Aumentati del 5,2% gli omicidi sul lavoro
In questi anni di crisi del capitalismo le aziende hanno tagliato sui costi di sicurezza e prevenzione

I governi Renzi-Gentiloni hanno fatto tabula rasa dei diritti e delle tutele dei lavoratori e dato mano libera ai padroni di licenziare e tagliare drasticamente non solo i salari ma anche e soprattutto gli investimenti per la sicurezza e la prevenzione degli infortuni. Ecco le ragioni dell'aumento dell'ecatombe di operai e dei gravi incidenti invalidanti che quotidianamente colpiscono decine di lavoratori nelle fabbriche, nei cantieri, nelle officine e in agricoltura.
Lo confermano gli “Open Data” INAIL pubblicati il 31 agosto 2017 da cui emerge uno scenario a dir poco agghiacciante: per la prima volta da un quarto di secolo, nei primi sette mesi dell’anno, gli incidenti e gli omicidi sul lavoro sono aumentanti rispettivamente dell’1,3 e del 5,2 per cento.
Nei primi sette mesi del 2017 si contano ben 591 morti (quasi tre al giorno): 29 in più rispetto ai 562 decessi dell’analogo periodo del 2016 (+5,2%). Mentre le denunce d’infortunio pervenute all’istituto sono state 380.236, 4.750 in più rispetto allo stesso periodo del 2016 (+1,3%).
Gli infortuni sono aumentati dell’1,2% per i lavoratori (2.832 casi in più) e dell’1,4% per le lavoratrici (oltre 1.900 in più).
I settori più colpiti – spiega l’INAIL – sono industria e servizi (+2,1%) e la gestione conto Stato dipendenti (+3,6%).
A livello territoriale, le denunce d’infortunio sono aumentate al Nord (oltre 5.800 casi in più) e, in misura più contenuta, al Centro (+245), mentre hanno fatto registrare una diminuzione al Sud (-985) e nelle Isole (-337).
In termini assoluti a rimetterci la vita sono soprattutto i lavoratori fra le cui file gli infortuni mortali sono saliti da 506 a 531 (+4,9%). Mentre in termini percentuali, ossia in rapporto al numero totale di occupate, a perdere la vita sono soprattutto le lavoratrici passate da 56 a 60 casi (+7,1%) rispetto al 2016.
Un bollettino di guerra che ormai anche i sindacati di regime si guardano bene dal denunciare pubblicamente accodandosi sempre più spesso alle ciniche “giustificazioni” dei padroni e di “illustri” economisti filogovernativi e filopadronali che provocatoriamente parlano addirittura di “fenomeno fisiologico” dovuto al maggior numero di ore lavorate. Dimenticando che la controriforma pensionistica Monti-Fornero, da un lato, e il Job Act di Renzi dall'altro, sono tra i massimi responsabili di questa strage. In primo luogo perché costringono sempre più lavoratori over 60 a lavorare anche ben oltre le otto ore al giorno con riflessi e lucidità ridotti e dunque inversamente proporzionale all'aumento del rischi infortunio tant'è che nel corso del 2017 gli over 60 hanno subìto duemila infortuni in più e il 2% in più di morti sul lavoro.
In secondo luogo perché con la completa precarizzazione del lavoro un il disoccupato di lungo corso che magari dopo tanto tribolare riesce a trovare finalmente lavoro, anche se precario, è sempre sottoposto al ricatto del licenziamento e difficilmente si mette a sindacare se in un cantiere c’è scarsa protezione, o se in fabbrica il macchinario non ha sistemi di sicurezza. Tanto è vero che ad esemprio anche nel corso del 2016, dati riferiti al 2015, gli omicidi e gli infortuni sul lavoro sono risultati in aumento.
In questi anni di crisi i padroni hanno scaricato sulla pelle dei lavoratori perfino i costi destinati alla sicurezza e prevenzione. Inoltre c'è da considerare che i dati forniti dall'INAIL sono parziali perché non comprendono alcune categorie che sono iscritte ad altri istituti e per la piaga del lavoro nero che coinvolge migliaia di lavoratori. Inoltre l'Istituto spesso non riconosce incidenti considerati a "rischio generico" e “casuali”. (ossia poteva capitare a chiunque di morire in quel modo, a prescindere dal lavoro svolto) su cui ci sarebbe molto da discutere. Infatti non tutti i superstiti riceveranno un indennizzo dall’Inail (in genere pari a metà della retribuzione): bisognerà dimostrare che l’infortunio è legato al lavoro svolto. E soprattutto che il lavoratore fosse iscritto all’Inail prima di perdere la vita. Di solito viene riconosciuto un 65% dei casi denunciati. Si presume dunque che saranno alla fine circa 380 gli incidenti mortali indennizzabili per i primi sette mesi dell’anno. Ma lo sapremo solo tra un anno.
“È come se il 35-40% di quei morti sparisse”, commenta Carlo Soricelli, che da Bologna cura da anni un osservatorio indipendente che monitora gli infortuni mortali sul lavoro. “Questo succede perché molti non sono iscritti all’Inail o sono in nero. Solo un esempio lampante: i pensionati schiacciati dai trattori in campagna. Sono già 105 dall’inizio dell’anno, ma ufficialmente non esistono”. Del resto, non è una novità che moltissimi incidenti non solo non vengono indennizzati ma sfuggono del tutto alle stesse statistiche nazionali: infatti manca in Italia un ente pubblico incaricato di registrare la totalità degli infortunati, e non solo quelli iscritti all’Inail.
La verità è che nel capitalismo il massimo profitto va avanti a tutto, compresa la salute e la vita dei lavoratori sfruttati, oppressi e mandati al macello come bestie.

27 settembre 2017