Tra i 34 Paesi più industrializzati
L'Italia penultima per spese di istruzione e prima per giovani “neet”
Il rapporto Ocse registra un taglio del 14% agli investimenti nel settore negli ultimi 5 anni

 
I dati del rapporto annuale dell'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) sullo stato dell'istruzione nei 34 Paesi membri, intitolato “Uno sguardo sull'istruzione”, sono impietosi. L'Italia è penultima della lista per spese in istruzione, peggio di noi solo l'Ungheria del fascista Orban. Chi si somiglia si piglia, potremmo dire.
Dal 2008 al 2013, anni presi in esame dallo studio, l'istruzione nel nostro Paese è stata tagliata di ben il 14%. Non è tutto: il taglio non è solo la conseguenza della contrazione della spesa pubblica, visto che le sforbiciate in altri settori non hanno raggiunto percentuali tanto alte. Ne consegue che l'istruzione è stata presa intenzionalmente di mira dai governi che si sono succeduti in quegli anni, ossia Berlusconi, Monti e Letta.
La ministra dell'Istruzione Giannini gioca coi numeri parlando di 3 miliardi di fondi previsti dalla “Buona scuola”, senza specificare che si tratta appena del fondo ordinario previsto, già tagliato e gravemente insufficiente. La realtà è che il governo Renzi non può vantare alcuna discontinuità con i suoi predecessori nemmeno sul tema dell'aziendalizzazione della scuola, che ha anzi accelerato trasformando i presidi in manager, gettandola gli studenti in pasto al mercato con l'alternanza scuola-lavoro e istituendo la chiamata diretta degli insegnanti.
E proprio a proposito di insegnanti, il rapporto Ocse dà all'Italia il triste primato degli insegnanti più vecchi d'Europa, frutto del blocco del turnover e dell'innalzamento dell'età pensionabile. In aggiunta a questo, i docenti italiani hanno visto i propri stipendi calare del 7% in termini reali.
Un altro record tutt'altro che positivo detenuto dall'Italia è quello dei giovani “Neet”: oltre un terzo dei giovani fra i 20 e i 24 anni non studiano né lavorano, con un aumento del 10% rispetto agli altri Paesi Ocse. Ricordiamo che il nostro Paese detiene purtroppo lo stesso primato anche all'interno dell'Ue.
L'aumento dei “Neet” va visto in relazione al fatto che, più che in altri Paesi europei nelle stesse gravi condizione economiche, come Spagna e Grecia, le prospettive dei giovani italiani dopo la laurea sono molto fosche e pertanto molti under 24, benché senza lavoro, non trovano utile studiare all'università: secondo il rapporto Ocse, infatti, solo il 62% dei laureati italiani fra i 25 e i 34 aveva un lavoro nel 2014, rispetto ad una media Ocse dell'83%. Naturalmente l'Organizzazione rispecchia il punto di vista dei padroni quando afferma che gli studi universitari “non coincidono con l'acquisizione di competenze solide, sollevando interrogativi circa la qualità dell'apprendimento”.
Ma il fattore più grave per l'aumento dei “Neet” sta nel fatto che diversi giovani l'università non se la possono proprio permettere: abbiamo le tasse universitarie fra le più alte d'Europa, eppure solo uno studente su cinque riceve una borsa di studio, sono in rapido aumento i prestiti bancari per studi e complessivamente circa l'80% degli studenti universitari non riceve alcun aiuto. Questo, naturalmente, non perché siano tutti ricchissimi, ma perché i fondi per il diritto allo studio sono al lumicino, le soglie Isee e Ispe per accedervi sono bassissime e perché il numero dei richiedenti idonei è superiore al numero delle borse disponibili, creando l'odiosa categoria di “idonei non beneficiari”.
 

5 ottobre 2016