L'evento quasi ignorato dalle TV
200 mila donne in piazza a Roma contro la violenza
Quattro generazioni nel'interminabile corteo festoso e determinato. Il PMLI diffonde la sua posizione sul femminicidio

200 mila donne di tutte le età e provenienti da tutta Italia hanno dato vita il 26 novembre all'interminabile corteo contro la violenza che ha attraversato le vie di Roma.
Organizzata dalla rete Non una di meno, di cui fanno parte le Associazioni Io Decido, D.I.Re e UDI, a un giorno esatto dal 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza maschile, istituita dalle Nazioni Unite in ricordo delle tre sorelle attiviste Mirabal trucidate dal regime dei generali della Repubblica Domenicana nel 1960, la manifestazione ha trovato l'appoggio e il sostegno di centinaia e centinaia di donne, ben quattro generazioni di lavoratrici, disoccupate, pensionate e studentesse che hanno gridato all'unisono il No alla violenza sulle donne e dato vita a una delle più grandi manifestazioni di donne dagli anni '70.
Nel lunghissimo serpentone festoso e colorato le donne hanno con determinazione denunciato oltre alla violenza maschile, sessuale e fisica, anche gli innumerevoli soprusi, discriminazioni di ogni tipo, le disuguaglianze economiche e sociali, il taglio dei fondi alla Sanità con il conseguente taglio dei fondi ai consultori e ai centri antiviolenza. Tutti temi che si ripercuotono pesantemente sulla qualità della vita delle masse feminili.
“Non un euro di meno, il mio lavoro vale quanto quello di un uomo”, il cartello innalzato da una giovane. Le donne di Bologna dell'associazione “La favolosa coalizione”, una rete di “transfemminismo queer e antifascista”, arrivate in più di 300, a ogni incrocio ritmano “Gli obiettori non sono medici” per sottolineare le restrizioni apportate al diritto di aborto coi tagli dei consultori e alla sanità del governo del nuovo duce Renzi e dalla sua ministra Lorenzin.
Sono in tante anche le universitarie de “La Sapienza” che nei giorni precedenti hanno dato vita a sit-in in difesa della legge sull'interruzione volontaria della gravidanza in preparazione della manifestazione del 26 novembre. In un loro volantino si legge: “Per noi violenza sulle donne è anche non vedere rispettate le nostre scelte, veder calpestata la nostra dignità. Non ci stancheremo mai di gridare che proibire ad una donna di abortire è una violenza fisica, psicologica ed economica”.
In più spezzoni del corteo echeggiano gli slogan contro Renzi e Lorenzin soprattutto contro il famigerato “Fertility day” che riporta alla campagna demografica di mussoliniana memoria ignorando completamente il crescente fenomeno delle “baby mum” soprattutto al Sud, ossia di ragazzine appena adolescenti che diventano madri. Le operatrici di alcune case famiglia del Lazio denunciando che la Lorenzin è buona solo a fare dei “tavoli tecnici, le Regioni si tengono i soldi in tasca e i centri sono sempre a rischio chiusura” rivendicano viceversa che questi centri siano gestiti da “associazioni vere, che trattano le donne non da malate o da utenti, basate sui nostri criteri”.
Al corteo era presente il PMLI che ha diffuso a centinaia il volantino riportante le parole d'ordine del Partito contro il femminicidio e la piena parità politica e sociale tra le donne e gli uomini (vedi servizio in questa stessa pagina).
Questa marea colorata di donne è stata quasi ignorata dalle TV, quelle stesse TV che di fronte ai casi di femminicidio accendono i riflettori per elevare l'audience o il numero di “like” sui social, e che li spengono davanti a duecentomila donne che manifestano puntando il dito contro le nefandezze di una cultura e di una società borghesi apertamente e sfacciatamente antifemminili. TV servili fino in fondo alla società borghese e al governo Renzi. Nel comunicato delle organizzatrici infatti si legge: “Nelle edizioni della sera i maggiori telegiornali hanno fatto scomparire la notizia. Il Tg1, che appena il 25 novembre condannava la violenza sulle donne, ieri sera ha intervistato solo la ministra Boschi e poi, come per caso, è stata data la notizia che migliaia di donne avevano sfilato a Roma per dire no alla violenza. Rai 2 ha mostrato un papà con un bambino sullo sfondo del Colosseo e della manifestazione, sembrava una festa per famiglie. La7 non si è accorta di niente”.
Il 26 novembre le donne hanno dato un importante segnale che non può essere ignorato. Le radici della violenza sulle donne affondano nella marcia cultura borghese e nella mancanza di diritti per le donne che sono a fondamento del regime capitalista, neofascista, interventista, antipopolare e antisindacale.
La violenza maschile sulle donne, come sulle lesbiche e sui transessuali è il prodotto della cultura dominante borghese che fonda i rapporti fra i sessi proprio sulla discriminazione e l'oppressione economica, sociale, politica e familiare della donna. Una cultura e una morale che vorrebbero la donna solo nel ruolo di madre, moglie o assistente gratuita ai familiari malati, rinchiusa all'interno delle quattro mura domestiche, che sopperisce a quei servizi sociali che invece dovrebbero esserle garantiti proprio per strapparla dalla subalternità.
Battersi contro la violenza degli uomini sulle donne vuol dire battersi contro questa cultura dominante borghese e clericofascista e il suo modello di famiglia che oggi il governo Renzi ripropone nella triade “Dio, patria e famiglia”. Vuol dire battersi per la piena occupazione e perché le donne abbiano la piena parità politica, sociale e sindacale degli uomini. Vuol dire battersi per la socializzazione del lavoro domestico e per potenziare e aumentare i centri di assistenza per le donne e i servizi essenziali come gli asili nido. Vuol dire difendere la 194 sempre più compromessa dai tagli del governo del nuovo duce alla Sanità pubblica, e impedire la chiusura dei consultori conquistati con la dura lotta del movimento femminile degli anni '70 e nel contempo rifiutare al loro interno la presenza di personale medico e paramedico obiettore.
Tutto questo però dobbiamo essere coscienti che non sarà sufficiente per eliminare alla radice il fenomeno del femminicidio poiché solo conquistando il socialismo e radendo al suolo la proprietà privata capitalistica, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e l'intera sovrastruttura ideologica, statale, politica, culturale e morale capitalistica, le donne potranno emanciparsi dallo sfruttamento e dalla schiavitù sociale.
E per questo che facciamo appello alle ragazze proletarie, rivoluzionarie, coscienti e informate, le antifasciste che hanno manifestato il 26 novembre a Roma contro il femminicidio e la violenza sulle donne di porsi fino in fondo la questione di quale strada percorrere per rimuovere alle radici la causa dell'oppressione della donna e a unirsi al PMLI nella lotta per la conquista del socialismo.
 

30 novembre 2016