Astensionismo tattico, di principio o cretinismo parlamentare?

Cari compagni,
consentitemi una premessa: non condivido la vostra posizione - espressa su “Il Bolscevico” n. 44 del dicembre 2014 a pag. 8 - in merito al fatto che il “il PCI non è mai stato un vero partito marxista-leninista fin dalla sua fondazione nel 1921: a cominciare dalla direzione settaria e opportunista di “sinistra” di Bordiga, e subito dopo da quella opportunista di destra e revisionista di Gramsci nel ‘24, seguita poi da quella di Togliatti” (anche se sulla politica condotta da Ercoli sono sostanzialmente d'accordo con voi!!). Come mai il PCd'I sarebbe stato invitato puntualmente a tutti i Congressi dell'Internazionale Comunista?
Fatta questa premessa:
nel corso del Secondo Congresso dell'Internazionale Comunista, apertosi a Leningrado nel giugno 1920 per poi concludersi a Mosca, il PSI, già in preda ad un travaglio politico, oltre che ad una crisi d'identità corroborate ulteriormente dalla posizione da assumere dopo il notevole accadimento rappresentato dalla Rivoluzione d'Ottobre, voleva nel complesso dare un'immagine di aderente (magari solo formale) all'Internazionale Comunista.
Tra le varie posizioni presenti all'interno del PSI era presente la frazione “astensionista” capeggiata da Amadeo Bordiga, il quale, com'è notorio, l'anno successivo, non appena consumata la scissione di Livorno, divenne il primo segretario del PCd'I.
A Mosca venne subito deciso che Bordiga, considerate le posizioni che aveva già rese manifeste, venisse ammesso ai lavori esclusivamente con un voto consultivo e che partecipasse come correlatore sulla questione del parlamentarismo, che era già all'ordine del giorno col relatore Bucharin; venne, inoltre, statuito che l'esponente del PSI partecipasse ad un'altra importante discussione riguardante le condizioni di ammissione dei partiti che ne facevano domanda all'Internazionale Comunista, che poi divennero i celebri “21 punti di Mosca”.
La discussione sul tema del parlamentarismo fu aperta quindi da Bucharin, mentre successivamente Bordiga presentò la sua tesi, contraria alla partecipazione elettorale.
L'opinione di Bucharin venne ribadita da una dichiarazione di Trotzky, seguita da altri oratori e anche da Lenin il quale criticò apertamente le tesi astensionistiche e, con la solita vis oratoria proclamò che non sarebbe stato possibile rinunciare ad un punto di osservazione così prezioso come quello costituito dal Parlamento, anche perché gli avvenimenti parlamentari e le crisi ministeriali erano in stretto rapporto con lo sviluppo della rivoluzione e la crisi dell’ordinamento borghese.
La decisione del Congresso, a notevole maggioranza, fu senz'altro favorevole alle tesi della partecipazione alle elezioni parlamentari nel senso che vi dovessero e potessero accedere tutti i partiti socialisti e comunisti nazionali, e non già il solo partito italiano. Alle elezioni generali italiane del 1921 quindi partecipò non solo il Partito Socialista, che non chiedeva di meglio, ma anche il Partito Comunista d'Italia costituito poco dopo il II Congresso di Mosca.
La posizione sostenuta da Lenin non era forse in contrasto con quanto sostenuto da Marx ed Engels?
Sarebbe infatti bastevole ricordare che: “Cretinismo parlamentare, infermità che riempie gli sfortunati che ne sono vittime della convinzione solenne che tutto il mondo, la sua storia e il suo avvenire, sono retti e determinati dalla maggioranza dei voti di quel particolare consesso rappresentativo che ha l’onore di annoverarli tra i suoi membri, e che qualsiasi cosa accada fuori delle pareti di questo edificio, – guerre, rivoluzioni, costruzioni di ferrovie, colonizzazione di intieri nuovi continenti, scoperta dell’oro di California, canali dell’America centrale, eserciti russi, e tutto quanto ancora può in qualsiasi modo pretendere di esercitare un’influenza sui destini dell’umanità,- non conta nulla in confronto con gli eventi incommensurabili legati all’importante questione, qualunque essa sia, che in quel momento occupa l’attenzione dell’onorevole loro assemblea”. (Engels, Rivoluzione e controrivoluzione in Germania).
Vi ringrazio per l'attenzione e per il riscontro che vorrete dare alla presente e, considerato il vostro profilo e spessore culturale, sono certo che nella risposta che vorrete dare non vi trincererete dietro ad una semplice differenziazione tra tattica immediata e strategia lungimirante.
Saluti socialisti e buon lavoro
P.S. Vi ringrazio, infine, per avere risposto alla precedente mail sul cosiddetto testamento di Lenin.
AVANTI!
via e-mail
 
Grazie a te compagno per la franchezza e la stima che riaffermi verso il nostro Partito, pur non condividendone alcune posizioni, e per le tue domande che ci consentono di chiarire importanti questioni di linea politica.
Riguardo alla storia del PCI il nostro giudizio che non è mai stato un partito marxista-leninista fin dalla sua stessa fondazione è stato espresso in base ad un'approfondita analisi a partire dal numero monografico de “Il Bolscevico” del febbraio 1971 dedicato al bilancio dei primi 50 anni del PCI; analisi riconfermata e aggiornata in diversi documenti successivi, tra i quali spiccano per importanza il numero speciale del 1991 dedicato al bilancio di tutti i 70 anni di questo partito fino all'atto della sua liquidazione (“E' finito un inganno durato 70 anni”, documento del CC del PMLI), e il primo importante scritto pubblicato come inserto sul n. 9/1976 che smaschera verticalmente le posizioni teoriche e il ruolo del capofila del revisionismo italiano, Antonio Gramsci.
La scissione dal PSI riformista e la fondazione del PCd'I del 1921 furono un atto giusto e necessario per il proletariato italiano, ispirato dall'esempio della Rivoluzione d'Ottobre e dagli insegnamenti di Lenin. Ma ciò non toglie che già la prima direzione di Amadeo Bordiga non impresse al partito nato a Livorno una linea autenticamente marxista-leninista, perché risentiva invece delle sue influenze anarchiche e tendenze settarie e opportuniste “di sinistra”, in definitiva più affini alla frazione trotzkista allora abbastanza forte nell'Internazionale comunista. Ma egli era pur sempre il segretario dell'unico partito proclamatosi comunista in Italia, e Lenin e l'Internazionale non potevano non tenerne conto e non invitarlo ai congressi. Anche se, come tu stesso hai sottolineato, le divergenze tra la sua linea dogmatica e settaria e quella leninista emersero subito.
Del resto la direzione bordighista fu di breve durata, e con Gramsci il PCd'I prese decisamente la strada del revisionismo di destra, strada che non avrebbe più abbandonato fino alla sua fine, diventando con Togliatti e poi con Longo e Berlinguer, un partito compiutamente socialdemocratico e riformista, per poi terminare la sua corsa da partito liberale a tutto tondo con Occhetto, che ne celebrò l'ingloriosa liquidazione nel 1991.

Il parlamentarismo all'epoca di Lenin
Per noi non c'è assolutamente contraddizione tra Lenin e Marx e Engels, così come tra Lenin e il PMLI, sulla questione del parlamentarismo. La citazione di Engels è giusta, perché è rivolta a quegli opportunisti e revisionisti di destra che considerano la partecipazione al parlamento e alle altre istituzioni rappresentative borghesi non come eventualmente un mezzo, non come eventualmente una tattica per smascherarle agli occhi del proletariato e fargli prendere coscienza della necessità della rivoluzione e della conquista del potere politico, bensì come il fine ultimo della lotta di classe, una vera e propria linea strategica entro la quale si esaurisce tutta la carica progressista e rivoluzionaria del proletariato.
Tanto Marx ed Engels quanto Lenin avevano ben chiara la assoluta incompatibilità tra la democrazia borghese e la dittatura del proletariato. In “Stato e Rivoluzione” Lenin lo aveva chiarito in maniera esaustiva e definitiva, gettando le basi teoriche del futuro Stato socialista. Ma all'epoca di Marx ed Engels, e anche a quella di Lenin, il proletariato non aveva ancora piena coscienza dei limiti e della funzione ingannatrice del parlamentarismo borghese. Al tempo della Rivoluzione d'Ottobre ancora diversi paesi non avevano nemmeno istituzioni rappresentative borghesi ed avevano ancora regimi monarchici o semi-monarchici.
Quindi poteva essere tatticamente giusto e opportuno per i partiti comunisti di quei paesi, sulla base dell'analisi delle condizioni concrete in cui si trovavano a lottare, partecipare anche alle elezioni ed entrare in parlamento. Purché avendo sempre ben chiaro quell'insegnamento di Engels sul cretinismo parlamentare e tenendo sempre dritta la barra verso l'obiettivo strategico della rivoluzione socialista e della dittatura del proletariato: questa era la posizione inequivocabile che Lenin e l'Internazionale indicavano ai partiti comunisti di tutto il mondo.

La nostra posizione astensionista
La nostra posizione elettorale astensionista non ha nulla a che vedere con quella di principio e dogmatica, strettamente affine all'anarchismo, tenuta allora da Bordiga, ma si muove interamente nel solco del marxismo-leninismo. Perché in primo luogo non è una posizione strategica e di principio, ma tattica, stabilita di volta in volta in base ad un'analisi concreta della situazione concreta. Tant'è vero che come tu sai il PMLI in genere partecipa e dà indicazione di voto ai referendum, come è successo a quello del 4 dicembre scorso sulla controriforma del Senato, dove si è battuto con tutte le sue forze per la vittoria del NO, senza con questo abbracciare la via costituzionale come fanno molti opportunisti e falsi comunisti.
In secondo luogo oggi la situazione in Europa e in Italia è molto diversa rispetto ad un secolo fa. Le istituzioni rappresentative borghesi sono state ampiamente sperimentate dalle masse, tutto quel poco che potevano dare in termini di progresso si è esaurito da un pezzo, e ormai mostrano soltanto il loro volto reazionario e corrotto. Sono diventate soltanto una gabbia per tenere imprigionate le masse nell'elettoralismo, nel parlamentarismo, nel riformismo e nel legalitarismo e distoglierle dalla lotta di classe e per il socialismo. Dunque non ha alcuna utilità, in queste condizioni, per il partito del proletariato, partecipare al parlamento e alle altre istituzioni rappresentative borghesi, ma al contrario è utile fare di tutto per accelerare la presa di coscienza dell'inganno che esse rappresentano e dell'alternativa del socialismo.
In terzo luogo oggi in Italia il pericolo per i sinceri anticapitalisti, antifascisti e fautori del socialismo, non è tanto l'opportunismo “di sinistra” quanto il revisionismo di destra, che è la tendenza principale dei partiti riformisti, trotzkisti e falso-comunisti alla Rizzo che si muovono a sinistra del PD. In quanto essi sostengono l'elettoralismo e il parlamentarismo, presentano proprie liste alle elezioni politiche o a quelle amministrative, o fiancheggiano quelle di altri partiti borghesi, compresi perfino i CARC che sono arrivati a dare indicazione di voto per De Magistris e il M5S.
Questo perché non hanno una strategia veramente rivoluzionaria, ma al massimo si basano sul principio del “votare il meno peggio”, facendo oggettivamente dell'elettoralismo e del parlamentarismo il loro obiettivo strategico. Così finiscono per coprire a sinistra le marce e moribonde istituzioni borghesi e far perdere al proletariato e alle masse la prospettiva del socialismo: e questo si chiama cretinismo parlamentare, appunto.

22 febbraio 2017