Referendum sulla controriforma costituzionale
Un NO anche per l’ambiente
Con le modifiche al Titolo V, via libera allo sfruttamento selvaggio del territorio

 
Uno degli aspetti meno trattati e più rilevanti della “riforma” Costituzionale proposta dal nuovo duce Renzi e dalla ministra Boschi, è la revisione del Titolo V, che affermerebbe un modello di gestione delle risorse esclusivamente deciso dai ministeri. Le competenze esclusive che tornerebbero allo Stato riguardano produzione, trasporto e distribuzione dell'energia, infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e navigazione, beni culturali e paesaggistici, ambiente ed ecosistema, attività culturali e turismo, governo del territorio, protezione civile, porti e aeroporti civili.
La nuova versione dell'art.117 introduce la clausola di supremazia: "Su proposta del governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell'interesse nazionale. " In sostanza si offre all'esecutivo spazio per molteplici forzature, invocando semplicemente “l'interesse nazionale”. Sarà dunque possibile imporre politiche e progetti invisi agli enti locali e alle popolazioni chiamate a pagarne i costi economici, ambientali, sociali e sanitari. Da un altro punto di vista, la riscrittura dell'art. 117 è il cavallo di Troia attraverso il quale si tenta di inserire in Costituzione alcuni dei principi contenuti nel decreto sblocca Italia, convertito nonostante forti proteste nella L.164/2014.
Si tratta in parte di principi su cui il governo ha dovuto fare marcia indietro in seguito al deposito dei quesiti referendari promossi da 9 Regioni e centinaia di associazioni ambientaliste solo qualche mese fa. Un punto in particolare, che prevedeva l'esclusione delle Regioni dai processi decisionali in materia energetica e infrastrutturale, è stato dichiarato incostituzionale con sentenza n.7/2016 per violazione degli artt.117-118 e recepito dal governo nella recente legge di stabilità per evitare di sottoporre tale punto, pronto a rientrare in campo proprio con la “riforma” costituzionale, alla consultazione popolare sulle trivellazioni in mare. Lo scorso aprile, nonostante la sopravvivenza di un unico quesito e tra le mille difficoltà della campagna boicottata da governo e media, oltre 15 milioni di Italiani hanno votato Sì per affermare il loro diritto a decidere in materia di politiche energetiche. In quelle stesse settimane emergevano con chiarezza, grazie ad un'inchiesta della magistratura, le connessioni tra il governo e le lobby energetiche del Paese: scandalo che costrinse l'allora ministro Guidi a dimettersi. Di oggi, infine, è la notizia che il governo Renzi ha autorizzato nuove attività di ricerca di idrocarburi lungo la riviera Adriatica e nel Mar Ionio. Neppure sei mesi dopo il referendum e le continue rassicurazioni circa la rinuncia a nuovi fronti estrattivi, si imbocca nuovamente, indisturbati, la via nera del petrolio e delle energie fossili.
Da anni assistiamo all'attivazione di decine di migliaia di persone per ciascuna battaglia territoriale: il movimento No Ombrina in Abruzzo, le lotte contro il Biocidio in Campania, le istanze dei No Triv, No Tav, No Tap e No Muos, i fronti contrari alla costruzione di nuovi impianti di incenerimento e per la chiusura degli attuali, le centinaia di altre realtà di resistenza popolare in prima linea per il diritto alla vita, alla salute, all'ambiente. Questo aumento della conflittualità sociale attorno all'imposizione di politiche impattanti con gravi effetti, documentati da rigorosi e numerosi studi ambientali, epidemiologici, economici e demografici, dimostrano che è forte la volontà di decidere sulle sorti del proprio territorio e, soprattutto, dimostrano che la mobilitazione è l’unica arma che il popolo ha per far sentire la sua voce.
La controriforma costituzionale renderà più facile il ricorso alla gestione commissariale e allo stato di emergenza, attraverso le quali nell'ultimo decennio si è imposto il meccanismo del comando e controllo come risposta autoritaria all'emergere delle istanze più disparate, finendo come al solito per seppellire i conti pubblici sotto mazzette, profitti e tangenti indirettamente proporzionali alla qualità del lavoro svolto e delle misure adoperate.
Questa “riforma”, anche per quel che riguarda l'ambiente, è l'atto finale del processo di trasformazione fascista dello Stato e di suo asservimento a logiche capitalistiche puramente neo liberiste, succubi del mercato e della finanza. Un processo che dopo vent'anni di "berlusconismo", l'avvento dei tecnici e il ricorso a larghe intese, ha trovato il suo perfetto scudiero in Renzi e la sua proposta di modifica costituzionale. Per questi motivi, oltre a ribadire che è la lotta di piazza il modello più incisivo per lottare anche per la tutela dell’ambiente, invitiamo tutti gli ecologisti, gli ambientalisti e coloro che amano il territorio ed il Paese nel quale viviamo, di bocciare la controriforma di Renzi votando NO al referendum del prossimo 4 dicembre.
 

26 ottobre 2016