Su iniziativa di Cgil, Cisl e altre organizzazioni sindacali
Sciopero generale contro la totale privatizzazione delle Poste

Avanza a ritmo serrato la privatizzazione di Poste Italiane già avviata da tempo. Il suo inizio lo possiamo far risalire alla trasformazione in spa degli anni '90 e con il taglio del personale di circa 20mila unità avvenuto con il governo Prodi negli anni a cavallo del 2.000, adesso siamo alla completa cessione dell'attività ai privati. Lo scorso anno il governo Renzi aveva messo sul mercato il 35% del capitale di Poste Italiane attraverso una IPO (Offerta pubblica iniziale).
Con la recente decisione del Consiglio dei Ministri di quotare in Borsa un ulteriore 30% e del conferimento a Cassa Depositi e Prestiti del rimanente 35% del capitale, avremmo l’uscita definitiva del Ministero dell’Economia dall’azionariato dell’azienda e il completo mutamento degli assetti societari e del controllo pubblico. Ma al governo fanno gola gli incassi della vendita che, in base al valore di borsa del titolo, sarebbero di circa 3 miliardi di euro. Il governo del nuovo duce Renzi, sempre alle prese con la riduzione del debito pubblico, e incalzato per questo dall'Unione Europea, sta pensando di fare ancora cassa con Poste Italiane.
Contro questo piano venerdì 4 novembre i lavoratori di Poste Italiane si sono mobilitati aderendo alle iniziative organizzate da Cgil, Cisl, Cobas e altre organizzazioni sindacali. L’adesione allo sciopero è stata alta tra i circa 140mila dipendenti che conta l'azienda in tutta Italia, si sono astenuti dal lavoro il 70% degli addetti, con punte dell’85% in Emilia Romagna, una regione dove stanno chiudendo decine di uffici postali. Nel corteo di Bologna, composto da 1.500 lavoratori, era presente il segretario della Cgil Susanna Camusso.
Molto alta l'adesione anche in Toscana con la manifestazione regionale di Firenze deve erano presenti più di mille persone. Chiusi molti uffici in Piemonte e in Liguria, dove i lavoratori hanno manifestato con i cortei di Torino e di Genova. Manifestazione regionale a Milano mentre i lavoratori veneti hanno protestato a Mestre, dove si lotta anche per mantenere i mille uffici regionali e contro la riduzione del personale che nella regione ammonta a 10mila unità. Proteste e cortei anche a Napoli dove Poste Italiane mette a rischio migliaia di posti di lavoro, a Bari manifestazione davanti la Prefettura con circa duemila lavoratori mentre in tutta la Puglia sono rimasti chiusi più della metà degli uffici.
A Palermo sono confluiti una trentina di pullman da tutta la regione e i lavoratori hanno dato vita a una manifestazione dove è stato denunciato l'abbandono degli sportelli postali in molti piccoli centri della Sicilia e il rischio occupazionale per gli oltre 10mila dipendenti impiegati attualmente nella regione. Preoccupazione anche in Sardegna dove quasi mille manifestanti si sono dati appuntamento a Cagliari davanti al palazzo del Consiglio Regionale. Nell'isola il piano di privatizzazione aziendale avrà conseguenze più gravi che nelle altre regioni: oltre 750 tagli, chiusura di uffici nelle zone più disagiate con limitazioni nel recapito della corrispondenza.
Con la completa privatizzazione delle Poste, secondo i sindacati, “Sono a rischio almeno 20mila posti di lavoro sia nel settore postale che in quello finanziario”. Già ora il servizio pubblico è sempre più ridotto e minacciato dalla politica speculativa del taglio ingiustificato del personale, con centinaia di uffici postali già chiusi in tutta Italia, obbligando così gli anziani a spostarsi di chilometri per cercarne uno aperto, e con la vergognosa consegna della posta a giorni alterni e rarefatti, accordata da molte sigle sindacali che sta danneggiando migliaia di abitanti di molti comuni italiani e gli stessi lavoratori delle Poste.
Purtroppo non ci possiamo dimenticare che molte tappe della privatizzazione e della “riorganizzazione” della poste sono state approvate da molte sigle sindacali. Del resto non è un mistero che i confederali, con alla testa la Cisl, e altri sindacati “autonomi” come la Cisal, hanno allacciato nel tempo stretti rapporti con la direzione aziendale e hanno gestito, e gestiscono tutt'ora una quota delle assunzioni in modo clientelare e spartitorio, come hanno dimostrato molte inchieste giornalistiche, della magistratura e decine d' interrogazioni parlamentari.
Come già avvenuto per Ferrovie, Autostrade e altri enti, la già di per sé deprecabile privatizzazione assume la peggiore delle forme, quella cosiddetta “all'italiana”. Nel senso che gli stipendi milionari ai manager di stato e il buco nel bilancio vengono fatti pagare ai lavoratori e agli utenti mentre i vantaggi se li prendono esclusivamente i privati. Come quando nel 2016 il governo ha girato un altro 35% delle Poste alla Cassa Depositi e Prestiti, che così distribuirà gli utili postali anche ai suoi soci privati delle fondazioni bancarie e assicurazioni, di contro altri soldi in meno che entrano nelle casse pubbliche e quindi meno sanità, pensioni e altro.
Il settore degli investimenti e del risparmio fa gola ai privati, con servizi finanziari gestiti da personale che ha uno stipendio e un contratto peggiore di quello dei bancari ed è quindi sviluppato e sostenuto economicamente, mentre quello dei recapiti, pagamenti, dei servizi, dell'erogazione delle pensioni viene svilito e dismesso, compromettendo qualità del servizio offerto e la garanzia del servizio universale. Persino il parlamento europeo ha contestato la scelta dei giorni alterni e ha richiesto che la corrispondenza sia consegnata almeno 5 giorni alla settimana.
Proprio su questo punto i sindacati e i lavoratori sottolineano come Poste fa un servizio pubblico e non è una semplice azienda. Il personale destinato agli sportelli e al recapito è insufficiente a garantire i servizi ai cittadini, è una situazione insostenibile.
 
 

16 novembre 2016