Basta con i veti e i ricatti clerico-fascisti
Occorre una legge sull'eutanasia

“Il 13 giugno 2014 sono diventato cieco e tetraplegico a causa di un incidente in macchina. Non ho perso subito la speranza, però. In questi anni ho provato a curarmi, anche sperimentando nuove terapie. Purtroppo senza risultati. Da allora mi sento in gabbia. Non sono depresso, ma non vedo più e non mi muovo più. Da più di due anni sono bloccato a letto e immerso in una notte senza fine. Vorrei poter scegliere di morire, senza soffrire, ma ho scoperto che ho bisogno di aiuto. L'Associazione Luca Coscioni ha depositato in parlamento una proposta di legge per legalizzare l'eutanasia, ma sono passati più di tre anni e non è stato ancora deciso niente. Signor presidente, sappiamo che non spetta a lei approvare le leggi, le chiediamo però di intervenire affinché una decisione sia presa, per lasciare ciascuno libero di scegliere fino alla fine”.
Questo il drammatico appello, letto in video dalla sua compagna Valeria per l'impossibilità di parlare, con cui il 19 gennaio Fabiano Antoniani, noto come Dj Fabo, 40 anni appena compiuti, si era rivolto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il quale peraltro si era dimostrato più sordo e silente che mai. Poco più di un mese dopo, il 27 febbraio, Fabo poneva fine alle sue sofferenze mordendo il pulsante che gli iniettava nelle vene la soluzione che gli provocava prima un sonno profondo e poi faceva cessare le sue funzioni vitali, dopo aver salutato per l'ultima volta la sua compagna, la madre e gli amici più cari, nella clinica svizzera dove si pratica la morte volontaria assistita e dove era stato costretto a recarsi, per l'impossibilità di farlo legalmente a casa sua, nel suo Paese, come avrebbe invece desiderato.
Era stato il radicale Marco Cappato, tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni, alla quale Fabo si era rivolto, ad accompagnarlo in macchina fino in Svizzera, per non esporre i suoi familiari ad una denuncia per istigazione al suicidio al loro rientro in Italia, poiché questo è ancora lo stato medievale della legislazione nel nostro Paese. Al rientro in Italia è stato lo stesso Cappato ad autodenunciarsi ai carabinieri, e ora è indagato per il reato di “istigazione o aiuto al suicidio”, articolo 580 del codice penale con pene che vanno da 5 a 12 anni.
“Sono un cervello attaccato ad un corpo che non ubbidisce e che non vede più nulla intorno a lui”, diceva Fabo per difendere la sua scelta di essere aiutato a morire, e a quei cattolici che lo invitavano a continuare a vivere perché anche in quelle condizioni avrebbe potuto ascoltare la musica e apprezzare la vita, rispondeva: “La musica era felicità, era bellissimo tornare a casa alle 7 del mattino, parlare con le persone, ora non riuscirei a fare nulla. A volte quando sento la musica mi viene addosso una grande, insopportabile tristezza. Era la vita, questa non è vita”.
“Non solo per lavorare con dignità, ma anche per morire con dignità si emigra dall'Italia. Lo Stato non ha ascoltato l'appello di Fabo”, è stato l'amaro commento dello scrittore Roberto Saviano. Mentre le gerarchie ecclesiastiche non hanno rinunciato a condannare il gesto di Fabo, anche se stavolta agli anatemi hanno preferito i toni ipocriti: come ha fatto il presidente dell'Accademia della vita, Vincenzo Paglia, per il quale “questa tristissima vicenda deve spingerci a riflettere” (su cosa? C'è solo da cambiare le leggi, ndr.); come il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, che ha parlato di “sconfitta grave e dolorosa per tutta la società”; e come l'organo ufficiale della stessa Cei, Avvenire , che ha invocato ipocritamente il “rispetto dovuto”, ma per affrettarsi a sentenziare che la morte di Fabo non venga “strumentalizzata per sostenere la legittimità del suicidio assistito e dell'eutanasia”, in quanto “il più serio commento sarebbe il silenzio”.
Invece Fabo aveva scelto proprio di parlare e di far sapere a tutti di chi era la responsabilità delle sue sofferenze, una volta presa la decisione di porvi fine volontariamente: “E' veramente una vergogna che nessuno dei parlamentari abbia il coraggio di mettere la faccia per una legge che è dedicata alle persone che soffrono, non possono morire in casa propria e devono andare negli altri Paese per godere di una legge che potrebbe esserci anche in Italia”, aveva detto infatti Fabo nell'ultimo dei suoi tre appelli, tutti accolti dallo stesso assordante silenzio, subito dopo aver appreso del terzo rinvio della discussione del progetto di legge sul fine vita fermo in parlamento. Rinvio che lo aveva convinto definitivamente a prendere la strada della Svizzera, dove il suicidio assistito è legale. “Sono finalmente arrivato in Svizzera e ci sono arrivato, purtroppo, con le mie forze e non con l'aiuto del mio Stato”. Aveva detto arrivando a destinazione, dopo un viaggio in macchina di 5 ore a cui era stato costretto a ricorrere, e che gli aveva causato un ultimo supplemento di sofferenze.
Ma anche se per pura ipotesi la legge sul fine vita, che di rinvio in rinvio è stata calendarizzata per il 13 marzo, fosse stata approvata subito, Fabo non ne avrebbe potuto usufruire, perché questa legge, a firma della relatrice Donata Lenzi del PD, non riguarda assolutamente il suicidio assistito, né tanto meno l'eutanasia, ma soltanto (e per di più in maniera assai parziale e ambigua), il tema ristretto del testamento biologico (o Dat, dichiarazione anticipata di trattamento) e dell'accanimento terapeutico su malati senza speranza e in condizioni di non poter decidere autonomamente sulla cessazione delle cure mediche (idratazione e nutrizione).
Lo ha ammesso la stessa relatrice, secondo la quale “anche se fosse stata già in vigore Fabo avrebbe comunque dovuto emigrare, lui aveva chiesto l'eutanasia che è e resterà vietata”. A parte la confusione tra eutanasia (letteralmente “dolce morte”) e suicidio assistito (che è sempre una morte volontaria ma eseguita in tutte le sue fasi da medici per l'impossibilità di chi la richiede di farlo autonomamente, come invece ha fatto Fabo mordendo il pulsante di avvio), è evidente che questa situazione di grave arretratezza legislativa dell'Italia in materia è dovuta solo all'ingerenza intollerabile delle gerarchie cattoliche, che come per l'aborto, la fecondazione assistita e gli altri “temi etici” pretende di imporre i suoi veti e i suoi tabù servilmente obbedita dalla maggioranza trasversale clerico-fascista del parlamento nero presente sotto varie forme in tutti i partiti della destra e della “sinistra” borghese.
A distanza di 11 anni da caso Welby (eutanasia eseguita dal medico su richiesta esplicita dell'infermo) e di 8 anni dal caso Englaro (eutanasia basata su volontà espressa in precedenza a familiari ed amici), non solo di eutanasia e suicidio assistito non si può neanche parlare in Italia, mentre in altri Paesi europei, come Svizzera, Belgio, Olanda, Svezia, Spagna e perfino nella cattolica Irlanda, sono già in vigore leggi che permettono in tutto o in varie forme e condizioni; non solo una proposta di legge di iniziativa popolare promossa da radicali e Associazione Luca Coscioni, con la raccolta di 167 mila firme, è ferma dall'anno scorso nelle commissioni congiunte Affari sociali e Giustizia, e lì è destinata a restare dimenticata da tutti; ma siamo ancora in alto mare persino sull'elementare diritto a scegliere come morire in caso di impossibilità di chiedere personalmente la cessazione dell'accanimento terapeutico.
 

8 marzo 2017