Verdetto della Corte costituzionale
L'Italicum di Renzi è incostituzionale
Salvati però la truffa del premio di maggioranza e i capilista bloccati
Occorre il proporzionale senza sbarramento

“Questa legge, che doveva essere esempio per il mondo, se la esportano adesso la devono vendere a un costo minore: è deteriorata”. Con questa efficace espressione l'avvocato Felice Besostri, uno del gruppo di legali ricorrenti contro l'Italicum e già autore del vittorioso ricorso contro il porcellum, ha commentato la sentenza della Corte costituzionale del 25 gennaio, che ha giudicato anticostituzionale la legge elettorale ultra maggioritaria ideata da Renzi e Berlusconi nel famigerato patto del Nazareno di tre anni fa, e poi imposta al parlamento con ben tre voti di fiducia nel 2015.
Una legge peggiore del porcellum e perfino della legge fascista Acerbo, che Matteo Renzi si era cucito su misura per consentirgli, in combinazione con la controriforma fascista e piduista del Senato, di conquistare la maggioranza assoluta della Camera e governare il Paese con poteri simili a quelli di Mussolini. Un disegno che gli era apparso a portata di mano dopo l'ottenimento del 41% alle elezioni europee del 2014, e non a caso l'Italicum prevedeva una soglia di voti di quell'ordine di grandezza (35% inizialmente, poi portato a 40%) per assegnare, con un premio di maggioranza del 15%, ben il 54% dei seggi alla Camera, permettendogli così di governare incontrastato e da solo.
Anche perché grazie sempre a quella legge il suo potere sarebbe stato rafforzato dai capilista bloccati, da lui personalmente scelti, e candidabili in 10 collegi diversi, escludendo così dal parlamento anche i suoi avversari interni. Ma soprattutto perché, anche in mancanza del raggiungimento della soglia del 40%, il secondo turno di ballottaggio senza soglia gli avrebbe assicurato comunque la vittoria e il premio di maggioranza. Un meccanismo truffaldino e sfacciatamente incostituzionale, perché avrebbe permesso ad un partito del 30% come il PD (con il 20% e anche meno del corpo elettorale) di conquistare la maggioranza assoluta in parlamento.

L'incostituzionalità del ballottaggio renziano
E infatti è stato proprio questo uno dei due motivi di incostituzionalità giudicati validi dalla Consulta (l'altro è stato quello parzialmente accolto sulle pluricandidature). Non poteva essere diversamente, data la macroscopica violazione del principio di eguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione, che il ballottaggio ideato da Renzi avrebbe comportato: è evidente infatti che con un simile meccanismo il voto degli elettori del PD (o comunque del partito vincente al ballottaggio), cioè il voto di una minoranza, avrebbe contato molto di più di quello del resto dei votanti, cioè della maggioranza.
Per questo la bocciatura del ballottaggio, il cuore dell'Italicum, quello che lo stesso Renzi aveva definito “il punto chiave” della legge, veniva data praticamente per scontata dalla maggior parte dei costituzionalisti. E probabilmente anche per questo fu deciso di rimandare la sentenza, inizialmente prevista ad ottobre, a dopo il referendum del 4 dicembre: l'inevitabile bocciatura anche parziale dell'Italicum avrebbe infatti danneggiato la campagna renziana per il Sì.
Il governo Gentiloni, fotocopia di quello di Renzi, ha tentato invano di salvare la legge, tramite l'avvocatura dello Stato che aveva chiesto di respingere in blocco tutti gli undici motivi di incostituzionalità presentati. Tuttavia la Consulta, pur bocciando il ballottaggio, ha salvato il premio di maggioranza al raggiungimento del 40% dei voti, nonché i capilista bloccati. Con solo una modifica alle pluricandidature in 10 collegi, che si potranno sempre fare, ma il capolista non potrà scegliere a sua discrezione dopo il voto il collegio preferito, il quale andrà invece estratto a sorte tra quelli in cui risulta eletto.
È su questi punti – premio di maggioranza, capilista bloccati e pluricandidature – che la Corte si è maggiormente divisa, tanto che la sentenza ha richiesto più tempo del previsto, e alla fine la posizione dei due giudici fatti eleggere da Renzi, Amato e Barbera, sono riusciti a strappare un vantaggioso compromesso per il nuovo duce. Consegnandogli, come è stato rilevato da molti commentatori, una pistola carica per andare velocemente alle elezioni e scegliersi i candidati che vuole lui.
Anche perché in coda alla sentenza la Corte ha scritto che la legge così come è uscita modificata “è suscettibile di immediata applicazione”. Ovvero che potrebbe essere usata in caso di scioglimento delle Camere anche in mancanza di un'altra legge varata appositamente dal parlamento. Il che ha fatto esultare i tirapiedi di Renzi, come il capogruppo PD alla Camera, Rosato, secondo il quale si può “andare a votare subito”, e come il capogruppo al Senato, Zanda, arrivato addirittura a sostenere che la Corte “ha confermato l'impianto dell'Italicum”.

Renzi sogna la rivincita
Lo stesso Renzi ha incassato la sentenza della Consulta come una vittoria, inaugurando per l'occasione il suo blog personale al modo di Grillo (ma con i colori celeste e bianco di Forza Italia), in cui ha postato subito la parola d'ordine della sua campagna elettorale: “Il futuro, prima o poi, torna”. Il nuovo duce vuole cioè tornare a Palazzo Chigi sull'onda di una sognata legittimazione elettorale, da ottenere con elezioni subito, questa stessa primavera, ad aprile o al massimo l'11 giugno. Con il Mattarellum, se anche gli altri partiti ci stanno, oppure anche con l'Italicum sforbiciato dalla Consulta. Magari per “tornare” appunto a fare il premier in tempo per presenziare al G7 di Taormina del prossimo 27 maggio.
Non gli è bastata la sberla del 4 dicembre, che si è già messo alle spalle, e sogna ancora di “ripartire” dal 40% di Sì al referendum come se si traducesse automaticamente in voti per lui: “Ma anche quella sconfitta appartiene al passato. E ci sono milioni di italiani, milioni, che hanno votato 'sì' e che vogliono vedere tornare il futuro”, ha scritto infatti sul blog.
Insieme a lui premono per andare subito al voto con l'Italicum dimezzato anche Grillo e Salvini, mentre tutti gli altri nicchiano, e si aggrappano alle indicazioni di Mattarella che prima di sciogliere le Camere chiede al parlamento di “armonizzare” le leggi elettorali di Camera e Senato, che ora come ora sarebbero parecchio diverse, rendendo impossibile la formazione di una maggioranza. Il Senato infatti non ha premio di maggioranza, le soglie di sbarramento sono più alte (8% per i partiti che corrono da soli e 3% per quelli coalizzati), e sono possibili le coalizioni di partiti, con uno sbarramento del 20%.
La sinistra del PD è contraria ad andare a votare in queste condizioni, ma solo perché sa che Renzi la farebbe fuori dalle candidature sicure. E anche Berlusconi, al quale pure vanno benissimo i capilista bloccati perché se li può scegliere a piacimento, è contrario alle elezioni subito perché vuole aspettare prima la sentenza della Corte di Strasburgo che potrebbe giudicarlo di nuovo candidabile.
Per quanto attenuato nei suoi effetti perversi, l'Italicum così modificato dalla Corte costituzionale è invece da respingere risolutamente e per principio, perché resta comunque una legge maggioritaria del tutto simile al porcellum (salvo che quest'ultimo non aveva una soglia per il premio di maggioranza), e perché consente alle segreterie dei partiti parlamentari di scegliere i candidati più fidati e servili. La legge elettorale deve essere invece un proporzionale puro, e senza soglie di sbarramento per entrare in parlamento.

1 febbraio 2017