Secondo i dati del ministero del Lavoro
Il “Jobs Act” aumenta i licenziamenti
Mentre fa crollare i contratti a tempo indeterminato

Renzi colleziona un flop dopo l'altro e stavolta a certificarlo è addirittura il “suo” ministero del Lavoro. Oltre al danno la beffa, si potrebbe dire, anche se purtroppo a farne le spese sono le masse lavoratrici soprattutto giovanili del nostro Paese.
Così, mentre da Ventotene il nuovo duce di Rignano sull'Arno e la compiacente Angela Merkel tessevano le lodi del “Jobs Act”, i dati pubblicati il 9 settembre scorso dal ministero del Lavoro presentano una situazione ben diversa. Esauriti i lauti incentivi governativi alle imprese per le assunzioni con il “contratto a tutele crescenti”, i licenziamenti nel primo trimestre 2016 sono aumentati del 17,4% e ancora del 7,4% nel secondo trimestre. Le cessazioni del lavoro sono sempre più decise dal padrone (+8,1%) e sempre meno dal lavoratore (-24,9%). Mentre aumentano i licenziamenti, calano le assunzioni: nel secondo trimestre 2016, i nuovi rapporti di lavoro sono diminuiti del 29,4% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
Ecco dove ha portato questa riforma che era salutata come la soluzione della disoccupazione giovanile e del precariato e che invece ha finito per favorire esclusivamente i contratti a termine. Fra le assunzioni si assiste anche a un aumento del ricorso all'apprendistato (+26,2%) e a un vero e proprio abuso dei voucher, che poi altro non sono che lavoro nero (sottopagato e non tutelato) legalizzato.
Nel frattempo, ovviamente guardandosi bene dal correggere il danno, ritirando questa controriforma che ha distrutto il diritto democratico-borghese del lavoro e lavorando veramente per abolire il precariato, Renzi e Padoan sono alla ricerca di nuovo denaro pubblico da far piovere sulle imprese per incentivare le assunzioni. Ma solo fino al prossimo esaurimento degli incentivi. Questo mentre si dice che vanno tagliati i servizi sociali e pubblici perché mancano i soldi.
Da parte dei sindacati ci si aspetterebbe una reazione forte e decisa, invece la Cgil punta tutto sul referendum abrogativo che sta promuovendo (guai chiamare i lavoratori a scendere in piazza!), mentre la Uil cerca di mettere qualche toppa proponendo addirittura un maggiore incentivo alla cassa integrazione. La Cisl da par sua chiede “una svolta espansiva nelle scelte europee, per sperare di contrastare il contagio della Brexit” e cioè per salvare l'Ue dalla rabbia dei popoli, compreso quello italiano visto che gli istituti finanziari europei sono stati fra i maggiori promotori del “Jobs Act”.
Invece questi dati confermano quello che noi abbiamo sostenuto fin da subito, cioè che il “Jobs Act” aveva l'unico obiettivo di precarizzare tutto il lavoro e di togliere ogni ostacolo ai licenziamenti.
Ci vorrebbe lo sciopero generale di 8 ore di tutte le categorie per chiedere con forza lavoro stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato.

28 settembre 2016