Studio della Cgil su dati Inps
Precari il 71% dei nuovi contratti
Renzi bleffa sui dati Istat e Inps

Mentre il nuovo duce Renzi e i suoi tirapiedi Padoan e Poletti non perdono occasione per esaltare i presunti effetti benefici prodotti dal Jobs Act sul fronte occupazionale, i dati e le statistiche confermano invece che la controriforma del lavoro non solo non ha portato alcun beneficio a chi è in cerca di un'occupazione ma è servita soprattutto ai padroni per fare incetta degli incentivi fiscali ad esso legati, a precarizzare ancora di più la quasi totalità dei vecchi contratti di lavoro a tempo indeteminato, con meno diritti e tutele sindacali a cominciare dall'abolizione dello Statuto dei lavoratori e dell'articolo 18 e a “legalizzare” di fatto il lavoro nero.
L'ultima conferma in tal senso arriva dallo studio della Fondazione Di Vittorio pubblicato a fine settembre: "Il 71% delle assunzioni è a termine e che il lavoro precario e instabile si conferma nel 2016 la forma assolutamente predominante di accesso al mercato del lavoro e le nuove attivazioni a tempo indeterminato, inferiori anche al 2014, dimostrano che l'elemento predominante è stato quello degli incentivi".
Secondo i dati diffusi dalla Fondazione della CGIL, che ha rielaborato gli ultimi dati dell'Osservatorio sul precariato dell'Inps, nei primi sette mesi del 2016 i contratti a termine sono stati circa 2,1 milioni rappresentando "ben il 71% dei nuovi rapporti di lavoro".
“Nel settore privato le assunzioni a tempo indeterminato sono state 744 mila. 379 mila in meno (-33,7%) rispetto allo stesso periodo del 2015 e inferiori anche rispetto allo stesso periodo del 2014 e 2013”.
Le assunzioni a termine, sempre nei primi sette mesi del 2016, “sono state, invece, circa 2,1 milioni e rappresentano ben il 71% dei nuovi rapporti di lavoro”. Nello stesso periodo “sono stati acquistati in Italia quasi 85 milioni di voucher, con un incremento rilevante rispetto allo stesso periodo del 2015 (61,9 milioni) e del 2014 (35,8)”.
Anche le trasformazioni in tempo indeterminato (179 mila) nei primi sette mesi del 2016 sono calate rispetto allo stesso periodo del 2015 (-102 mila) e del 2014 (-39 mila). Per la Fondazione della Cgil, dunque, “Il lavoro precario e instabile si conferma nel 2016 la forma assolutamente predominante di accesso al mercato del lavoro e le nuove attivazioni a tempo indeterminato, inferiori non solo al 2015 ma anche al 2014, dimostrano in maniera evidente che l’elemento predominante per le scelte delle aziende è stato quello degli incentivi”.
Dallo studio della Fondazione emerge che il saldo occupazionale complessivo (attivazioni/cessazioni) del tempo indeterminato (incluse le trasformazioni che però riguardano rapporti di lavoro già esistenti) resta, invece, positivo (+76 mila), anche se fortemente ridotto rispetto al 2015 (+465 mila) e al 2014 (+129 mila). E, comunque, nel mese di luglio la variazione netta è stata pressoché nulla (pari a sole 87 unità).
Il saldo occupazionale complessivo (attivazioni/cessazioni) del tempo indeterminato relativo ai primi sette mesi del 2016, però, beneficia dell’andamento delle cessazioni che sono scese nei primi sette mesi dell’anno di 37 mila unità rispetto allo stesso periodo del 2015. È dunque un dato che va interpretato, tenendo soprattutto conto della forte diminuzione delle uscite per pensioni. La Fondazione Di Vittorio sottolinea, infine, “come la presenza di più fonti statistiche che insistono sugli stessi temi, pur accrescendo il patrimonio informativo, possano provocare un’oggettiva difficoltà nella comprensione delle tendenze in atto, soffermandosi brevemente sulle fonti Inps e Istat, che in ogni caso delineano un quadro evolutivo simile dell’occupazione: arresto della crescita per il tempo indeterminato e aumento per il lavoro a tempo determinato”.
Il bluff di Renzi
Ma allora, come fa Renzi a festeggiare “l’aumento dell’occupazione registrata pochi giorni fa dall’Istat” che parla addirittura di “+189 mila unità nel secondo trimestre 2016”?
La verità è che il governo confonde volutamente i dati dell’Inps (e del ministero del lavoro) che registrano i flussi tra un contratto attivato e un altro cessato con quellli dell’Istat che invece fotografano gli stock, cioè la quantità di chi è al lavoro in un determinato momento.
Le rilevazioni registrano i movimenti compiuti entro la settimana precedente: si è occupati anche se si acquista un voucher. Qui la quantità non risponde a nessun criterio di qualità. Ciò che conta per il governo è creare un movimento artificiale dei contratti in modo tale che le statistiche lo registrino. Con questi dati l’esecutivo può sedersi ai tavoli europei e fingere che il mercato del lavoro sia in ripresa. A tutti fa comodo crederci: ieri anche il governatore della Bundesbank Jens Weidmann ha dato il suo ok al Jobs Act. Le cose stanno diversamente: il governo non rinnoverà gli incentivi nella prossima legge di bilancio, tranne che per giovani e assunzioni nel Sud.
“La presenza di più fonti statistiche che insistono sugli stessi temi, accresce il patrimonio informativo ma può causare un’oggettiva difficoltà nella comprensione delle tendenze in atto” spiega ancora nel suo studio la Fondazione della CGIL.
Le due fonti che a cadenza mensile diffondono dati sull’occupazione sono l’Osservatorio sul precariato INPS e la Rilevazione sulle forze di lavoro ISTAT (Occupati e disoccupati).
Le principali differenze fra i due organismi riguardano prima di tutto la natura delle fonti che è di origine amministrativa e basata sulle imprese nel caso dei dati INPS, mentre è campionaria e basata sulle famiglie per l’Istat; in secondo luogo va considerata la copertura, nel senso che la “forza lavoro” considerata dall'ISTAT conprende tutti gli occupati siano essi dipendenti o indipendenti, pubblici o privati, mentre l’INPS contempla nell’Osservatorio solo i dipendenti delle imprese private industriali e dei servizi (inclusi gli Enti pubblici non economici) escludendo domestici ed agricoli tant'è che fino alla più recente nota di settembre l’INPS non considerava gli stagionali. Quindi il fenomeno osservato che, nel caso dell’ISTAT sono gli occupati intesi come individui, mentre l’INPS calcola i rapporti di lavoro attivati, le cessazioni e le trasformazioni; infine i voucher, che per l’ISTAT sono all’interno del dato generale come una delle possibili modalità di occupazione, mentre nei dati INPS sono espressi separatamente in termini di buoni venduti.
Differenze che dunque sono ampie e che possono giustificare diversità anche consistenti delle percentuali e che il governo Renzi usa abilmente a proprio uso e consumo.

5 ottobre 2016