Da parte di Usa, Iraq, Turchia e Kurdistan regionale, appoggiati dall'Italia
Assalto a Mosul per distruggere lo Stato islamico
Ciascuna delle forze di aggressione persegue propri obiettivi
L'IS contrattacca a Kirkuk

 
“Il tempo della vittoria è arrivato e le operazioni per liberare Mosul sono cominciate”, affermava il premier iracheno Haider al-Abadi alla televisione di Stato il 17 ottobre e rivolgendosi agli abitanti della regione aggiungeva: “proclamo l'avvio dell'assalto vittorioso per liberarvi dalla violenza e dal terrorismo di Daesh (lo Stato islamico, ndr)”. Era l'annuncio dell'inizio dell'assalto di un vasto arco di forze guidato dal governo di Baghdad per riconquistare Mosul, baluardo dello Stato islamico (IS) e seconda città più grande dell'Iraq; un passaggio necessario per arrivare all'obiettivo dell'imperialismo di distruggere l'IS prima in Iraq e poi in Siria.
A fronte di una forza militare dell'IS stimata fino a 10 mila soldati, i vertici militari di Baghdad da tempo avevano concentrato diverse decine di migliaia di uomini intorno alla città. Su Mosul convergevano anche migliaia di soldati delle Pmu, le Unità di Mobilitazione Popolare sciite alleate dell'Iran, e dal nord le formazioni dei peshmerga curdi della regione autonoma del Kurdistan in Iraq.
La più grande azione militare in Iraq dal 2011, da quando il grosso delle truppe americane si sarebbero ritirate, era condotta con una massiccia assistenza di supporto aereo, artiglieria e intelligence degli Usa e non solo dato che, secondo il sito curdo iracheno Rudaw e al-Jazeera, anche i militari americani sono “chiaramente visibili” sul terreno.
Una offensiva benedetta dall'imperialismo americano. “Il primo ministro Abadi ha ordinato di avviare le operazioni per liberare Mosul dopo due anni di oscurità sotto i terroristi dell'Is - affermava l'inviato Usa per la coalizione contro lo Stato islamico, Brett McGurk -. Buona fortuna alle eroiche forze irachene, ai peshmerga curdi, ai volontari Ninewa. Siamo orgogliosi di essere con voi in questa storica operazione”. Che il segretario alla Difesa Usa Ash Carter ha definito un “momento decisivo nella campagna” per sconfiggere definitivamente lo Stato islamico.
Un obiettivo condiviso dal segretario generale della Lega Araba, l'egiziano Ahmed Aboul Gheit, mentre il portavoce della Lega sottolineava che “la liberazione di Mosul è un passo importante per sradicare l'Isis e le altre organizzazioni terroristiche ed estremiste che rappresentano un pericolo per i popoli arabi”.
Proprio nella Mosul appena conquistata, il 29 giugno 2014, Abu Bakr al-Baghdadi annunciava la nascita dello Stato islamico transfrontaliero fra Iraq e Siria, di cui si autoproclamava Califfo, con capitale a Al-Raqqa in Siria.
Lo Stato islamico non riconosceva le linee di frontiera stabilite artificiosamente dall'imperialismo e abbatteva fisicamente il confine tra Siria e Iraq come definito dall'accordo Sykes-Picot, ufficialmente Accordo sull'Asia Minore, un accordo segreto siglato il 16 maggio 1916 tra i governi del Regno Unito e della Francia che definiva le rispettive sfere d'influenza nel Medioriente in seguito alla sconfitta dell'impero ottomano nella prima guerra mondiale imperialista. L'accordo, recepito nel Trattato di Losanna del 1923, lasciava aperta la questione di Mosul, la città dal nome dato dagli arabi all'antica capitale assira Ninive, che restò ancora due anni con un governo di un Pascià ottomano sotto mandato britannico e assegnata dalla allora Società delle nazioni nel 1925 all'Iraq.
Le cronache dell'inizio dell'assalto imperialista su Mosul sono piene di “successi”, a partire dall'elenco di bersagli distrutti dai bombardmenti aerei della coalizione imperialista e dell'artiglierie pesanti dell'esercito iracheno e curdo e dai villaggi “liberati” nell'avanzata delle truppe di terra.
 

Il contrattacco dell'IS a Kirkuk
Il 21 ottobre scattava il contrattacco dell'IS poco più a sud, a Kirkuk per aprire un secondo fronte ed alleggerire la pressione su Mosul. I soldati dell'IS entravano nella parte meridionale della città prendendo il controllo di alcuni quartieri e il vicino villaggio di al Tuqan, che tenevano nei giorni successivi a fronte della reazione dei peshmerga curdi-iracheni.
Kirkuk è una città al centro di una importante zone petrolifera che si trova a 170 km a sudest di Mosul ed è oggetto di contesa tra il governo curdo di Erbil, la capitale della regione autonoma del Kurdistan, e quello di Baghdad sostenuto da altre forti entità locali, come la comunità turcomanna e altre comunità arabe, ostili all'espansionismo curdo. Le comunità arabo-musulmane delle zone rurali a sud-ovest della città avevano appoggiato l'arrivo delle forze dell'IS per difendersi dagli appetiti di Baghdad e Erbil ma la città era tornata sotto controllo dei curdi iracheni.
Un altro esempio del complicato puzzle iracheno che torna in primo piano con l'offensiva su Mosul dove Usa, Iraq, Turchia e Kurdistan regionale, appoggiati dall'Italia, compartecipano all'assalto della città per distruggere lo Stato islamico ma l'unità contro l'IS è rimasto uno dei pochi elementi a comune mentre ciascuna delle forze di aggressione, comprese le milizie sciite, persegue propri obiettivi egemonici. Con l'imperialismo americano che cerca di bilanciare le diverse posizioni e mantenere unita l'alleanza anti IS.
 

L'imperialismo americano vuole mantenere il controllo dell'Iraq
La programmazione dell'assalto a Mosul era stata accelerata alla fine dello scorso settembre con l'incontro a margine dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York tra il premier Al Abadi e il presidente americano Barack Obama. Al termine dell'incontro i vertici militari americani dichiaravano che le truppe irachene potevano essere pronte già dall'1 ottobre per lanciare l’offensiva finale su Mosul, con l’ausilio delle forze speciali americane. Il 17 ottobre l'attacco è partito.
Obama vuole la disfatta del nemico principale, lo Stato islamico, e in secondo luogo un rafforzamento del governo sciita fantoccio di Baghdad, il suo strumento di controllo della parte araba dell'Iraq. Deve giostrare col bilancino rapporti e appoggi agli altri due attori principali in campo, il quasi oramai ex alleato Turchia e il nuovo alleato Iran, le due potenze egemoni locali che tra l'altro hanno sempre più punti di contatto con la rivale imperialista, la Russia di Putin che è all'attacco nella vicina Siria; la Casa Bianca inoltre non deve scontentare troppo un vecchio alleato regionale, l'Arabia Saudita. Un gioco di equilibri imperialisti difficile ma non impossibile nel breve periodo.
 

Il governo di Baghdad accetta la spartizione del paese coi curdi di Erbil ma non cede su Mosul
Il governo di Baghdad già nel settembre scorso aveva spedito i suoi aerei su Mosul per lanciare volantini coi quali esortava la popolazione ad abbandonare la città e a ribellarsi all'IS. Un tentativo fallito che tra l'altro puntava a ripetere almeno in parte il giochetto già utilizzato per “liberare” Fallujah, Ramadi e Tikrit col minor numero di perdite: le tre città svuotate dagli abitanti erano ridotte in macerie, distrutte dai bombardamenti.
Una volta lanciato l'attacco sulla città il premier Abadi precisava che a entrare a Mosul sarà “la coraggiosa armata irachena con la polizia nazionale, nessun altro” per “tranquillizzare” la popolazione sunnita rimasta nella città ma soprattutto per affermare la sovranità di Baghdad su una regione che è diventata centro degli appetiti anzitutto dei due alleati curdi e sciiti ma anche della Turchia. L'intesa coi curdi di Erbil sembra funzionare; le milizie sciite non hanno promesso di restare fuori della città ma è soprattutto il fascista presidente turco Recep Tayyip Erdogan ad aver risposto picche.
A nulla valgono le rassicurazioni del comando delle forze congiunte irachene che contro l'evidenza ha negato “la partecipazione turca di qualsivoglia tipo nelle operazioni per la liberazione della provincia di Ninive”.
 

Il turco Erdogan sogna una rivincita dell'impero ottomano
Il premier turco Binali Yildirim annunciava il 19 ottobre la partecipazione dei bombardieri di Ankara ai raid su Mosul a supporto dell'offensiva di terra mentre il 23 ottobre annunciava che l’artiglieria aveva aperto il fuoco contro obiettivi dell’IS dalle posizioni conquistate sul lato nord-est della città.
Che il regime di Ankara non sarebbe stato a guardare un'azione che avrebbe voluto intraprendere da solo già da tempo era resa evidente dalle parole del presidente turco: “la Turchia ha delle responsabilità verso Mosul che hanno radici storiche e geografiche”. Erdogan affermava l'interesse di Ankara alla “sicurezza” dell'area e soprattutto lungo i 350 chilometri di confine tra Iraq e Turchia, una condizione che legittimerebbe il regime di Ankara a partecipare alle operazioni sul campo e a sedere al tavolo negoziale che deciderà il futuro della regione. “Allo stato attuale, considerando che gli scontri hanno natura settaria, la Turchia evita di schierarsi, tuttavia difendiamo i diritti dei nostri fratelli sunniti e turcomanni che vivono nella regione”. Calpestando al contempo quelli dei curdi.
Erdogan rivelava di aver trovato un'intesa con Washington anche sulla Siria “per ripulire anche quest'area dai terroristi”, dicharandosi pronto “a liberare Raqqa” e di aver avuto la garanzia che i curdi del Pyd avrebbero lasciato il controllo della città di Manbij. La Turchia non ha alcuna intenzione di espandere i confini né in Siria né in Iraq, spergiurava il Pinocchio Erdogan. Ma intanto respingeva di nuovo la richiesta di Baghdad di ritirare le sue truppe schierate a una decina di chilometri a nord-est di Mosul, nella base di Bashiqa dove erano impegnate a addestrare alcune migliaia di peshmerga curdi.
Le radici storiche e geografiche del legame tra la Turchia e Mosul risalgono all'impero ottomano. L'accordo Sykes-Picot di spartizione tra Gran Bretagna e Francia era recepito nel Trattato di Losanna del 1923 che lasciava aperta la questione di Mosul, l'antica capitale assira Ninive così ribattezzata dagli arabi, che restò ancora due anni sotto il governo di un Pascià ottomano e destinata solo nel 1925, a quattro anni dalla formale indipendenza irachena, a far parte dei domini di Fayṣal I, primo sovrano del Regno hascemita d'Iraq.
Erdogan con la partecipazione all'offensiva su Mosul ha messo in chiaro di voler continuare a negare ogni diritto al popolo curdo e, insieme, di pretendere un posto al tavolo della spartizione dell'Iraq, tra l'altro con l'aiuto dei compiacenti curdi della regione autonoma del presidente filoimperialista Massud Barzani.
Ankara intanto ha stretto accordi con il Kdp, il partito di Barzani, sul piano economico per costruire le condutture di greggio che dai territori dei curdi porteranno il petrolio in Europa via Turchia.
Le ambizioni di Erdogan sia in Siria che in Iraq sono state rafforzate dall'intesa con la Russia di Vladimir Putin. Lo zar del Cremlino ha ritirato il suo sostegno ai curdi e dato il via libera ad Ankara a occupare un’area che spezza la continuità tra i territori curdi del Rojava.
 

La regione autonoma del Kurdistan apre alla Turchia e punta a Kirkuk
Degli accordi con governo di Baghdad e di Ankara del presidente della regione autonoma del Kurdistan Massud Barzani abbiamo parlato nei capitoli precedenti. Resta da ricordare che i peshmerga hanno annunciato che non entreranno in Mosul, lasciando il passo alle forze governative, e occuperanno postazioni periferiche e sulla strada di Kirkuk, la capitale petrolifera e vero motivo della contesa con il governo di Abadi.
Tutta la zona urbana e i siti petroliferi più importanti di Kirkuk erano tornati nel giugno 2014 sotto controllo del governo curdo di Erbil che la considera dentro i “confini naturali” del Kurdistan e sottoposta, durante l'era di Saddam Hussein, a un processo di "arabizzazione" forzata.
 

L'Italia di Renzi “presidia” la diga di Mosul ma fornisce supporto all'attacco
La maggior parte dei soldati dell'imperialismo italiano presenti in Iraq è schierato a “difesa” dei lavori della società Trevi di Cesena che si era aggiudicata la ristrutturazione della diga che si trova a una trentina di chilometri da Mosul. Ma gli elicotteristi della Brigata Friuli schierati a Erbil sono impegnati nelle operazioni di soccorso ai feriti della coalizione anti-IS o in missioni di assistenza ai plotoni in difficoltà; sono comunque impegnati nell'appoggio alla prima linea dell'attacco.
Il ministro della Guerra Roberta Pinotti per dimostrare l'impegno del governo Renzi nella guerra all'Is ricorda tra le altre che sono stati quasi 6 mila peshmerga addestrati dai militari italiani di stanza ad Erbil, simulando le “possibili situazioni che dovranno fronteggiare - spiegano alla Difesa - nelle operazioni per la riconquista dei centri occupati dall'IS come la stessa Mosul”.
I 120 addestratori italiani sono inquadrati nell'operazione “Prima Parthica” e operano in Kurdistan dall'inizio del 2015. L'operazione ha il nome di una legione romana creata nel 197 dall'Imperatore Settimio Severo per la sua campagna nella regione contro l'Impero dei Parti e a fine guerra i legionari restarono nel campo di Singara, l'odierna città irachena di Sinjar vicino al confine siriano. Un nome appropriato per accompagnare le ambizioni imperialiste dell'Italia di Renzi.
L'offensiva imperialista su Mosul è stata accompagnata sul piano diplomatico dall'inziativa della Francia di convocare il 20 ottobre, d'intesa col governo di Baghdad, una conferenza a Parigi per “preparare l'avvenire politico di Mosul” perché come ha spiegato il ministro degli Esteri francese Jean-Marc Ayrault “bisogna muoversi in anticipo, predisporre il 'giorno dopo' e la stabilizzazione di Mosul al termine della battaglia militare”. Alla conferenza hanno partecipato una ventina di delegazioni occidentali e arabe: Bahrein, Canada, Cina, Egitto, Germania, Iran, Italia, Giappone, Giordania, Kuwait, Olanda, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Corea del Sud, Spagna, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Gran Bretagna, Stati Uniti, Unione europea e Lega Araba. Il succo della riunione è stato espresso dal segretario alla Difesa Usa, Ashton Carter, che ha sottolineato come la coalizione guidata dagli Stati Uniti anzitutto “vuole distruggere i centri di potere” dell'IS nelle città di Raqqa e Mosul.
Da come finirà la battaglia di Mosul dipenderanno gli sviluppi relativi alla sorte dello Stato islamico, della spartizione dell’Iraq, degli obiettivi del Kurdistan in Iraq e in Siria, della creazione di sfere di influenza turca e iraniana nella regione e una parte dell’eredità imperialista di Obama che ha continuato ad alimentare l'incendio della regione appiccato dal predecessore Bush. Dalla Siria il concorrente imperialista Putin non sta a guardare e ha riaperto le ostilità per conquistare Aleppo. Agli accordi anglo-francesi Sykes-Picot potrebbero seguire le divisioni concordate o meno tra Obama e Putin: gran parte dell’Iraq agli americani, gran parte della Siria a Mosca. Una volta fatti i conti con lo Stato islamico da Mosul a Raqqa.

26 ottobre 2016