Nuovo attacco all'università pubblica: il governo Gentiloni istituisce i “poli di eccellenza”
Inserito nella finanziaria il progetto neoliberista che divide fra atenei di serie A e di serie B secondo le esigenze del capitale

Con l'inserimento di una norma del piano Industria 4.0 nel Documento di economia e finanza (ex legge di stabilità), il governo Gentiloni ha deciso lo stanziamento di ingenti risorse – 20 milioni di euro per il 2017, 18 milioni per il 2018 – per finanziare quelli che, con uno dei termini inglesi volutamente fumosi che vanno tanto di moda per non fare capire alla gente di cosa si sta parlando, sono stati definiti “competence center”. Si tratta, in realtà, di poli di eccellenza che le poche università “elette” a ricevere quei super-finanziamenti dovranno costituire centri di ricerca nella forma del “partenariato pubblico-privato” per “promuovere e sostenere la ricerca applicata”, leggi la ricerca che possa portare vantaggi economici alle imprese, dove infatti si dovrà elaborare “un articolato programma di attività, comprensivo di ricerca industriale e sviluppo sperimentale, finalizzato alla realizzazione, da parte delle piccole e medie imprese fruitrici, di nuovi prodotti, processi o servizi o al notevole miglioramento di processi, prodotti e servizi esistenti, tramite lo sviluppo di tecnologie avanzate”.
Insomma si crea una divisione fra università di serie A, pochissime, ricche, esclusive e concentrate soprattutto al Nord, e una marea di università di serie B, povere, scadenti e per chi non può permettersi di studiare fuori sede. Lo squilibrio fra Nord e Sud è evidente se si pensa che fra i pochi destinatari del finanziamento figurano i politecnici di Milano e Torino, la scuola Sant'Anna di Pisa insieme alla Normale, l'Università di Bologna (per la meccatronica), atenei veneti e soltanto il politecnico di Bari e la Federico II di Napoli per il Mezzogiorno. Tra l'altro le università dovranno farsi concorrenza reciproca e non conterà tanto la qualità dell'offerta formativa quanto la sua attinenza con le mutevoli esigenze dell'imprenditoria italiana (e non).
Questo quando invece ci sarebbe bisogno di garantire il diritto allo studio, stabilizzare gli oltre 40mila ricercatori precari e dare nuovo ossigeno economico agli atenei del nostro Paese, non soltanto a pochi poli di eccellenza. Ciò sarebbe possibile, per esempio, tagliando spese inutili, come il riarmo imperialista, smettendo di obbedire ai diktat dell'Ue e del pareggio di bilancio e non privilegiando più soltanto la “ricerca eccellente” e filo-imprenditoriale ma quella che va incontro ai problemi quotidiani delle masse e del territorio, esaltanto il ruolo delle università locali.
Comunque ciò che non è riuscito a Berlusconi, Tremonti e Gelmini e successivamente a Monti e Profumo (senza dimenticare lo stridente conflitto d'interessi che riguardava questi ultimi due, professori di prestigiose università), potrebbe ora diventare realtà con Gentiloni, Calenda e Fedeli. Subito salta all'occhio la trasversalità di questo progetto neoliberista ed elitario, condiviso sia dalla destra che dalla “sinistra” di regime, in risposta unanime alle richieste della borghesia imprenditoriale e finanziaria, che vuole pochi “centri d'eccellenza” dai quali poter sfornare quadri ben formati a eseguire le esigenze del sistema capitalista, e del baronato accademico, per il quale non serve nemmeno enumerare i vantaggi economici.
Se il progetto andrà in porto, presumibilmente i criteri d'accesso dei poli d'eccellenza saranno sempre più selettivi e le rette sempre più alte per difenderne il “prestigio”, l'università dove si è laureati diventerà discriminante per la partecipazione a concorsi, dottorati di ricerca, l'accesso a posizioni professionali ecc., l'offerta formativa negli atenei non “eccellenti” ne risentirà e presumibilmente saranno ancora più privilegiati i corsi di economia, finanza, marketing, ingegneria e tutto quanto serve al grande capitale a seconda della congiuntura economica, nei quali insegnare unicamente come gestire il sistema dal punto di vista tecnico, con buona pace dei “saperi critici”.
Contro questo attacco neoliberista contro l'università pubblica è necessario mobilitarsi, non soltanto per difendere i pochi spazi rimasti favorevoli alle masse, ma soprattutto per passare al contrattacco, gridare forte e chiaro che non è questa l'università che vogliamo, rispondere colpo su colpo al governo, lottare per abbassare e poi abolire le tasse, ottenere un diritto allo studio dignitoso, abbattere le barriere d'accesso e conquistare l'università veramente e completamente pubblica e gratuita, che però dovrebbe essere anche governata dalle studentesse e dagli studenti.

26 aprile 2017