Lo denuncia il dossier redatto dall'associazione A Sud e dal Cdca
Nell'Italia di Gentiloni e Renzi più trivelle, Tir e inceneritori e meno rinnovabili

 
L’accordo di Parigi stipulato alla COP21 nel dicembre 2015 è entrato in vigore nel novembre 2016; una misura che a parole trovò in accordo tutti i grandi capi di Stato, a partire dai grandi inquinatori USA e Cina, fino ad arrivare all’Italia di Renzi. Costui già nel 2014 in occasione del Climate Summit di New York aveva sottolineato che :“Quella dei cambiamenti climatici è la sfida del nostro tempo, lo dice la scienza, non c’è tempo da perdere: la politica deve fare la sua parte.” Noi siamo entrati in merito all’accordo di Parigi con l’articolo dal titolo “Nulla di fatto per frenare il cambiamento climatico. La terra e la vita ancora in pericolo.” (Il Bolscevico n.47/2015). E abbiamo definito il testo della conferenza ONU, sponsorizzata da banche, multinazionali e inquinatori, come inconsistente e pieno di promesse che non erano vincolanti e potevano essere eluse o fatte slittare. Un testo che nulla dice sulla principale causa di inquinamento e di riscaldamento globale, che è il sistema di produzione capitalistico. Mentre a Marrakech si svolgevano i lavori della COP22, la nuova conferenza dove 170 paesi avrebbero dovuto dotarsi di regole e strumenti per agire nell’immediato, ed alla luce di un report dell’OMM dal quale è emerso che gli anni tra il 2011 e il 2015 sono stati i più caldi mai registrati a livello globale, è uscito un interessante dossier dal titolo “L’Italia vista da Parigi - Impegni internazionali e politiche nazionali per la lotta ai cambiamenti climatici” a firma dell’associazione A Sud e dal Centro Documentazione Conflitti Ambientali (Cdca). Il documento mette alla berlina l’inadeguatezza delle misure messe in cantiere dal governo Renzi, dimostrando che le politiche infrastrutturali, energetiche e di gestione dei rifiuti varate da Renzi sono “in assoluta contraddizione con gli impegni di riduzione assunti nell’ambito dell’accordo di Parigi”; un dato di fatto che pochi giorni fa non ha impedito al ministro dell’Ambiente Galletti di affermare che l’Italia “farà di tutto per rendere ancora più ambizioso quell’accordo”. Va ricordato che già nel dicembre 2013 il governo Letta autorizzò l’erogazione di incentivi per 20 anni per la realizzazione di una centrale a carbone nel Sulcis, in Sardegna. Nel cosiddetto decreto “Spalma incentivi” poi convertito in legge dal governo Renzi nell’agosto 2014, vengono ridotte le risorse per gli impianti fotovoltaici e i risultati sono evidenti: i nuovi impianti nel 2012 erano 150 mila, l’anno scorso appena 40 mila. Meno solare uguale più fossile. Ma è soprattutto il decreto “Sblocca Italia”, convertito in legge nel settembre 2014 con un voto di fiducia e fortemente avversato da opposizioni e associazioni ambientaliste, che di fatto si presenta come la negazione dell’accordo di Parigi. Il rapporto CDCA evidenzia che gli articoli 36, 37 e 38 incoraggiano l’attività estrattiva (trivelle) per mezzo di una formula che identifica le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale come “operazioni di interesse strategico e di pubblica utilità, urgenti e indifferibili”.
Lo stesso decreto sblocca cantieri per un valore di 28 miliardi e 866 milioni, soprattutto per opere autostradali e aeroportuali. L’articolo 35 invece, in barba alle strategie di riduzione di rifiuti e senza minimamente valorizzare i grandi sforzi delle comunità locali che hanno fatto balzare decisamente in avanti le percentuali di raccolta differenziata, in particolare dove presenti comitati di lotta “”Verso Rifiuti Zero”, promuove la costruzione di nuovi inceneritori definiti come “infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale ai fini della tutela della salute e dell’ambiente”. Un altro decreto, del 10 agosto 2016, individua otto aree in cui realizzare inceneritori, a testimoniare la direzione centralista del Governo in materie ambientali prevista anche dalla modifica del titolo V della Costituzione del ’48, ed oggetto del referendum costituzionale del 4 dicembre, che di fatto toglie ogni competenza alle Regioni ed alle comunità locali sui tali temi. L’elenco dei provvedimenti climalteranti del governo Renzi è molto più lungo, ma per i relatori ce n’è abbastanza per dire che “l’Italia deve dotarsi di un nuovo piano energetico”. Secondo gli autori del rapporto le soluzioni esistono e l’azione del governo dovrebbe rispettare una regola molto semplice secondo la quale ogni legge o provvedimento che riguardi produzione di energia, infrastrutture, utilizzo dei suoli, trasporto o gestione dei rifiuti deve avere come punto di riferimento gli obiettivi dell’accordo di Parigi, abbandonando immediatamente ogni politica contraria a questo principio”. Ma come faranno i governi che servono essi stessi gli interessi del grande capitale finanziario ed industriale a liberarsi delle stesse politiche che consentono loro profitti? È questo il nocciolo della questione e le continue dichiarazioni di rito a fronte di politiche che moltiplicano gli investimenti per lo sfruttamento delle energie fossili, per le infrastrutture per il trasporto su gomma e per l’incenerimento dei rifiuti, rafforzano la necessità di chiudere il più rapidamente possibile la partita col sistema di produzione capitalistico che mette al centro i profitti e non i bisogni dell’umanità, ambiente e clima compresi. Serve, è vero, un nuovo piano energetico; ma serve ancor di più un sistema economico e sociale diverso poiché solo il socialismo sarà capace di realizzare una società cucita su misura all’ambiente ed alla natura della quale l’uomo è parte integrante.
 

11 gennaio 2017