Lo denunciano le associazioni onlus nel Rapporto presentato alla Camera
Schiavizzati nei campi i rifugiati del Cara di Mineo

Lo rivela la seconda edizione del rapporto “Filiera sporca”, dal titolo “La raccolta dei Rifugiati. Trasparenza di Filiera e responsabilità sociale delle aziende”, redatto dalle associazioni Sud, Terra!, Terrelibere.org e presentato alla Camera a fine giugno: i profughi del Cara di Mineo (Catania), fuggiti da guerre e dittature, nell'attesa di ricevero lo status di rifugiati, sono sfruttati come schiavi nei campi di arance rosse del comprensorio.
I richiedenti asilo raccolgono arance dalle 8 del mattino alle 4 del pomeriggio per 10 o 20 euro al giorno, a seconda del periodo. I migranti vanno direttamente nei campi o vengono reclutati. In questo caso, sono le “cooperative senza terra” il nodo dello sfruttamento dei migranti. Funzionano come cooperative interinali, che prestano lavoro per i commercianti di arance. I braccianti agricoli italiani delle cooperative sono formalmente in regola, ma, pur maturando le giornate contributive per il sussidio di disoccupazione, lavorano al nero per altre aziende. Al posto loro, nelle campagne le cooperative mandano braccianti stranieri, completamente in nero e pagati 30 centesimi a cassetta. In una denuncia, la Flai Cgil rivela che nei territori di Catania e Siracusa ci sono oltre 200 cooperative agricole senza terra.
Gli schiavi delle arance sono anche italiani. Il rapporto cita l'esempio di un ex dipendente di un'importante azienda della commercializzazione della provincia di Catania che spiega il meccanismo utilizzato. Assunto come facchino, ha lavorato a 600 euro al mese, anche 30 giorni al mese, senza sabati domeniche o festività, senza straordinari, fino a 12-14 ore al giorno. Nel contratto, l’azienda segnava meno giornate di lavoro, 10-15 giorni e, per raggiungere i 600 euro, inseriva un premio di produttività alla fine di ogni mese. In questo modo i lavoratori non riuscivano a maturare nemmeno le giornate per il sussidio di disoccupazione. Il contratto copre 6/7 mesi di lavoro all’anno, da novembre a giugno, mentre i mesi restanti i lavoratori sono al nero per 400 euro al mese.
Un chilo di arance vengono pagate al produttore tra i 13 e i 15 centesimi. Ai lavoratori vanno solo 8 centesimi. Se si tratta di braccianti in nero, i centesimi sono 3. Per i migranti stagionali si arriva anche a 2 centesimi al chilo. Il prodotto al supermercato viene venduto a 1,10-1,40 euro, di cui il 35-50% è costituito dal ricarico della grande distribuzione organizzata.
Lo sfruttamento nasce dunque dall'intera filiera sporca: dal caporale, alle Organizzazioni dei produttori, fino alla grande distrbuzione nazionale, interessata a mantenere bassi i prezzi alla produzione. Per avere un'idea della quantità di lavoro rubato agli schiavi profughi e italiani basti dire che alcune aziende della grande distribuzione hanno un fatturato di 500 milioni di euro a fronte di una spesa di soli 50 milioni per comprare le arance.
L'anello più debole sono certo i migranti schiavizzati, ma il sistema marcio sta progressivamente facendo fuori una serie di soggetti del settore. I piccoli coltivatori, quelli che finora erano stati l'ossatura della produzione agricola in Sicilia, sono costretti a vendere i terreni ai grandi proprietari, cioè alla mafia agricola, perché non possono sostenere la competizione con costi del lavoro e del prodotto così bassi, non hanno accesso allo sfruttamento monopolio mafioso della manodopera schiavistica prigioniera del Cara, non hanno gli appoggi politici per accedere ai fondi europei.
Un sistema criminale in primo luogo contro i braccianti, quelli stranieri e senza diritti soprattutto, ma anche italiani. Ma criminale per l'intera economia italiana, in quanto contribuisce ad alimentare il circolo vizioso della crisi dell'agricoltura in cui ormai da anni è impantanato il nostro Paese a partire dalla Sicilia. La mafia e la grande distribuzione hanno schiavizzato i lavoratori delle campagne e “incaprettato” l'agricoltura siciliana e a dargli i lacci è stato Renzi che, invece di stroncare con una valida azione politica questo sistema fuori legge, lo favorisce, incentivando l'uso della manodopera schiavistica, la ricostituzione progressiva del latifondo e dei metodi di sfruttamento mafiosi ad esso correlati, contro i quali si sono battuti i contadini e i sindacati siciliani, fornendo ai padroni delle terre falsi strumenti di emersione del lavoro nero che all'atto pratico diventano strumenti di schiavismo e sottrazione del reddito.
 
 
 
 
 

28 settembre 2016