Quantunque sia indagato per rivelazione di segreto e favoreggiamento nello scandalo Consip
Il senato nero salva dalla sfiducia il ministro renziano Lotti
Inciucio tra Pd e Fi, che esce dall'aula insieme agli opportunisti di Mdp. Lo assolvono anche i plurinquisiti verdiniani

Il 15 marzo il Senato nero ha respinto con larga maggioranza la mozione di sfiducia del Movimento 5 Stelle che chiedeva le dimissioni del ministro dello Sport, Luca Lotti, indagato dalla procura di Roma per rivelazione di segreto e favoreggiamento nell'inchiesta sulla corruzione alla Consip. Una maggioranza schiacciante di 161 no contro 52 sì e 2 astensioni, perché a salvare il ministro renziano non sono stati solo i voti del PD, ma anche quelli del gruppo Ala del plurinquisito Verdini, appena condannato in primo grado a 9 anni e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici, e soprattutto l'assenza dall'aula del partito di Berlusconi, Forza Italia, che non ha partecipato al voto, così come i centristi di Idea e la nuova formazione MDP formata dai fuoriusciti dal PD di Bersani e Speranza.
Lotti è sospettato di aver avvisato i vertici della Consip, la concessionaria che centralizza tutte le forniture agli enti pubblici per diversi miliardi, dell'esistenza di un'indagine della magistratura di Napoli, ora passata per competenza alla procura di Roma, per corruzione a carico dell'imprenditore Alfredo Romeo, attualmente in carcere, per suoi suoi tentativi di ottenere dei vantaggi per le sue aziende, tanto che subito dopo gli avvisati provvedettero a bonificare gli uffici della Consip dalle microspie fatte installare dagli inquirenti, pregiudicando così l'esito dell'inchiesta.
Ricordiamo che nell'inchiesta è coinvolto anche il padre di Renzi, Tiziano, e che ad accusare Lotti è lo stesso amministratore delegato di Consip, Luigi Marroni, un renziano nominato al vertice della società dallo stesso Renzi nel 2015. Marroni, sentito come testimone quando i pm napoletani si accorsero che le cimici piazzate dai carabinieri del Noe erano state rimosse, messo alle strette rivelò che fu informato dell'inchiesta e delle intercettazioni “in quattro occasioni”: da Luca Lotti, appunto, oltreché dal presidente Consip Luigi Ferrara, da Filippo Vannoni, altro renziano, presidente di Publiacqua e già consigliere di Renzi a Palazzo Chigi, e il generale dei carabinieri Saltalamacchia, anch'egli molto amico di Renzi e da lui promosso ai vertici dell'arma. Ma anche lo stesso Vannoni conferma le rivelazioni di Marroni sul coinvolgimento di Lotti, e anzi ha detto che “anche Renzi sapeva dell'inchiesta”.

Controaccuse senza dare spiegazioni
Lotti, che tra le sue numerose deleghe ha anche quella al Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica), e quindi ha anche un filo diretto con i vertici e le decisioni della Consip, nega invece qualsiasi intervento su di essa, e ha sempre dichiarato che Marroni mente. Ed è questa la linea difensiva che ha sostenuto anche in aula, con un intervento però dai toni oltremodo aggressivi e sprezzanti, in perfetto stile renziano: “I fatti sono chiari: non ho mai avvisato l'ingegner Marroni, né nessun altro, di un'indagine su Consip, né gli ho mai passato alcuna altra informazione riservata. Mai! Sostenere il contrario significa incorrere, oggi o domani, nel reato di calunnia. Mi trovo in una posizione molto semplice: questa presunta rivelazione non c'è mai stata”, ha esordito infatti il ministro, senza però degnarsi di dare una qualche interpretazione del perché Marroni, che non avrebbe nessun vantaggio ad accusarlo, non figurando come indagato ma solo come testimone, dovrebbe mentire tirandolo in ballo a sproposito.
E soprattutto senza spiegare perché, se è Marroni a mentire (“per paura o per altri motivi che non tocca a me indagare”, si è limitato a buttare lì), Lotti continui tutt'ora a guardarsi bene dal querelarlo per diffamazione. Forse perché in tal caso, per ritorsione, Marroni potrebbe fare altre rivelazioni compromettenti? Magari sul “babbo” Renzi? E come mai, ammesso che sia Marroni e non Lotti quello che mente, l'amministratore delegato di Consip non è stato rimosso dalla carica dal ministro Padoan, che anzi lo ha recentemente riconfermato al suo posto? E la testimonianza di Vannoni dove la mettiamo, anche lui mente?
Ovviamente Lotti non ha detto una parola neanche sul finanziamento da 60 mila euro che Romeo aveva fatto alla fondazione Open di Renzi, che nel suo Consiglio di amministrazione annovera Maria Elena Boschi e lo stesso Lotti. Come non ha spiegato altre dichiarazioni di Marroni, intercettate dai carabinieri, che confermano il rapporto consolidato tra i due, tanto che il 14 novembre, parlando con un altro dirigente Consip, Marroni affermava che “se Luca Lotti ha qualcosa da dirmi, me lo dice”: ossia lo faceva direttamente e non per interposta persona. Rapporti talmente stretti, quelli tra Marroni e il “giglio magico”, che l'ad di Consip aveva cercato di trovare un posto di rilievo alla sua compagna Laura Frati Gucci nella Cassa di risparmio di Firenze tramite Marco Carrai, con l'intermediazione dell'avvocato Alberto Bianchi, presidente della fondazione Open e, guarda caso, consulente di Consip, da cui ha ricevuto parcelle per 300 mila euro negli ultimi quattro anni.

Difesa arrogante del renzismo
Ma tutto questo è stato disinvoltamente dribblato dal ministro renziano, che arrogantemente ha respinto al mittente ogni richiesta di dimissioni evocando la tesi del complotto politico per far cadere insieme a lui lo stesso Renzi e tutta la sua banda: “Qui oggi – ha detto infatti Lotti - è in atto un tentativo di colpire me, non per quello che sono, il Ministro per lo sport - delega preziosa e cruciale, della quale ringrazio il presidente Gentiloni Silveri e, suo tramite, il presidente Mattarella - ma per quello che nel mio piccolo anch'io rappresento. Si cerca cioè di mettere in discussione lo sforzo riformista di questi anni, al quale anch'io ho collaborato partendo da Firenze”.
Del resto l'intero PD e l'intero governo, presente in forze in aula, e non soltanto i renziani, hanno fatto quadrato attorno al ministro inquisito, che al suo fianco aveva significativamente il ministro della Giustizia Orlando, e che dopo la votazione hanno fatto grottescamente la fila per abbracciarlo e baciarlo, neanche fosse un eroe e un martire della “magistratura politicizzata” come con Berlusconi facevano i suoi seguaci. E c'è da dire che anche i “dissidenti” di MDP si sono ben guardati dall'attaccarlo frontalmente, limitandosi opportunisticamente a presentare una loro mozione alternativa che chiedeva al governo di sospendere le deleghe al ministro in attesa degli sviluppi della vicenda Consip. Ben sapendo che forse la loro mozione non sarà neanche calendarizzata dal Senato, ma solo per avere la scusa di uscire dall'aula e non votare la sfiducia a Lotti e, indirettamente, anche al governo Gentiloni che essi sostengono a spada tratta.
Ma il salvataggio di Lotti, grazie anche all'inciucio preventivo PD-FI, ha avuto anche un secondo tempo il giorno successivo, quando per ricambiare la cortesia il PD ha dato “libertà di votare secondo coscienza” ai suoi senatori sulla decadenza dal parlamento, in base alla legge Severino, del senatore forzista Augusto Minzolini, condannato in via definitiva dalla Cassazione a 2 anni e 6 mesi per peculato, avendo speso 65 mila euro dalla carta aziendale della Rai per spese personali quando era stato nominato direttore del TG1 da Berlusconi.
È così che ben 19 senatori PD hanno votato contro la decadenza di Minzolini, senza contare altre decine tra assenti ingiustificati (tra cui Napolitano e la Finocchiaro) e di astensioni (che al Senato valgono come voti contro), dopo che il PD aveva votato compatto in Commissione per la decadenza del senatore berlusconiano. Un atto scandaloso che ha voluto inviare deliberatamente un segnale di sfida alla magistratura, dando con ciò ragione a chi alla vigilia della votazione su Lotti, notando la strana coincidenza tra le due votazioni (quella per Minzolini era stata rimandata per mesi) aveva ipotizzato, sdegnosamente smentito dagli interessati, un accordo di scambio in stile Nazareno tra Renzi e Berlusconi. Non a caso Berlusconi ha subito esultato sentendo più vicino il ritorno alla candidabilità da parte della Corte europea, mentre i suoi parlamentari chiedono che anche per lui valga il colpo di spugna sulla Severino.
 
 
 

22 marzo 2017