I partiti della “sinistra” borghese a braccetto con i fascisti e la destra berlusconiana
Il regime neofascista italiano adotta l'inno di Mameli nazionalista e bellicista
Contrapporre i canti antifascisti al canto della borghesia

Il 15 novembre la commissione Affari costituzionali del Senato ha approvato in via definitiva, all'unanimità e senza neanche discussione finale, il disegno di legge che istituisce “Il canto degli italiani”, meglio conosciuto come “Inno di Mameli”, come inno nazionale da affiancare al tricolore nell'articolo 52 della Costituzione quali simboli della nazione.
L'inno di Mameli era stato adottato come inno nazionale dal primo governo De Gasperi il 12 ottobre 1946, ed eseguito il successivo 4 novembre per il giuramento di fedeltà delle forze armate alla Repubblica. L'inno era stato adottato in via provvisoria e avrebbe dovuto essere confermato da una legge, che però non fu mai presentata per tutta la seconda metà del '900. Dopo alcuni tentativi andati a vuoto nelle ultime quattro legislature, questa legge è arrivata in porto oggi a distanza di 71 anni. C'è da chiedersi allora perché ciò avviene proprio oggi, e che significato politico occorre dare a questo avvenimento che è stato così fortemente voluto e applaudito da tutto l'arco parlamentare, se si esclude la sola Lega Nord, assente alla votazione finale ma, come ha precisato il senatore Calderoli, non per dissenso politico ma solo per precedenti “impegni istituzionali”.
Il fatto che il primo disegno di legge per istituzionalizzare l'inno di Mameli fu fatto nel 2002 ad opera dei fascisti di Alleanza nazionale già la dice lunga sull'ispirazione di destra, nazionalista e patriottarda di questa iniziativa. Ma già solo tre anni dopo, in Senato, destra e “sinistra” del regime neofascista marciano abbracciate nel proporre insieme un testo unificato, a firma di Forza Italia e Ulivo, che ottiene il via libera della commissione Affari costituzionali. L'iniziativa non va a buon fine solo per la sopravvenuta crisi del governo Berlusconi. Anche nella legislatura successiva PD e PDL fecero fronte comune senza esito, ma nell'attuale, la XVII, le due proposte di legge del PD e quella dei fascisti di Fratelli d'Italia, unificate in un unico ddl a firma del piddino Umberto D'Ottavio, sono riuscite nell'intento.

Perché viene promosso oggi a inno nazionale
Dunque, la prima riflessione che se ne ricava è che tutto questo tempo per adottare l'inno di Mameli nella Costituzione è stato reso necessario dalla completa integrazione della “sinistra” borghese nel regime neofascista. Infatti, se l'inserimento dell'inno di Mameli nella Costituzione ha incontrato difficoltà negli anni del dopoguerra lo si deve alla giusta diffidenza del movimento operaio, allora egemonizzato dal PCI revisionista e dal PSI riformista, partiti che non potevano ignorare la strumentalizzazione in chiave nazionalista, militarista e patriottarda dell'inno da parte dei fascisti e dei governi democristiani, e che pertanto riluttavano dall'appoggiare una legge in tal senso. Tant'è che veniva polemicamente cantato dai fascisti nelle piazze in contrapposizione ai canti comunisti e antifascisti come “Bandiera rossa” e “Bella ciao”.
Questa situazione di stallo è finita però con la fine del PCI e la nascita del PD, cioè con la completa integrazione nel regime neofascista della “sinistra” borghese rinnegata, riformista e liberale, che con ciò ha rinnegato anche ogni discriminante antifascista, antinazionalista e antipatriottica. Tanto da sostituire sempre più spesso di propria iniziativa l'inno di Mameli ai canti antifascisti e internazionalisti nelle manifestazioni politiche e sindacali. Fino al punto dall'essersi fatta essa stessa promotrice dell'adozione dell'inno nella Costituzione, a braccetto con i fascisti e la destra berlusconiana.
La seconda riflessione da fare è che l'Italia di oggi è molto diversa da quella dell'unità d'Italia: oggi è uno dei maggiori Paesi industrializzati del mondo, sia pure in grande difficoltà, ed è un Paese imperialista a tutti gli effetti, con una politica estera e militare interventista operante in vari teatri mondiali, dall'Afghanistan, al Medio Oriente e all'Africa, e con mire neocolonialiste specifiche verso i Paesi del sud del Mediterraneo, in particolare verso la sua ex colonia libica. Ecco perché “riscopre” ed esalta simboli nazionalisti e bellicisti come il tricolore e l'inno di Mameli.
Noi non abbiamo niente contro questo inno in quanto tale, scritto dal giovane patriota risorgimentale Goffredo Mameli nel 1847, in un contesto storico-politico completamente diverso da quello attuale. All'epoca aveva un significato progressivo e positivo per le masse popolari della penisola, perché le incitava a unirsi e combattere per cacciare l'oppressore austriaco e i vari tiranni locali, conquistare la libertà e l'indipendenza nazionale ed unificare il Paese. Ma oggi questi motivi che lo hanno ispirato non esistono più. Anzi, non soltanto non c'è nessun oppressore straniero da cacciare dal suolo italiano, ma è l'Italia stessa a essere vista come un Paese imperialista, aggressivo e aggressore, da altri popoli. I quali, o ne subiscono la presenza militare diretta sul proprio territorio, mascherata da “guerra al terrorismo”, come in Afghanistan e in Iraq, o subiscono pesanti ingerenze politiche e sono fatti oggetto di preparativi di intervento militare, come nel caso della Libia.

Un simbolo del rinato imperialismo italiano
Quindi, se l'inno di Mameli viene adottato oggi all'unanimità da tutti i partiti del regime neofascista e col plauso generale dei mass media di regime (vedi le due pagine dedicate all'evento da “La Repubblica” del capitalista De Benedetti e dell'ex fascista, ex monarchico e antiberlusconiano pentito, Eugenio Scalfari), è per strumentalizzarlo in chiave nazionalista e bellicista, per incitare le masse popolari ad unirsi sulla politica imperialista e interventista del governo e del regime neofascista, sulla politica nazionalista e razzista della chiusura delle frontiere, del respingimento dei migranti e della fascistizzazione del Paese col pretesto della “lotta al terrorismo”, nonché sulla politica di aumento delle spese militari, di ammodernamento e di “capacità di proiezione” dello strumento militare, e di partecipazione alla costruzione di un esercito europeo imperialista.
Non a caso la campagna per l'esposizione del tricolore e per promuovere il canto dell'inno di Mameli in tutte le occasioni pubbliche, dalle partite di calcio alle cerimonie istituzionali, fu voluta e portata avanti fortemente e per la prima volta dall'allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, già ufficiale dell'esercito di Mussolini e massone, e che fu eletto capo dello Stato nel pieno della guerra della Nato alla Serbia, a cui l'Italia imperialista di D'Alema partecipava in prima fila. Cioè in un contesto in cui si erano realizzate compiutamente sia la rinascita dell'imperialismo italiano, sia l'asservimento ad esso della “sinistra” borghese: quest'ultima non più come soggetto passivo, quale fu rispetto all'intervento italiano nella prima guerra del Golfo del 1991, ma come protagonista attivo e principale, di concerto con la destra di Berlusconi, come avvenne nel 1999 con la guerra del Kosovo.
Perciò invitiamo i giovani, gli antifascisti, i democratici, i pacifisti e tutti i sinceri antimperialisti a non cadere nella trappola del regime neofascista. A lasciare l'inno di Mameli nel posto che gli spetta nel museo della storia d'Italia. A respingere la sua adozione in chiave nazionalista, patriottarda e bellicista di inno nazionale dell'Italia imperialista. Ad opporsi alla sua esecuzione nelle manifestazioni politiche, sindacali e antifasciste. E a contrapporgli in ogni occasione gli inni e i canti tradizionali di lotta, antifascisti e internazionalisti del movimento operaio, a cominciare da “L'Internazionale”, “Bella ciao” e “Bandiera Rossa”.
 
 
 

29 novembre 2017