Fallito il tentativo di Grillo di accreditare il M5S presso l'establishment della UE
Respinto dagli ultraeuropeisti liberali, ritorna a capo chino col razzista e reazionario Farage accettando le sue pesantissime condizioni

Una disfatta, un suicidio politico, una figura disastrosa su scala internazionale: i giudizi impietosi della stampa sul “lunedì nero” del Movimento 5 Stelle si sprecano, quando Beppe Grillo e Davide Casaleggio hanno dapprima tentato, con una mossa spericolata e preparata in gran segreto, di lasciare il gruppo del razzista e reazionario Nigel Farage al parlamento europeo e traslocare nel gruppo degli ultraeuropeisti liberali, facendo approvare in fretta e furia l'operazione con la solita votazione on-line; per poi, subito dopo, incassato lo schiaffo della sconfessione dell'accordo da parte dei maggiorenti del gruppo che li doveva accogliere, tornare con la coda tra le gambe da Farage e accettare le sue umilianti condizioni per essere riammessi tra le sue file.
Tutto è cominciato domenica 8 gennaio, quando sul blog di Grillo gli iscritti del M5S sono stati chiamati perentoriamente e senza alcun preavviso a votare la decisione del “capo politico” e di Casaleggio di lasciare il gruppo Effd gestito insieme agli inglesi dell'Ukip per quello di Alde (Alliance of Liberals and Democrats of Europe), guidato dall'ex premier belga Guy Verhofstadt, lo stesso che un anno fa il M5S aveva definito un “impresentabile collezionista di poltrone” e leader del “gruppo più europeista esistente”. Un'operazione di cui erano stati tenuti all'oscuro non solo gli iscritti, ma persino i parlamentari europei del movimento, rimasti del tutto spiazzati e scandalizzati dall'annuncio dell'accordo negoziato con il leader liberale sopra le loro teste.
A trattare in gran segreto con Verhofstadt era stato l'eurodeputato trevigiano Davide Borrelli, copresidente del gruppo Effd, ex primo consigliere comunale storico del M5S nel 2008, ammiratore di Renzi e vicino a Confindustria (è stato lui a convincere l'imprenditore Massimo Colomban ad affiancare la Raggi come consigliere), e soprattutto socio di Davide Casaleggio e Max Bugani nell'Associazione Rousseau, che gestisce tutta la comunicazione e la piattaforma digitale del movimento. Il motivo per cui gli stessi parlamentari M5S erano stati tenuti all'oscuro dell'accordo fino al giorno della votazione on-line, era secondo Borrelli che “serviva rapidità”, e non si poteva correre il rischio di “fughe di notizie” che pregiudicassero l'esito della trattativa.

Un puro tornaconto economico e politico
Dopo la Brexit il riposizionamento del M5S all'interno dell'europarlamento era diventato all'ordine del giorno, vista la perdita di peso politico degli alleati inglesi e la loro futura sparizione. Ma a spingere Grillo e Casaleggio verso il gruppo degli euroliberali, il gruppo più dichiaratamente europeista e liberista, favorevole all'austerity e al trattato commerciale transatlantico con gli Usa, più che le porte chiuse del gruppo dei Verdi è stato il puro tornaconto economico e politico: restare da soli e finire di conseguenza nel gruppo misto avrebbe comportato infatti la perdita dei lauti sussidi da 40 mila euro a deputato, pari a 680 mila euro l'anno per l'intero gruppo. Che inoltre sarebbe stato relegato in una posizione politicamente marginale e ininfluente.
Invece, come spiegava Grillo sul blog invitando gli iscritti ad approvare l'operazione, “Alde conta 68 eurodeputati e con i nostri diventerebbe la terza forza politica al Parlamento europeo. Questo significa acquisire un peso specifico di notevole importanza nelle scelte che si prendono. Significa in molti casi rappresentare l'ago della bilancia: con il nostro voto potremo fare la differenza e incidere sul risultato di molte decisioni importanti per contrastare l'establishment europeo”. Una spiegazione che mascherava ipocritamente una posta in gioco, in questo accordo, di ben più concrete e urgenti ambizioni, di cui Grillo non ha fatto parola: tra cui, per quanto riguarda Verhofstadt, l'appoggio del M5S alla sua candidatura alla presidenza del parlamento di Strasburgo, in concorrenza con gli italiani Gianni Pittella per il Pse e Antonio Tajani per il Ppe; e per il M5S, oltre al mantenimento dei lauti finanziamenti, l'appoggio dei liberali alla candidatura dell'eurodeputato romano Fabio Massimo Castaldo alla vicepresidenza dell'europarlamento, nonché la nomina di Borrelli a presidente del nuovo gruppo Alda, forte di 85 deputati e terza forza dell'assemblea.
Ma soprattutto con questa operazione Grillo e Casaleggio miravano ad accreditarsi come forza “responsabile” presso l'establishment europeo, nel quadro della strategia di legittimazione del M5S come futura forza di governo in Italia. Un matrimonio d'interesse in piena regola, dunque, in barba alle sempre proclamate convinzioni antieuropeiste di Grillo, e poco importa che il vicepresidente della Camera e premier cinquestelle in pectore , Luigi Di Maio – l'unico del vecchio Direttorio a cinque, insieme ad Alessandro Di Battista, ad essere al corrente della trattativa con gli euroliberali – abbia cercato di minimizzarne la portata politica sostenendo che sarebbe stata “solo una scelta tecnica”.

Lasciato in mezzo al guado dagli euroliberali
Non ci hanno creduto neanche molti europarlamentari M5S, che non hanno mancato di esprimere malumori e dissensi, anche per il metodo antidemocratico tenuto da Grillo e Casaleggio. Nel gruppo pentastellato è stato avanzato addirittura il sospetto che dietro l'operazione vi fosse un interesse privato della Casaleggio Associati, di guadagnare influenze nell'europarlamento in vista dell'imminente ridefinizione a livello europeo del mercato unico digitale, e quindi della legislazione sulla rete, sull'e-commerce e l'editoria on-line, che riguardano proprio il core-business dell'associazione. Tanto che Casaleggio non aveva aspettato neanche la conclusione della votazione on-line per volare a Bruxelles per firmare l'accordo con Verhofstadt. Mentre Grillo, altrettanto sicuro del suo esito scontato, se ne rimaneva a godersi il sole nel suo dorato ritiro di Malindi.
Ma i due banditi avevano fatto i conti senza l'oste, che nella fattispecie erano i maggiorenti del gruppo euroliberale, soprattutto i francesi, i finlandesi e i tedeschi, che alla notizia dell'accordo con i cinquestelle si sono immediatamente ribellati e lunedì 9 hanno imposto al loro capogruppo una clamorosa marcia indietro, con la motivazione ufficiale che “non ci sono sufficienti garanzie di portare avanti un'agenda comune per riformare l'Europa”. Allo scornato Grillo non restava altro che mascherare il disastro politico con questa ridicola dichiarazione sul blog: “L'establishment ha deciso di fermarci, tutte le forze possibili si sono mosse contro di noi, abbiamo fatto tremare il sistema come mai prima”. E supplicare in ginocchio Farage di riammetterlo nel suo gruppo da cui si era appena staccato, per non restare col cerino in mano, rifiutato da tutti i gruppi e senza neanche i soldi del finanziamento.

Grillo torna in ginocchio da Farage
Da parte sua il leader dell'Ukip ha acconsentito a riprenderselo, ma non senza porre al capo del M5S una serie di umilianti condizioni: a cominciare dalla testa di Borrelli, destituito dalla carica di copresidente del gruppo; dalla rinuncia di Castaldo a candidarsi per la vicepresidenza dell'europarlamento e del suo collega Piernicola Pedicini a candidato di bandiera del gruppo per la presidenza; nonché dalla perdita del coordinamento delle attività del gruppo nelle due commissioni parlamentari che si occupano di ambiente, giustizia, diritti civili e immigrazione.
E come se non bastasse, lo sconquasso provocato dalla maldestra operazione nel gruppo M5S, ha avuto come conseguenza la defezione di due europarlamentari: il pizzarottiano Marco Affronte, che se ne va con i Verdi, e il lombardo Marco Zanni, passato al gruppo dei lepenisti in cui milita anche la Lega di Salvini. E solo per un pelo è rientrata la fuga verso i Verdi dell'eurodeputata Daniela Aiuto, convinta a rimanere dopo una telefonata di Grillo, mentre non si esclude che altri abbandoni possano verificarsi in seguito, nonostante le sue minacce di far pagare ai transfughi multe salate da 250 mila euro.
Farage ha anche preteso da Grillo una riaffermazione di impegno politico coerente con la linea euroscettica, razzista e xenofoba del suo gruppo, che il leader del M5S si è affrettato a dargli dichiarando ancora una volta che “occorre espellere rapidamente gli immigrati irregolari nel giro di qualche giorno”. Tutto ciò a ulteriore dimostrazione dell'opportunismo e del qualunquismo di destra di questo monarca e imbroglione borghese, che passando autoritariamente sopra la testa dei suoi stessi seguaci non si vergogna di cambiare due volte alleanza nel giro di due giorni. Per poi tornare a tuonare contro l'establishment europeo, ma solo dopo aver fallito il tentativo di accreditarsi presso di esso per spianarsi la strada al potere.
 

18 gennaio 2017