Arrestato Consoli, ad di Veneto Banca
Accusato di aggiotaggio e ostacolo all'esercizio delle funzione delle autorità pubbliche di vigilanza

Il 2 agosto la procura di Roma ha emesso un mandato di arresto per Vincenzo Consoli, ex amministratore delegato di Veneto Banca. I reati contestati sono aggiotaggio ed ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza pepetrati tra il 2012 e il 2015. A far scattare l'inchiesta sulle torbide attività dell'ex ad è stata la stessa Bankitalia che nel 2013, al termine di due anni di accertamenti, ha passato le carte con le prove degli illeciti alla Guardia di Finanza e ai Pubblici ministeri (Pm) Rodolfo Sabelli, Stefano Pesci e Sabina Calabretta.
Nell'inchiesta della procura capitolina, che ha congelato 45 milioni di euro della banca e sequestrato il palazzo di Vicenza di proprietà di Consoli per un valore di un milione e ottocento mila euro, sono indagate altre 14 persone tra cui spicca anche quello dell'ex presidente dell'istituto Flavio Trinca: già assessore a Montebelluna (Treviso) e deputato Udc.
Secondo i magistrati, che hanno scandagliato le complesse triangolazioni finanziarie escogitate da Consoli per eludere i controlli e condurre speculazioni milionarie, l'istituto di credito ha finanziato i clienti più “importanti” affinché comprassero azioni della stessa banca. In alcuni casi sono stati “arruolati” anche investitori compiacenti, disposti a intestarsi per qualche tempo quote rilevanti di obbligazioni subordinate, in modo da sollevare l'istituto di Montebelluna dall'onere di detrarne il controvalore dal patrimonio, come invece prescritto da Palazzo Koch. In entrambi i casi si trattava di “parcheggi” temporanei di titoli, che poi tornavano nel patrimonio di Veneto Banca.
Il regista occulto delle varie operazioni sarebbe stato proprio Consoli, vero dominus della banca “in una situazione – scrive il Gip - di potere reale e personale a cui non fa da contrappeso, anche in forza del solido rapporto con il presidente Flavio Trinca, il pletorico Consiglio, connotato anche dalla presenza di situazioni personali di conflitto d'interessi”.
Un ruolo che Consoli è riuscito ad esercitare anche dopo la sua uscita forzata dall'istituto di credito, il 30 luglio del 2015.
“Consoli – scrivono infatti i magistrati in un passo dell'ordinanza - prospetta l'opportunità di non procedere al rinnovo del proprio mandato nella Banca proponendo la stipula di un contratto di consulenza attraverso il quale poter gestire anche dall'esterno il grande capitale”. Del quale sosteneva, in una intercettazione richiamata negli atti, di essere l'unico conoscitore.
Non a caso, di fronte all'incalzare dell'inchiesta che ha portato alla luce il colossale buco di bilancio nelle casse dell'istituto, Consoli non molla la presa. Rifiuta le dimissioni e perfino il taglio del suo faraonico stipendio da 3,6 milioni all'anno e rimane attaccato alla sua poltrona continuando ad esercitare la propria influenza anche in un ruolo apparentemente defilato.
Secondo i Pm infatti Consoli è anche l'ideatore del meccanismo messo in piedi per ostacolare l'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza. Di fatto, nelle segnalazioni periodiche alla Banca d'Italia, Veneto Banca ha continuato ad indicare un valore del patrimonio di vigilanza sovrastimato mascherandone la reale consistenza: “Ostacolavano – sostengono i Pm – le funzioni di vigilanza di Banca D'Italia e Consob e in particolare comunicavano nelle relazioni periodiche un ammontare del patrimonio di vigilanza non corrispondente al vero”. In sostanza la creazione di questa situazione di patrimonio "virtuale" ha consentito di fissare il sovrapprezzo delle azioni su valori molto più elevati rispetto allo stato dell'azienda, sostengono gli investigatori. E così all'esterno veniva data la parvenza di una solidità patrimoniale ben maggiore rispetto a quella effettiva, in grado di ingannare la platea dei risparmiatori e gli altri azionisti, rafforzando l'immagine della banca e la fiducia nel management.
La rete di potere di Consoli passava anche attraverso la partecipazione di Veneto Banca in Palladio, titolare a sua volta del 4% di Generali. La piccola finanziaria del Nord Est che al suo apice era guidata dal duo Giorgio Drago e Roberto Meneguzzo e che, attraverso l'ex finanziere Roberto Milanese godeva della stima di Giulio Tremonti prima che lo scandalo del Mose di Venezia inondasse tutto.
Tra i “clienti privilegiati” figurano fra gli altri anche il boss della Rai Bruno Vespa, già azionista di Veneto banca per oltre 6 milioni di euro, ma lesto a fuggire prima del crollo. Vespa, che ha smentito di aver ricevuto - come denunciato dalla Banca d'Italia- fondi per acquistare azioni del gruppo di Montebelluna, e il banchiere, tramite la moglie, hanno investito insieme in un'azienda vinicola in Puglia, dove si produce del Primitivo di Manduria. Da solo, invece, ma con i fidi agevolati della banca, Consoli si è comprato il palazzo nel centro di Vicenza . Ora sotto sequestro.
Finanziamenti agevolati Consoli li ha fatti ottenere anche alle imnprese di Amenduni, Benetton, Folco, Moretti Polegato, Zoppas, Stefanel e agli immobiliaristi Bellavista Caltagirone, Casale e Statuto.

12 ottobre 2016