A Tripoli
Forze di opposizione assaltano sedi del governo fantoccio libico
La Russia tratta col generale Haftar per installare una base militare in Cirenaica
Il governo di Tobruk denuncia l'Italia: “Ambasciata e navi da guerra, è una nuova occupazione”

La cerimonia ufficiale lo scorso 9 gennaio della riapertura dell'ambasciata italiana a Tripoli e gli incontri del ministro dell'Interno italiano Marco Minniti con Faiez Serraj, presidente del Governo di Accordo Nazionale designato dalle Nazioni Unite, sembravano confermare il processo di “normalizzazione” della situazione in Libia sotto la tutela dell'imperialismo italiano e l'avallo dell'Onu. Niente di tutto ciò, Serraj non ha il controllo del territorio, il suo governo fantoccio non riesce a garantire fino in fondo la sicurezza neppure a Tripoli e subisce le manovre del sempre più potente avversario libico, il comandante dell’esercito nazionale che fa capo all’Assemblea dei deputati di Tobruk, Khalifa Haftar. Bastava aspettare pochi giorni per averne conferma.
Apriva le danze il ministero degli Esteri del governo guidato da Abdullah al Thani a Tobruk che l'11 gennaio inviava una “nota diplomatica urgente” a tutte le ambasciate e i consolati libici all'estero per informarli di quello che veniva definito “il ritorno militare dell'ambasciata italiana” a Tripoli. Nella stessa nota si dichiarava che “una nave militare italiana carica di soldati e munizioni è entrata nelle acque territoriali libiche. Si tratta di una chiara violazione della Carta delle Nazioni unite e una forma di ripetuta aggressione”. Detto in altre parole per il governo di Tobruk le iniziative dell'Italia sono “una nuova occupazione” della Libia.
Il 12 gennaio entravano in azione le milizie di Khalifa Ghwell, capo del disciolto governo di salvezza nazionale, l'esecutivo islamista di Tripoli insediatosi nell'agosto del 2014 e costretto a sciogliersi nell'aprile del 2016 per lasciare il campo a Serraj.
Col premier fantoccio assente per la visita ufficiale al Cairo le milizie di Khalifa Ghwell assaltavano a Tripoli le sedi dei ministeri della difesa, del lavoro e degli invalidi di guerra. Qualche ora dopo erano cacciate dalle forze speciali ma Ghwell, non nuovo a questi atti finora sostanzialmente simbolici, aveva avuto il tempo di tenere una conferenza stampa dal suo quartier generale all’Hotel Rixos per attaccare il governo Serraj, definito fallimentare e illegittimo.
Nella conferenza stampa aveva tra l'altro duramente denunciato l'evidente ingerenza dell'Italia nelle questioni libiche. La presenza italiana, denunciava Ghwell, è mirata a portare avanti le “proprie ambizioni storiche” come al tempo del “colonialismo fascista, sui quei territori dove gli italiani uccisero i nostri nonni. Ai traditori del consiglio presidenziale (il governo Serraj, ndr) non importa di vendere il Paese ai colonizzatori italiani”. “Condanniamo la visita del capo di stato maggiore Claudio Graziano e chiediamo che i militari italiani lascino Misurata”, dichiarava inoltre Ghwell riferendosi alla visita a Misurata del 27 dicembre del Capo di Stato Maggiore della Difesa, il generale Claudio Graziano, che aveva dichiarato che “le nostre Forze armate continueranno ad assicurare la missione fino a quando sarà ritenuto necessario dalle autorità libiche”. Un appoggio militare al governo fantoccio di Serraj, ritenuta una ingerenza in Libia anche dal generale Haftar.
Ghwell accusava anche il comandante delle forze del governo di Tobruk, Haftar, di favorire un intervento militare esterno. “Abbiamo visto manovre e parate, ma per chi signor Haftar?”, si chiedeva riferendosi alla visita che il generale di Tobruk aveva compiuto a bordo dell’ammiraglia della flotta russa, la portaerei Ammiraglio Kuznetsov, giunta presso le coste libiche nel viaggio di ritorno verso la base di Severomorsk una volta terminata la missione in Siria.
La visita sulla portaerei russa dove aveva avuto una videoconferenza con il ministro della difesa di Mosca, Sergei Shoigu, confermava che continua il dialogo tra la Russia di Putin e il governo di Tobruk per installare una base militare in Cirenaica, una della opzioni discusse a fine novembre scorso con la visita ufficiale di Haftar al Cremlino, negli incontri col ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e il ministro della Difesa, Sergei Shoigu. Già allora si parlava della richiesta russa di aprire a Bengasi una base militare gemellata con quella di Hmeimim, a Latakia, in Siria. Col beneplacito dell'altro sponsor del governo di Tobruk, l'Egitto del boia Al Sisi, e quantomeno l'avallo della Francia. Da Tobruk porte chiuse per l'imperialismo italiano ma aperte per quello russo che, incassato almeno per ora il successo parziale nell'intervento in Siria, sta cercando il modo di allargare la sua influenza nel Mediterraneo.
Il governo Gentiloni, col nuovo ministro degli Esteri Angelino Alfano, ha provato a tendere una mano verso Tobruk e alle accuse all'Italia di avere una nuova "politica coloniale" a Tripoli e di volersi "ingerire negli affari interni della Libia” rispondeva con una offerta di medicinali e altri aiuti umanitari alla Cirenaica. “Non possiamo lamentarci dell'attenzione russa verso Haftar”, aveva detto il ministro Alfano “ma dobbiamo agire interloquendo anche con l'Est della Libia”. E il 17 gennaio alle Camere dichiarava che “noi siamo stati i primi a dire che un ruolo per Haftar era indispensabile”. Un tentativo caduto nel vuoto e liquidato da Haftar con un commento lapidario: “rifiutiamo qualsiasi aiuto dall'Italia prima che le sue le navi da guerra e le truppe italiane abbiano lasciato Tripoli e Misurata”.
 
 

18 gennaio 2017