“Modello Marchionne”: niente pausa bagno alla Sevel di Atessa
Ritmi infernali alla FCA

Le condizioni di lavoro all'ex Fiat, oggi FCA, non sono mai state delle migliori e spesso in quegli stabilimenti si sono sperimentate le forme più aggressive di sfruttamento e discriminazione nei confronti degli operai e dei dipendenti, modelli a cui successivamente s'ispiravano e uniformavano i padroni di tutta Italia. Per rispondere agli attacchi padronali è stato necessario sviluppare delle poderose e radicali lotte operaie.
Nonostante la multinazionale Fiat-Chrysler cerchi di darsi una verniciata di “modernità”, “etica” e “collaborazione aziendale” le condizioni di lavoro che impone ricordano molto da vicino quelle del capitalismo ottocentesco. Non si può definire in altro modo l'episodio verificatosi nello stabilimento di Atessa in Abruzzo, in provincia di Chieti, dove è stato impedito a un addetto alla produzione di recarsi in bagno fino a che l'operaio è arrivato al punto di urinarsi addosso.
Una vergognosa lesione della dignità dell'interessato e di tutti i lavoratori in generale, immediatamente denunciata dal sindacato USB: “si è verificato un gravissimo episodio che mostra a tutti la brutalità e la disumanità a cui i padroni giungono in nome del profitto... pretendiamo che situazioni simili non si ripetano mai più", si legge nella nota diffusa dal sindacato, seguita da uno sciopero di un'ora a cui ha aderito anche la Fiom-Cgil mentre Fim-Cisl e Uilm si sono limitate ha chiedere “spiegazioni” alla direzione del personale.
C'è poco da spiegare, anche perché non si tratta di un caso isolato. Alla Sevel (gruppo FCA) ci sono lamentele ripetute, ricorsi e scioperi per condizioni e carichi di lavoro insostenibili, peggiorati negli ultimi anni, che fanno il paio con i record del furgone Ducato. Nello stabilimento abruzzese si produce questo modello in numerose varianti e viene venduto in più di 80 Paesi nel mondo. Un modello globale e punto di riferimento della categoria.
L'azienda non si vanta solo dei volumi di vendita del Ducato, ma anche della produttività dello stabilimento di Atessa dove sono impiegati più di 6mila lavoratori che, come singola fabbrica, ne fa la più grande d'Italia di tutto il gruppo e una delle maggiori in Europa. Negli ultimi anni si è registrato un continuo aumento della produttività e stando alle numerose denunce dei lavoratori sui ritmi e sulle condizioni interne allo stabilimento, si può ben capire con quali mezzi viene ottenuto.
Sempre la multinazionale guidata da Marchionne è stata protagonista di un altro episodio che ha turbato i lavoratori, questa volta in un'altra fabbrica. Un paio di mesi fa un operaio della Fiat di Termoli è morto poco prima di mezzanotte, dopo essersi sentito male sul posto di lavoro, durante il turno di notte. Dalle informazioni raccolte in azienda poi la causa potrebbe essere proprio lo stress lavorativo perché l’operaio per problemi cardiaci avrebbe chiesto l’esonero dal turno della notte.
Siamo dunque agli antipodi del filmato diffuso ad arte da FCA un po' di tempo fa dove si vedevano gli operai dello stabilimento di Melfi, poi rivelatisi in gran parte dirigenti e “team leader”, cantare e ballare il brano musicale “happy” (felice), come se gli operai fossero contenti di farsi spremere e assecondare le pretese della Fiat-Chrysler. Un video degno dell'Istituto Luce, il mezzo propagandistico del regime fascista.
Tornando alla Sevel è inaccettabile il tentativo di FCA di ridurre il gravissimo episodio alle singole persone, a responsabili di personale di specifici reparti troppo zelanti che sono andati oltre le direttive dell'azienda, tesi accettata anche da alcuni sindacati filopadronali. Quella di imporre ritmi sempre più infernali e oramai insostenibili è una strategia aziendale oramai consolidata. I dirigenti della casa automobilistica stanno imponendo da anni sempre meno pause per il bagno, per la mensa, minacce e ricatti a chi non obbedisce o sta in malattia, trasferimenti in reparto confino dei lavoratori più attivi sindacalmente, studi a tavolino che cercano di eliminare qualsiasi attimo giudicato “improduttivo” e che non genera profitto per l'azienda.
In sostanza è la messa in pratica del “Modello Marchionne” che prevede la fine del contratto collettivo nazionale in favore di una contrattazione aziendale di stampo corporativo e filopadronale, condizioni di lavoro di supersfruttamento e limitazione dei diritti acquisiti, aumenti salariali sotto forma di bonus elargiti a discrezione dell'azienda ed esclusivamente legati alla produttività, espulsione dei sindacati che non firmano accordi aziendali, limitazione del diritto di sciopero.
Un modello che si sposa perfettamente con la legge sulla rappresentanza firmata a giugno 2014 che limita fortemente la democrazia nelle fabbriche e con il Jobs Act che dà la possibilità ai padroni di licenziare come e quando vogliono. In questo modo si cancellano le vecchie relazioni industriali e sindacali fin qui consolidate sostituite con quelle “nuove” di stampo mussoliniano perché come nel fascismo i diritti dei lavoratori sono calpestati in nome degli interessi supremi del capitalismo nazionale. Un modello fatto proprio dai maggiori sindacati italiani, a cui si è accodata anche la Fiom, rinnegando le lotte contro l'articolo 18 e contro lo stesso Marchionne, a cominciare da quella dello stabilimento di Pomigliano.
L'episodio della Sevel di Atessa non è un fatto locale e sporadico, ma rappresenta efficacemente il livello raggiunto dall'attacco padronale e governativo ai diritti e alle condizioni di vita dei lavoratori, ottenuto con la complicità di Cgil-Cisl e Uil, sindacati che in nome della produttività delle aziende italiane hanno accettato condizioni di lavoro sempre peggiori e umilianti

22 febbraio 2017