedere una povertà che si taglia a fette e dove basta un temporale monsonico di qualche ora ad allagare le strade della città per colpa di fognature risalenti ai primi anni '40. Soltanto l'esercito popolare cinese sul web, in un suo simil twitter locale ha postato 80 foto di Mao, raccogliendo in pochissimi giorni oltre 12 milioni di consensi.
All'alba del 10 settembre ho salutato Pechino e la Cina per fare ritorno a casa. Un'esperienza indimenticabile, vissuta con tanta emozione e soddisfazione proletarie e rivoluzionarie, di cui ringrazio il Partito e in primo luogo il Segretario generale, compagno Giovanni Scuderi, che hanno dato il loro benestare.

21 settembre 2016