L'imperialismo americano utilizza i curdi “siriani” per strappare Raqqa all'IS e darla alla Turchia fascista

 
A tre settimane dall'inizio dell'offensiva guidata dal governo iracheno contro Mosul, la principale città controllata dallo Stato islamico (IS) in Iraq, è partita quella contro la capitale dell'IS, la città siriana di Raqqa, condotta dalle Forze Democratiche Siriane (SDF nell'acronimo in inglese), l'alleanza arabo-curda. In entrambi i casi determinante è l'appoggio aereo degli Usa e di tutto lo schieramento imperialista guidato da Washington, Turchia compresa. L'altro schieramento imperialista impegnato in Siria, quello guidato dalla Russia di Putin in appoggio al regime di Assad, resta impegnato nella regione di Aleppo. Le due aree di intervento prefigurano una futura spartizione del controllo del paese in almeno due parti tra Usa e Russia, con un grosso punto interrogativo riguardo il Kurdistan occidentale (Rojava) autoproclamatosi nel marzo scorso regione autonoma; sono i curdi “siriani” che forniscono il grosso delle forze di terra per la conquista di Raqqa ma rischiano di restare schiacciati dall'intesa tra l'imperialismo americano e la Turchia del fascista Recep Tayyp Erdogan, che considera “organizzazioni terroristiche” tutte quelle curde fuorché i fidati peshmerga del Kurdistan del sud (Bashur), della regione autonoma del Kurdistan in Iraq che sono uno degli assi portanti dell'attacco a Mosul.
“È cominciata la grande battaglia per la liberazione di Raqqa e della sua provincia”, annunciava dalla città siriana di Ain Issa, situata 50 chilometri a nord di Raqqa, la portavoce dell’offensiva delle forze arabo-curde, Jihan Cheikh Ahmad, spiegando che erano iniziate la sera del 5 novembre le prime operazioni dell'offensiva, battezzata Ira dell'Eufrate, cui patecipano 30 mila soldati.
L'offensiva punta a liberare Raqqa dalle “forze del terrorismo mondiale e oscurantista rappresentate dall'Isis” e “Raqqa sarà liberata grazie ai suoi figli e alle forze arabe, curde e turcomanne, eroi che combattono sotto la bandiera delle Forze Democratiche Siriane”, affermava la portavoce, con “la partecipazione attiva delle Unità di Protezione del Popolo (YPG), in coordinamento con la coalizione internazionale”, quella imperialista a guida americana.
L'operazione su Raqqa si svolgerà “in due tappe”, la conquista della provincia per isolarla e successivamente la presa del controllo della città, spiegava un portavoce delle SDF, Talal Sello. Che avvertiva: “la battaglia non sarà facile e ha bisogno di operazioni precise e prudenti. L'Isis difenderà il suo bastione perché sa che la perdita di Raqqa significa la sua fine in Siria” a poco più di due anni dalla proclamazione dell'IS. L'11 novembre il comando delle SDF annunciava il completamento della prima fase dell'attacco.
Alla battaglia parteciperanno solo forze locali, spiegava Sello, la coalizione internazionale ha fornito armi e equipaggiamenti fra cui armi anti-carro e fornirà solo il necessario sostegno aereo. Ma diverse fonti locali hanno confermato la partecipazione all'offensiva di una cinquantina di soldati Usa, tra consiglieri militari e unità speciali. Sello sottolineava inoltre l'accordo raggiunto con Washington per lasciare fuori dall'offensiva le truppe turche: “Abbiamo convenuto in maniera definitiva con la coalizione internazionale (a guida americana, ndr) che non ci sarà alcun ruolo per la Turchia o le sue forze alleate”. Che già in diverse occasioni nella guerra in Siria hanno attaccato direttamente le postazioni tenute dalle YPG.
Forse non ci sarà alcun ruolo militare, e anche questo sarà tutto da vedere, ma riguardo al futuro del controllo della regione di Raqqa, una volta sconfitto l'IS, varrà l'intesa tra Washington e Ankara aggiornata il 6 novembre dall'incontro nella capitale turca tra il generale Joseph Dunford, capo dello stato maggiore congiunto degli Stati Uniti, e l'omologo turco, generale Hulusi Akar. I vertici militari dei due paesi hanno sottolineato che “la coalizione e la Turchia – affermava l'americano Dunford - lavoreranno insieme su un piano a lungo termine per conquistare, mantenere e governare Raqqa”. Gli Stati Uniti, precisava il generale Usa, hanno “sempre saputo che le SDF non sono la soluzione per prendere e governare Raqqa. Quello a cui stiamo lavorando è la ricerca del giusto mix di forze per l'operazione”, che richiede “forze prevalentemente arabe e sunnite”. Comprese quelle dell'Esercito libero siriano, supportate dalla Turchia che combattono contro l'IS e il regime di Assad in particolare nella regione di Aleppo.
Il 7 novembre le SDF rispondevano con un comunicato nel quale elencavano i nove gruppi che partecipano all'attacco, formati da arabi, turcomanni e assiri per la maggior parte provenienti dalla provincia di Raqqa. Il nucleo centrale e più importante resta quello delle YPG che affermavano di volersi ritirare dalla città dopo la conquista e lasciarne il controllo agli abitanti, sul modello delle cittadine di al-Hawl, al-Shaddadi e Tal-Abyad “liberate” e governate da rappresentanti locali. Uno dei nove gruppi alleati riteneva che le forze curde non dovevano entrare in città ma fermarsi fuori e minacciava di ritirarsi dall'offensiva. Una contraddizione minore ma significativa della precarietà dell'eterogenea alleanza messa in piedi dagli Usa per sconfiggere l'IS.
“Abbiamo invitato tutte le parti in questa battaglia, che si tratti delle Unità di Protezione del Popolo, che si tratti di altre forze siriane, arabi o curdi e anche la Turchia. Il nemico principale è l'IS. Quello che stiamo cercando di fare qui è liberare il territorio che l'IS tiene in Siria”, chiariva il 9 novembre, se ce ne fosse stato bisogno, il portavoce del Dipartimento di Stato americano Mark Toner. L'imperialismo americano ricordava che l'IS è il nemico principale, il resto sarebbero questioni secondarie. Mentre non lo sono affatto per i suoi due principali alleati nella battaglia, la Turchia del fascista Erdogan e la Rojava.
I dirigenti curdi della Rojava ritengono che l'operazione Ira dell'Eufrate rappresenti una legittimazione internazionale e un rafforzamento del loro potere contrattuale con il governo di Damasco per poter realizzare il progetto, lanciato il 17 marzo scorso, di una amministrazione autonoma curda all'interno di un futuro Stato federale in Siria. A breve termine l'operazione dovrebbe servire quantomeno per allontanare le forze dell'IS dalla valle dell'Eufrate, ridurre la possibilità di attacchi da sud contro Rojava e avere l'opportunità di rafforzare le zone già liberate; in altre parole potrebbero chiudere un fronte e tenere gli occhi solo sulle iniziative della Turchia.
Al momento però il progetto dell'amministrazione autonoma curda non è piaciuto al governo di Damasco, come ai suoi padrini a Mosca e a Teheran che otto mesi fa non potevano sponsorizzare una frammentazione seppur parziale della Siria. Da allora Assad ha sparato qualche colpo di cannone sulle postazioni delle YPG e Putin che ad aprile sosteneva ancora che la pace in Siria doveva passare dal colloquio con i curdi siriani, li mollava in nome della nuova alleanza con Erdogan. Una volta apparsi chiari anche i nuovi legami della Rojava con gli Usa. Intrecci e cambi di alleanze che rendono la crisi siriana ancora più complessa di quella irachena e una spartizione del paese ancora più probabile.
L'offensiva contro Raqqa era di fatto annunciata il 26 ottobre, durante una conferenza stampa a margine di un incontro avuto a Parigi con altri 12 ministri della Difesa di Paesi europei, dal Segretario alla Difesa Usa, Ash Carter, che dichiarava che l'assalto alla città era da tempo “nei piani” del Pentagono e che la campagna militare sarebbe iniziata a breve. Fra le più deboli forze dell'Esercito libero siriano e quelle più numerose e meglio organizzate dell'alleanza curdo-siriana, grazie anche al loro contrbuto, la Casa Bianca sceglieva di puntare sull'alleanza delle SDF, previa intesa con Ankara. Nessun coinvolgimento era previsto da parte delle forze del governo di Damasco, o dei suoi alleati, seppur Raqqa sia pure formalmente è in territorio siriano.
L'intesa tra Washington e Ankara era già un dato di fatto ai primi di settembre quando era stato il presidente turco Erdogan a dichiarare che, durante il G20 in Cina, il presidente americano Barack Obama gli aveva parlato di un’azione congiunta contro l'IS a Raqqa e lui gli aveva dichiarato pronto a parteciparvi. Il segretario della Difesa americano Ash Carter e l’omologo turco Fikri Isik si erano incontrati già l'8 settembre per definire gli accordi politici cui sono seguiti quelli militari.
Nello stesso periodo i soldati turchi entravano in Siria e strappavano all'IS la città di confine di Jarablus che permetteva a Ankara di cominciare a creare la desiderata “zona cuscinetto” soprattutto contro i curdi che così non avrebbero potuto unire i territori della Rojava.
“La Turchia non permetterà che le forze dell'Ypg estendano il proprio territorio e potere usando l'operazione contro Daesh (l'IS, ndr) come scusa”, dichiarava il ministro turco Isik il 7 novembre e chiedeva di nuovo ai combattenti curdi di ritirarsi a est del fiume Eufrate come avevano promesso di fare dopo aver sottratto all'IS il controllo della città di Manbij.
La regione siriana lungo l'Eufrate, da Raqqa al confine iracheno, rientra nelle mire dell'imperialismo americano che utilizza i curdi “siriani” per strapparla all'IS e darla alla Turchia fascista, anche se le forze locali alleate di Ankara non sembrano ancora in grado di prenderne il controllo. Al governo di Damasco e alla rivale imperialista Russia restavano le regioni occidentali che le loro forze controllano.
Questo era il progetto che veniva fuori dalle ultime iniziative dell'amministrazione Obama e che potrebbero non cambiare sotto la nuova presidenza di Donald Trump. Il nuovo presidente americano non ha spiegato quale sarà la su strategia in Medio Oriente, ha manifestato però un apprezzamento sia per Vladimir Putin che per Erdogan. Staremo a vedere quali saranno gli sviluppi, con la Turchia del fascista Erdogan che ha mostrato di voler giocare un ruolo egemone locale per conto proprio nella regione e potrebbe avere più spazio dal disimpegno dell'imperialismo americano da alcuni scenari di crisi come prospettato da Trump.
Il concorrente imperialismo russo invece non aspettava le novità dalla Casa Bianca e il 15 novembre dava il via a una imponente offensiva nella Siria nord occidentale con l'obiettivo dichiarato di “infliggere danni enormi alle posizioni dell'IS e di al Nusra nelle due province di Idlib e Homs”, come affermava il ministro della Difesa russo Sergej Shoigu. Il ministro confermava che nell'operazione era coinvolta anche la portaerei Admiral Kuznetsov, posizionata di recente da Mosca davanti alle coste siriane nel Mediterraneo, assieme a una ventina di navi da guerra di “tutta la Flotta settentrionale e parte della Flotta baltica”, notavano alla Nato. L'offensiva russa arrivava poche ore dopo una telefonata tra Putin e Tramp che concordavano su “uno sforzo congiunto per sconfiggere estremismi e terrorismo”.

16 novembre 2016