Sgomberato con la forza il campo profughi di Calais

 
Buldozer e ruspe della società appaltatrice che ha vinto la gara hanno iniziato il 26 ottobre la demolizione delle baracche del campo profughi di Calais non appena l'ultimo migrante presente era stato messo sui pulman e portato altrove. “La missione è compiuta, non c’è più nessuno nel campo, tutti sono al riparo”, in anticipo sui tempi previsti, affermava la prefetto del Pas-de-Calais, Fabienne Buccio, annunciando la fine dell’operazione di sgombero del più grosso campo profughi europeo per la quale aveva mobilitato più di un migliaio di poliziotti.
In quella zona di Calais, sui cumuli di una discarica tossica dismessa, erano apparse già nel 1999 le prime tende di migranti e profughi che sostavano in attesa di poter passare lo Stretto della Manica e sbarcare in Gran Bretagna. Negli ultimi anni, con le ondate di profughi provenienti dai Balcani e dall'Africa, tende e baracche erano cresciute fino a ospitare tra le otto e le diecimila persone. Il viaggio dei migranti era a mala pena contenuto dai governi di Parigi e Londra, con l'esecutivo francese che più volte tentava di chiudere il campo e quello britannico che arrivava fino a stanziare quasi tre milioni di euro per innalzare un muro in cemento armato per tentare di sigillare la strada della città francese che porta all'imbarco dei traghetti per Dover e del tunnel per i treni che passano sotto la Manica.
Con il varo della controriforma del lavoro, la Loi travail, imposta al parlamento e al paese che protestava in piazza il presidente Francois Hollande ha perso gran parte di credibilità finanche nel suo elettorato; in vista delle presidenziali del prossimo anno ha deciso di usare il pugno di ferro contro i migranti anche per recuperare spazio tra i suoi principali avversari di destra. Primo bersaglio del governo è diventato il campo di Calais sgomberato a forza a partire dal 24 ottobre per motivi “umanitari”, togliere dal fango i profughi e dare loro ospitalità in altri centri finora rifiutati perché lontani dalla via di accesso alla Gran Bretagna. La gran parte dei migranti di Calais non hanno il “requisito” di profughi per poter sperare di essere accolti oltremanica, allontanarli da Calais significa rendere quantomeno più difficile l'arrivo in Gran Bretagna.
La prefetto Buccio dichiarava lo Stato di emergenza e istituiva una “zona di protezione” attorno al campo; in altre parole la polizia sigillava il campo e vietava l'ingresso financo alle associazioni di volontari presenti da anni sul posto. Le bastavano due giorni per dichiarare “missione compiuta” e per indicare in 6.600 i migranti che erano stati sottoposti ai controlli presso la stazione di smistamento. Più di 3 mila erano stati messi a forza sugli autobus e spediti in 450 centri di accoglienza e di orientamento (Cao) sparsi in 11 delle 13 regioni della Francia; 772 minorenni erano ospitati in container non lontani dal campo, 217 erano accettati in Gran Bretagna avendo parenti nel paese, gli altri dovevano aspettare una risposta da Londra. Una parte dei migranti saranno rispediti nei paesi di primo approdo, Italia e Grecia anzitutto, dove avrebbero dovuto chiedere asilo e fermarsi secondo il regolamento di Dublino.
Le associazioni di volontariato che seguivano i migranti del campo avevano censito fino a 10.200 persone; dalle cifre ufficiali manca quindi almeno un terzo della popolazione del campo, fuggita prima dell’inizio dell’operazione o durante. E altri migranti sono arrivati nella zona negli stessi giorni con la prefettura di Calais che precisava come “la Francia non si farà carico” di questi nuovi arrivi.

2 novembre 2016