La “sinistra” dell'imperialismo americano schierato col nuovo duce
Obama vota Sì e invita Renzi a non dimettersi se vince il NO
Perfetta unità dei due governanti imperialisti sulla politica estera, in particolare sulla guerra allo Stato islamico

Il 17 ottobre, accompagnato da un codazzo di ospiti “illustri” in gita a spese dello Stato (tra i quali il miliardario Armani, l'ex cantore pentito della “Costituzione più bella del mondo”, Benigni, e il servizievole ex magistrato Cantone), Matteo Renzi è sbarcato negli Usa per una visita di due giorni accolto dal presidente Obama con grandi onori, quali raramente aveva mai riservato ad un ospite straniero nel corso dei suoi due mandati. Al punto da dedicare alla delegazione italiana l'ultima delle sue rarissime cene di gala alla Casa bianca.
Un'accoglienza tanto calorosa ed entusiastica per l'”amico Matteo” da parte del capofila dell'imperialismo occidentale si spiega pensando all'importanza politica e militare che l'Italia riveste in questo particolare momento per l'agenda internazionale degli Usa, sia nei confronti dell'Europa, sia per quanto riguarda il Mediterraneo e i conflitti mediorientali, data anche la posizione strategica dell'Italia che ospita anche le basi americane più avanzate verso quelle regioni. Basti pensare all'uso della base di Sigonella da parte dei droni americani per le operazioni in Libia.
Dopo l'uscita della Gran Bretagna dalla Ue, Renzi rappresenta per Obama uno dei leader più “stabili” e affidabili per aiutarlo a far prevalere presso gli alleati europei la sua visione economica liberista globale a guida americana (si pensi alle difficoltà incontrate nella ratifica del TTIP) e la sua strategia di accerchiamento militare della Russia, soprattutto ora che Hollande è un'anatra zoppa che potrebbe essere destinata ad andarsene a casa e anche la Merkel non è molto sicura di poter essere rieletta cancelliera.

Le credenziali politico-militari di Renzi
Da parte sua Renzi cercava e ha trovato l'appoggio di Obama sia alla sua linea tattica di confronto polemico con la Ue sulla “flessibilità” in contrapposizione al “rigore” e sulle politiche europee per l'immigrazione, sia per sostenere il suo governo e la sua politica di “riforme” e aiutarlo a vincere il referendum. E a questo scopo non si è presentato a mani vuote, perché proprio nel giorno in cui è scattato l'attacco della coalizione imperialista a Mosul poteva vantare come credenziali un impegno militare italiano in Iraq secondo solo a quello americano, con il suo contingente di 500 uomini dotati anche di elicotteri da combattimento e stanziato presso la diga non lontana da quella città, e con il suo contingente di carabinieri che operano a Baghdad e in altre città per addestrare le truppe del governo fantoccio iracheno.
Oltre a questo Renzi si è presentato a Obama forte del recente impegno militare in Libia, con i 300 uomini tra personale militare, paramilitare e medico per allestire un ospedale da campo nell'aeroporto di Misurata, base avanzata per l'attacco allo Stato islamico a Sirte. Per non parlare della recentissima decisione di inviare un contingente di 140 militari in Lettonia, nel quadro dell'accerchiamento della Nato ai confini della Russia. E ciò indipendentemente dalla sua politica tesa ad attenuare le sanzioni alla Russia e riallacciare i rapporti con Putin in nome degli interessi economici italiani, questione questa non certo gradita ad Obama, ma su cui però si è sorvolato, almeno nelle dichiarazioni ufficiali.
Ma a parte questo particolare, su tutta l'agenda politica e militare internazionale l'intesa tra l'inquilino della Casa bianca e il suo ospite italiano è stata perfetta. Con al centro il tema principale della guerra allo Stato islamico, su cui i due sono ritornati più volte. Nella conferenza stampa congiunta del 18 ottobre Obama ha espresso infatti tutta la sua “gratitudine per l'alleanza straordinaria con l'Italia”, sottolineando che “pochi alleati nel mondo sono forti e capaci quanto l'Italia” e che “possiamo contare l'uno sull'altro”. Ha poi lodato sperticatamente Renzi, dicendo di contare su di lui “come uno dei più vicini sulla scena mondiale, in virtù della sua energia progressista, delle sue riforme che sta portando avanti e che sono di largo e ampio respiro e per la visione audace che ha del ruolo dell'Italia nel mondo. Credo che Matteo incarni una nuova visione non solo per l'Italia ma anche per l'Europa”.

Un'agenda imperialista condivisa
Entrando poi nel merito della rinsaldata alleanza tra i due Paesi anche sul piano strategico e militare, Obama ha ricordato che “dopo gli Stati Uniti l'Italia è al secondo posto in Iraq. Le forze italiane aiutano a stabilizzare le città attraverso l'addestramento delle forze di polizia, dopo che queste città sono liberate dall'IS”, e che anche in Afghanistan “l'Italia continua a svolgere il ruolo principale” a fianco degli Usa: “Matteo, non potrei chiedere un partner migliore”, ha esclamato compiaciuto il padrone di casa.
Renzi ha ricambiato tanto compiacimento sottolineando a sua volta con enfasi che “sulle questioni internazionali l'agenda italiana coincide totalmente con l'agenda americana...per questo il nostro impegno continua a fianco della coalizione internazionale in tutti i teatri, a cominciare da quello difficile dell'Iraq e di Mosul, dove truppe italiane sono a sostegno di un'operazione di salvataggio della diga di Mosul, e a cominciare dall'Afghanistan e da altri teatri”.
Più avanti, nel rispondere alle domande dei giornalisti, il capofila imperialista e il nuovo duce italiano si sono nuovamente scambiati ancor più platealmente reciproci elogi e favori politici. In particolare quando Obama ha inscenato uno sfacciato spot elettorale per il suo ospite, sentenziando: “Non voglio influenzare il referendum, ma le riforme che Matteo ha iniziato, soprattutto dalla parte economica, sono quelle giuste e in un mondo globale spinto da Internet i governi devono muoversi velocemente, in maniera trasparente. Quindi io faccio il tifo per il successo, ma comunque, Renzi, dovresti rimanere al timone per un po'”. Non solo il capo della più potente “democrazia” mondiale entra a gamba tesa nella campagna elettorale di un altro Stato sovrano indicandogli come deve votare, ma si permette pure di imporgli la permanenza del premier al governo anche in caso di una sua sconfitta. Un atteggiamento, del resto, perfettamente in linea con le tradizioni storiche dell'imperialismo a stelle e strisce, di cui avevamo avuto già un'anticipazione in casa con l'intervento dell'ambasciatore americano Phillips a favore del Sì al referendum.

Impegno comune a “distruggere il Daesh”
Renzi ha ringraziato per l'autorevole appoggio elettorale del presidente americano rimarcando il suo convinto appoggio e partecipazione alla guerra imperialista allo Stato islamico guidata dagli Usa, e parlando col suo approssimativo inglese per dare più solennità alle sue parole: “Noi – ha detto - siamo totalmente impegnati col resto della coalizione per assicurare al popolo iracheno la possibilità di avere un futuro. Siamo grati all'esercito italiano, in particolare ai carabinieri che provvedono ad addestrare la polizia locale. Noi non siamo preoccupati per il futuro di Mosul, perché crediamo che presto o tardi noi distruggeremo Daesh”.
Lo stesso “impegno solenne” Renzi lo ha ripetuto nel suo discorso in inglese tenuto il giorno successivo alla Johns Hopkins University, sostenendo che “dobbiamo combattere il terrorismo, sicuramente con una grande alleanza internazionale, e questo è quel che facciamo in questo periodo, per portare la libertà a Mosul. Questo è il periodo in cui cerchiamo di distruggere il Daesh nel mondo”.
Dopo questa visita del nuovo duce alla corte del capofila imperialista Obama, organizzata anche in funzione di ponte con la probabile nuova amministrazione della guerrafondaia Hillary Clinton, il nostro Paese è ancora più in prima linea nella guerra imperialista allo Stato islamico e quindi ancora più esposto agli attentati terroristici.
 

26 ottobre 2016