La truffa del quesito sulla scheda del referendum

Da quello spregiudicato televenditore che è, Matteo Renzi non esita a ricorrere alla truffa pur di vincere a qualunque costo il referendum sulla sua controriforma piduista e fascista del Senato. Poiché, anche se di poco, i sondaggi continuano ostinatamente a dare il NO in vantaggio – e questo nonostante l'enorme sproporzione di mezzi messi in campo a favore del sì, dall'intero governo alla stragrande maggioranza dei mass-media di regime - il nuovo duce ha pensato bene di riguadagnare terreno mettendo sul piatto della bilancia una doppia furbata delle sue: allontanare il più possibile la data del referendum, e truccare la scheda elettorale in modo che la sua stessa formulazione spinga psicologicamente gli elettori indecisi a scegliere il Sì.
Per fissare la data del referendum, inizialmente previsto per il 2 ottobre, Renzi ha infatti scandalosamente traccheggiato per quasi tutti e due i mesi concessi a partire dall'ordinanza di legittimità dell'Ufficio centrale del referendum comunicata l'8 agosto scorso. E solo a poco più di una settimana dalla scadenza del termine si è deciso a convocare il Consiglio dei ministri per approvarla. Un Consiglio durato appena 15 minuti per approvare la sua proposta di far slittare la consultazione addirittura fino al 4 dicembre. Dopodiché non si è nemmeno dato la pena di scendere in conferenza stampa per motivare tale scelta scandalosa e senza precedenti, lasciando il compito al sottosegretario De Vincenti.
Mai c'era stata nella storia repubblicana una consultazione a dicembre. Per trovarne qualcuna vicina a questa data, ma comunque non così vicina a Natale, occorre riandare ad un referendum dell'8 novembre 1987 e alle elezioni politiche del 23 novembre 1890! La scusa che Renzi ha ammannito per giustificare questa forzatura istituzionale, avallata come al solito dal silente e servizievole capo dello Stato Mattarella, è stata quella di approvare prima la legge di Bilancio (ex legge di Stabilità), almeno in uno dei due rami del parlamento, in modo da “rassicurare i mercati” nel caso dovesse prevalere il NO. Eventualità che viene dipinta terroristicamente dal governo e dalla stampa nazionale e internazionale, nonché dall'ambasciatore Usa, dalla Ue, dalle grandi banche internazionali e chi più ne ha più ne metta, come una vera e propria sciagura, capace di spaventare i mercati e far fuggire gli investitori stranieri dall'Italia.

Due mesi di asfissiante campagna renziana
In realtà anche un bambino è capace di comprendere che rimandare più in là possibile la data del referendum serve a Renzi per guadagnare tempo prezioso per dispiegare un'asfissiante campagna per rimontare l'attuale svantaggio e convincere gli indecisi. Campagna che è già in pieno svolgimento e di cui fa parte integrante anche il viaggio propagandistico della ministra Boschi in Sud America, tra l'altro pagato coi soldi pubblici perché travestito da visita istituzionale, e mirato a raccogliere voti nelle comunità di italiani all'estero, sui quali il nuovo duce fa molto affidamento.
Inoltre questi due mesi tornano utili a Renzi anche per tessere la trama di un nuovo patto del Nazareno con Berlusconi, schierato del resto solo nominalmente e di malavoglia col NO, offrendogli modifiche alla legge elettorale Italicum (o supposte tali) in cambio dei voti del suo elettorato. E anche per sedare i malumori della sinistra del PD che non ha ancora sciolto la sua riserva sul voto referendario.
Ma se tutte queste si possono considerare furbate, quella dell'intestazione della scheda referendaria è una truffa bella e buona. Il testo recita infatti così: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente 'disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione' , approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016”?
È evidente che si tratta di una formulazione tendenziosa, fatta apposta per carpire il Sì degli elettori incerti solleticando l'insofferenza “anticasta” diffusa. Non a caso mette l'accento sulla riduzione dei parlamentari e dei “costi della politica”, sottintendendo furbescamente che chi vota NO vota automaticamente per il mantenimento dei privilegi della “casta”. Il fatto poi che Renzi e la Boschi proclamino che “non c'è nessun imbroglio e nessun trucco”, in quanto si tratterebbe di una semplice citazione del titolo originale della legge così come è stata approvata dal parlamento, non smentisce affatto l'intento truffaldino, bensì dimostra soltanto la sua premeditazione, fino dal giorno in cui il progetto piduista e fascista della banda di Renzi fu concepito. E' chiaro infatti che nel momento stesso in cui il disegno di legge fu presentato i consiglieri giuridici di Palazzo Chigi pensarono anche a dotarlo di un'intestazione ad hoc che sarebbe tornata utile per il referendum, ben sapendo che quest'ultimo sarebbe stato comunque inevitabile.

Un imbroglio senza precedenti
La truffa appare ancor più sfacciata se si paragona l'attuale quesito referendario a tutti gli altri che l'hanno preceduto nella storia della Repubblica, che mai erano stati formulati manipolando aspetti parziali e particolari delle leggi sottoposte a referendum. Bensì si erano sempre limitati a citare correttamente solo il numero e la data della legge e un riferimento neutrale al suo contenuto: così fu per il referendum sulla legge costituzionale n. 59/2001, che riportava solo l'intestazione “concernente modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”; e perfino per il referendum sulla controriforma costituzionale fascista di Berlusconi, Calderoli e Fini del giugno 2006, che riportava solo “modifiche alla parte seconda della Costituzione”.
Per comprendere appieno la tendenziosità senza precedenti di questo quesito referendario basti pensare che nel quesito del referendum sulla Brexit è stato scelto di evitare il sì e il no, optando invece per il “lasciare” o “rimanere” nella Ue, perché secondo la giurisprudenza inglese (e anche la psicologia elementare) il sì è sempre favorito in partenza ai referendum. Figuriamoci se poi lo si richiama formulando maliziosamente la domanda affinché non si possa che rispondere affermativamente, come hanno fatto gli esperti al servizio del premier.
Lo ha ben messo in rilievo e argomentato approfonditamente il costituzionalista Luigi Ferrajoli, di cui pubblicheremo prossimamente l'intervento su Il fatto Quotidiano del 27 settembre, per il quale il quesito referendario è “una truffa, uno spot a favore del sì, in grado di compromettere l'autenticità del voto”. I contenuti della legge, spiega il giurista, sono assai più gravi e “configurano, per quanto riguarda 'l'ordinamento della Repubblica', una nuova Costituzione basata, anche grazie alla nuova legge elettorale, sulla centralità del governo e del suo capo e sulla totale emarginazione del Parlamento”.
Anche per questo bisogna fare di tutto per seppellire l'imbroglione e nuovo duce Renzi sotto una valanga di NO al referendum del 4 dicembre e mandarlo a casa con la coda tra le gambe.

5 ottobre 2016